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Coronavirus, l’identikit dei nuovi contagiati: “Più giovani e meno gravi”

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È la prova che il virus si è indebolito? Su questo tema gli esperti rimangono divisi

Coronavirus, l’identikit dei nuovi contagiati: “Più giovani e meno gravi”

“Più giovani e meno gravi”: è questo l’identikit dei nuovi contagiati dal Coronavirus. A tracciarlo è stato in un articolo il quotidiano Corriere della Sera, che sottolinea anche come i nuovi contagi in realtà siano rarissimi. “Al San Martino di Genova non arrivano praticamente più casi ‘freschi’ da dieci giorni – rivela al giornale Matteo Bassetti, primario della clinica di Malattie infettive – Abbiamo avuto un cluster in una Rsa dove abbiamo ricoverato cinque nonnine che sono già tutte uscite. Una sola aveva un quadro più impegnativo, ma niente a che vedere con quello che c’era a marzo. Ci sono tanti soggetti che definiamo ‘grigi’, arrivano con sintomi respiratori e rimangono per un paio di giorni. Le posso dire che su una trentina di soggetti, negli ultimi 15 giorni neanche uno era Covid”.

S&D

Nicola Porro contro Burioni

Un trend confermato anche da Sergio Harari, pneumologo all’Ospedale San Giuseppe MultiMedica di Milano, che afferma di non avere all’interno della struttura casi di Covid-19. “Noi non ricoveriamo un paziente in terapia intensiva dal 16 aprile” gli fa eco Alberto Zangrillo, direttore della terapia intensiva all’ospedale San Raffaele di Milano, finito nell’occhio del ciclone per aver affermato un paio di settimane fa che il Coronavirus era “clinicamente finito”. Ma chi sono coloro, pochissimi a quanto pare, che hanno contratto il Covid-19 di recente? “Sono persone più giovani di quelle che vedevamo prima – afferma l’esperto di Modelli matematici e Biostatistica Patrizio Pezzotti – 55 anni rispetto a 60 anni di media. Essendoci meno infezioni, le capacità del sistema di fare diagnosi sulle persone meno sintomatiche è aumentata”.

Vittorio Demicheli, direttore dell’Ats di Milano, spiega in maniera dettagliata da dove provengono i nuovi contagiati della Lombardia: “Nella settimana all’inizio di giugno circa il 5% dei casi sono venuti dalle Rsa, il 3% dagli operatori sanitari, il 10% dai test sierologici positivi e l’82% sono “civili”, categoria generica che esclude le altre. Nessuno può dire dove si sono contagiati i nuovi infetti. In gran parte, però, dovrebbero essere contagi di origine famigliare contratti, finora, durante il lockdown”. “È un dato di fatto fuori di ogni dubbio che le persone che adesso ricoveriamo, innanzitutto sono poche e poi stanno meglio” conferma Massimo Galli, primario infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano.

“È successo qualcosa nell’aggressività virale, e credo non dipenda solo dal numero di casi – sostiene Harari – Non sappiamo se sia qualcosa nella carica virale o se ci sia stata una mutazione non identificata, o altro ancora”. Sensazione confermata da Bassetti, che dichiara: “Non credo sia solo una questione statistica: i quadri devastanti che abbiamo visto nella prima fase non li vediamo più da un mese, un mese e mezzo”. Di diverso avviso Patrizio Pezzotti, che coordina i report dell’Iss: “È un quadro con meno ‘sotto diagnosi’. Per la maggiore capacità diagnostica di identificare casi lievi, la proporzione dei casi gravi è diminuita, ma non perché sia cambiata la malattia”.

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