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Home » Cronaca

Farmaci, lavoro, salari, incidenti: la discriminazione contro le donne è sistemica

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Credit: AGF

Guadagnano meno, trovano più difficilmente un'occupazione, aspettano più a lungo una promozione, rischiano più facilmente di perdere il lavoro e di restare vittime di incidenti. Ecco perché il divario di genere è un problema strutturale della società

La salute, l’occupazione, il reddito e la sicurezza non sono garantiti allo stesso modo agli uomini e alle donne, in Italia e non solo. Non è un’affermazione provocatoria ma una realtà: il divario di genere infatti emerge da molteplici dati e studi.

«Si dice che gli effetti collaterali preferiscano le donne ed è in parte vero, spesso perché il dosaggio del farmaco non è adeguato alla fisiologia femminile e la sua efficacia non è stata valutata specificamente in questa popolazione», spiega la professoressa Flavia Valtorta, preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Vita-Salute sul sito-web del San Raffaele di Milano.

Secondo la Fondazione Umberto Veronesi, il problema sta proprio nella sperimentazione: nell’80 per cento dei casi, i farmaci e le terapie sono testati su soggetti maschi. Inoltre, «solo la metà degli studi clinici considera le peculiarità di genere e uno su tre riporta dati inadeguati».

D’altronde è anche una questione di accesso femminile alle professioni scientifiche. I dati dell’Unesco Institute for Statistics mostrano come le donne rappresentino meno del 30 per cento dei ricercatori nel mondo e in media le professioniste impiegate nelle discipline scientifico-tecnologiche presentano un minor numero di pubblicazioni, sono pagate meno e devono aspettare più tempo per essere promosse rispetto ai loro colleghi uomini. Non fa eccezione il settore farmaceutico, dove il problema del gender gap si allarga anche a livello dirigenziale: qui soltanto il 25 per cento dei manager è donna.

Il divario occupazionale però riguarda tutti i settori. Secondo gli ultimi dati Istat, ad aprile il tasso di occupazione femminile si attestava al 52,3 per cento a fronte del 69,8 per cento di quello maschile. Il gap (oltre il 17 per cento) è più elevato rispetto alla media europea (intorno al 12 per cento), ma si acuisce nelle regioni del Meridione (dove supera il 20 per cento) e in presenza di figli: secondo l’Inapp, il 18 per cento delle donne tra i 18 e i 49 anni non lavora più dopo la gravidanza, mentre solo il 43,6 per cento decide di continuare, un dato che scende al 29 per cento al Sud e nelle Isole.

Non stupisce allora che, secondo l’ultimo rapporto del World Economic Forum, l’Italia (insieme alla Macedonia del Nord e alla Bosnia-Erzegovina) sia in fondo alla classifica europea in termini di partecipazione al mondo del lavoro e opportunità economiche offerte alle donne.

Tutto questo riguarda anche i salari: secondo Confcommercio, nel 2021 la retribuzione media lorda settimanale delle lavoratrici si attestava a 468,12 euro in confronto ai 603,80 euro dei loro colleghi maschi. L’unico ambito in cui le donne presentano dati migliori rispetto agli uomini sono le denunce di infortunio che, secondo l’Inail, riguardano “solo” per il 42 per cento delle lavoratrici.

Tuttavia presentano molteplici fattori di rischio, in primis le discriminazioni, le molestie e le violenze sessuali: si stima infatti che nel mondo una donna su due venga molestata sessualmente durante la sua vita lavorativa. Le denunce però, almeno in Italia, sono molte meno: secondo gli ultimi dati Istat – risalenti al 2016 – 1 milione e 404mila donne hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro, che «rappresentano l’8,9 per cento delle lavoratrici attuali o passate, incluse le donne in cerca di occupazione».

Ma non è un problema solo di sicurezza sul posto di lavoro, persino nei trasporti gli uomini sono più tutelati. Secondo una ricerca dello scorso anno del britannico National Institutes of Health, le donne hanno infatti maggiori probabilità di restare gravemente ferite in un incidente stradale e questo perché nei crash test degli autoveicoli i manichini rappresentano un “maschio medio”. Insomma la strada per la parità è ancora molto lunga.

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