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Ostia, le voci e i volti degli abitanti all’indomani della sentenza sul clan Spada: “Una sentenza non basta, questo è un territorio che muore ogni giorno”

TPI ha ascoltato le opinioni degli abitanti di Ostia, X Municipio di Roma, sulla sentenza della Cassazione che ha definito il clan degli Spada un'associazione di stampo mafioso. Quello che ne è emerso è che non si possono vincere grandi guerre senza combattere piccole battaglie quotidiane nel quartiere

 

Ostia, le voci e i volti degli abitanti all’indomani della sentenza sul clan Spada

“La lotta alla mafia? Qui ci vorrebbe Batman. Dov’era lo Stato tutti questi anni? Ora arriva la sentenza e si scopre che c’è traffico di droga, degrado e criminalità organizzata? La politica si è dimenticata di migliaia di cittadini che ora si sentono abbandonati, che non hanno niente da perdere. Negli ultimi anni i governi cosa hanno fatto per eliminare i gap sociali, culturali, economici? Nulla. E ora c’è chi esulta per aver vinto la mafia”.

È una Ostia in una situazione difficilissima quella che TPI ha visto e ascoltato all’indomani della sentenza della Cassazione sul clan Spada, sentenza che lo ha definito un’associazione di stampo mafioso e che ha condannato all’ergastolo Carmine Spada (detto Romoletto), Roberto Spada (già condannato per la testata al giornalista Rai Daniele Piervincenzi) e Ottavio Spada (detto Marco). La Corte d’Assise ha pronunciato questo giudizio storico all’interno dell’aula bunker di Rebibbia, dove sono state inflitte condanne anche ad altri 17 membri del clan fra cui Ottavio Spada (detto Maciste), Nando De Silvio (detto Focanera) e Ruben Alvez del Puerto. Armando Spada, Enrico Spada, Roberto Spada (detto Zibba), Francesco De Silvio, Samy Serour, Stefano De Dominicis e Roberto Sassi, invece, sono stati assolti. È l’epilogo giudiziario dell’operazione “Eclissi”, con cui la magistratura aveva l’obiettivo di sradicare un sistema criminale organizzato e che ha fatto scattare il blitz dell’Antimafia il 25 gennaio 2018. I reati formulati da Piazzale Clodio sono, oltre l’associazione mafiosa, l’omicidio, il traffico di armi e stupefacenti, l’usura, la detenzione di esplosivi, incendio e danneggiamenti aggravati e la gestione e il controllo delle attività economiche sul territorio.

La sindaca Virginia Raggi si è detta soddisfatta della sentenza, del lavoro delle forze dell’ordine e del fatto che a Roma ora “si può parlare di mafia”. La prima cittadina della capitale ha assicurato che starà accanto “ai cittadini onesti che per troppo tempo hanno avuto paura, per restituirgli fiducia”. Una fiducia che però tanti abitanti di Ostia hanno perso, che non riescono più a dare ad uno Stato che per troppo tempo li ha lasciati soli. Che tuttora non si cura dei più deboli e disperati. Disperati nel senso di senza speranza e senza futuro.

A raccontare la mancanza di servizi, di linee pubbliche di trasporto che lasciano nell’isolamento tutta un’area di Ostia, Ostia nuova, sono le voci della comunità, gli uomini e le donne che vivono il territorio. Alcune di queste voci – soprattutto se si parla del clan Spada che quel territorio ha contribuito ad avvelenarlo – hanno preferito rimanere anonime perché, soprattutto chi possiede un’attività, “non se lo può permettere di rispondere a domande così delicate”.

“Quando si parla di criminalità organizzata serve l’intervento delle istituzioni, delle forze dell’ordine come della magistratura. Si possono fare mille blitz ed eseguire arresti su arresti, ma se ai blitz non seguono investimenti che permettono di risanare la società e ai ragazzi di fare delle scelte, di non vivere in un ambiente malsano che poi li proietta verso un futuro malsano, i blitz non servono a niente. Domani al posto degli Spada ci sarà qualcun altro. Una società fatta di quartieri dimenticati non sarà mai una società giusta, come non ci sarà mai la legalità”, ci spiega un commerciante della zona del Porto Turistico di Ostia, ancora sotto sequestro dal 2016. Qui la crisi economica ha dato il colpo di grazia ad un contesto di attività economico-commerciali che già, tra degrado e minacce dei clan criminali, facevano fatica a sopravvivere. “Mancano tantissime cose, a Piazza Gasparri non c’è niente, un calzolaio, un bancomat, un ristorante…nulla. Le serrande dei negozi sono tutte abbassate e, come se non bastasse, far proliferare le attività commerciali negli ultimi anni è stata una missione impossibile, perché c’è gente che, gestendo determinate attività illecite, non ha convenienza che si crei nuovo lavoro”.

“Romoletto e Roberto erano gente del quartiere, salutavano sempre, non posso dire niente sul loro conto perché con me sono sempre stati gentili, garbati. E non penso che la sentenza sia giusta, perché a Ostia non c’è la mafia, ma gente che muore di fame, abbandonata, che deve lottare per i servizi essenziali. In questo senso gli Spada hanno sempre aiutato, dando i soldi a quelle famiglie che non riuscivano ad arrivare a fine mese e alle madri che, quando arrivava il saggio di danza di fine anno delle figlie e dovevano comprare il vestitino, non potevano permetterselo”, ha spiegato Marisa (nome di fantasia), una donna disillusa che da 6 mesi attende che venga aggiustato l’ascensore della palazzina in cui abita.

“Ad Ostia si può fare la guerra alla mafia, ma non senza combattere parallelamente delle piccole battaglie quotidiane: rifare i marciapiedi, creare aree verdi, spazi di aggregazione, riqualificare in generale il territorio. Aiutare le persone a vivere assicurandogli dei servizi, ma soprattutto assicurando ai più giovani la possibilità di scegliere liberamente il proprio futuro. Le case popolari dell’Idroscalo sembrano delle favelas, c’è una situazione paradossale. Perché lo Stato permette che si calpesti così la dignità delle persone? Uno Stato così è chiaro che non può essere riconosciuto. E allora riconosci solo chi ti aiuta a vivere”, ha commentato un altro commerciante.

Le voci degli attivisti di Libera, associazione contro le mafie: “Siamo felici della sentenza, ma serve lavoro sul territorio”

“Da quando ad Ostia si è cominciato a parlare di mafia ci sono stati dei benefici, l’attenzione mediatica è stata alta e questo in parte ha aiutato e in parte ha contribuito ad aumentare le tensioni su conflitti preesistenti. Grazie alla magistratura possiamo parlare di mafia senza essere smentiti, ma questo non è sufficiente. Serve un lavoro di crescita culturale e di attenzione da parte delle istituzioni”. Queste le parole di Carlotta De Cuntis, membro di Presidio Libera Ostia Giancarlo Siani, rete di associazioni che da anni – dal 1995 – si batte contro la mafia e promuove la cultura della legalità.

Libera – come si può leggere sul suo sito – è un’associazione “per”: “per la giustizia sociale, per la ricerca di verità, per la tutela dei diritti, per una politica trasparente, per una legalità democratica fondata sull’uguaglianza, per una memoria viva e condivisa, per una cittadinanza all’altezza dello spirito e delle speranze della Costituzione”. Ma soprattutto è un porto sicuro in cui possono attraccare le navi in balia di una tempesta, cioè quei cittadini che sono vittime del giogo della mafia, ai quali Libera offre sostegno legale, anche costituendosi parte civile in quei processi – tutti, in effetti – nati dalle coraggiose denunce di chi è stato minacciato, di chi ha sfidato un sistema non per essere acclamato come eroe ma solo per poter condurre una vita normale.

TPI ha ascoltato le voci, pulite e giovani, di Carlotta e Davide di Libera, che oggi si dichiarano soddisfatti per la sentenza della Cassazione, per gli ergastoli e per quella parola, mafia, che finalmente si può pronunciare ad alta voce. Voci di speranza per un quartiere che, come tanti altri a Roma, soffrono di un disturbo chiamato “indifferenza”.

 

Palestra della Legalità, il presidente Monnanni: “Non solo repressione del crimine, istituzioni e società civile devono fare rete per la comunità”

“È importante che tutte le istituzioni, non solo quelle che si occupano della repressione del crimine, e il mondo della società civile, costituiscano una rete per lavorare insieme al benessere della comunità. Affinché possa cambiare qualcosa, accanto agli interventi e al controllo delle forze dell’ordine deve esserci una mobilitazione da parte dei cittadini di Ostia, persone che in precedenza, in una situazione di mancata attenzione nei loro confronti, si sono trovati a far prevalere un clima di sfiducia verso le istituzioni. D’altronde un cittadino che è solo, che non ha strumenti di reazione, diventa insofferente e non crede più nell’aiuto della politica, con la quale oggi è cambiato il modo di rapportarsi. Il concetto chiave, determinante, in questo senso, è “nessuno operi da solo”. Si deve cambiare registro e per farlo è necessario andare nei territori e fare cose concrete”.

A parlare è Massimiliano Monnanni, Presidente di Asilo Savoia, che si occupa di iniziative di promozione sociale in molti territori di Roma, non solo ad Ostia, e che ha dato vita alla Palestra della Legalità, una start up che realizza attività sportive e sociali sul territorio, nata a seguito di un accordo con il Tribunale di Roma e la Regione Lazio per restituire ai cittadini una struttura che era stata occupata proprio dal clan Spada. Oggi la palestra è uno dei punti di ritrovo della comunità di Ostia Nuova, oltre che un luogo dove si offrono opportunità di lavoro a giovani sportivi e atleti. “La gente ha bisogno di vedere continuità d’azione da parte della politica, perché succede che i cittadini di certi territori difficili vedono l’attenzione mediatica e istituzionale legata all’emergenza, a degli eventi ben precisi (vedi la testata di Roberto Spada a Piervincenzi). E invece non c’è bisogno dell’attenzione del momento, ma di attenzione continua, che è quella che fa la differenza. Oggi la nostra palestra conta 1.140 abbonati, nonostante all’inizio quello che si diceva è che avremmo chiuso tutto nel giro di 2 mesi”, racconta con soddisfazione Monnanni.

La Palestra della Legalità ha distribuito a cittadini che si trovano in condizioni di disagio 300 abbonamenti completamente gratuiti per frequentare la palestra. Secondo Monnanni la sentenza della Cassazione sul clan Spada “testimonia che il fenomeno mafia oggi è un qualcosa di diverso rispetto al passato, rispetto a quello che veniva tradizionalmente definito come mafia in riferimento anche a un contesto geografico ben preciso”. Qui ad Ostia e non solo – prosegue il Presidente di Asilo Savoia – sono stati osservati comportamenti e azioni che hanno portato la magistratura a definirli “mafiosi” e penso che su questo, ad oggi, non ci sia alcun dubbio”.

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