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“Tamponi o respiratori esportati all’estero? Sono follie”, a TPI parla Confindustria dispositivi medici

Immagine di copertina
Ospedale da campo a Cremona. Credit: Ansa

Intervista a Massimiliano Boggetti, presidente di Confindustria Dispositivi Medici

“Tamponi o respiratori esportati all’estero? Sono follie”, a TPI parla Confindustria dispositivi medici

Dai dispositivi per la protezione individuale di medici e operatori sanitari ai respiratori utili per mantenere in vita i pazienti: la mancanza delle attrezzature mediche è una delle difficoltà maggiori della lotta contro l’epidemia di Coronavirus in Italia. TPI ha parlato della questione con Massimiliano Boggetti, presidente di Confindustria Dispositivi Medici.

S&D
Presidente Boggetti qual è la situazione delle aziende del comparto?

Nelle ultime settimane siamo stati estremamente impegnati a produrre e, in parte, a riconvertire le nostre produzioni, oltre che a fare una ricognizione delle disponibilità dei dispositivi medici da comunicare ai vari organi che ce lo hanno chiesto. Poi, come tutte le imprese, abbiamo vissuto il dramma del mantenimento dell’attività produttiva durante l’emergenza Coronavirus, coniugando l’obbligo di garantire la sicurezza per i lavoratori con la necessità di mantenere altissimi livelli produttivi.

Quali sono le principali difficoltà?

La prima preoccupazione è quella di tutelare la salute dei lavoratori con i dpi che sembrano diventati introvabili. La seconda è quella di mantenere le forniture attive e gli impianti aperti con il mondo industriale che si è bloccato. Nonostante avessimo spiegato al governo in modo molto chiaro che non fosse pensabile proseguire la produzione in questo modo, in realtà poi si è andati avanti su questa strada.

Ora ci troviamo ad avere la necessità di fornire i nostri beni come dovere morale, per l’impossibilità di interrompere un pubblico servizio, ma prima o poi inizieranno a mancare le materie prime: dagli imballaggi alla cancelleria, parlo di tutte le forniture che rendono viva l’azienda. Non solo di quelle strettamente legate alla filiera.

Una delle sfide principali oggi è di garantire i dispositivi di protezione individuale (dpi) agli operatori sanitari. Avete dei dati sulle aziende che li producono in Italia?

I numeri li forniamo costantemente al ministero e alla Protezione civile, che sono gli organi competenti a dire quale sia la disponibilità. Ma non si può immaginare che a livello globale ci sia una produzione in grado di far fronte a questa situazione di emergenza se non si sono fatte scorte, sono stati limitati i magazzini degli ospedali, sono stati centralizzati gli acquisti e si è spostato tutto sul prezzo, in una scarnificazione dell’intera filiera. Ci auguriamo che questa tragedia porti a una riflessione profonda su cosa dovremmo fare meglio, affinché ciò che sta succedendo non accada più.

Una riflessione da ricordare per il dopo emergenza.

Sì, è brutto dire “lo avevo già detto”. Però era chiaro che un sevizio sanitario che fatica a gestire la quotidianità di certo non sarebbe stato pronto a gestire l’emergenza. Dispiace vedere che nel nostro paese manca una visione prospettica sul futuro, in modo da prendere decisioni sulla base di una strategia. Si vive spesso alla giornata, con la sensazione di un’assenza di programmazione, questo è il risultato.

Borrelli teme che non arriveranno più mascherine dall’estero. Per quanto riguarda la riconversione aziendale quali sono i tempi?

L’industria sta facendo tutto il possibile per gestire l’emergenza. In queste settimane abbiamo avuto moltissime offerte di disponibilità e aiuto, che abbiamo appreso con gioia, ma costruire un dispositivo medico non è come costruire un paio di calzini, una cravatta o una camicia. Anche una mascherina, che sembra un oggetto semplice, ha all’interno la sua tecnologia che serve a proteggere il medico e il paziente. Il rischio, con una mascherina non idonea, è quello di ottenere un effetto contrario: quello di sentirsi protetti e stare meno attenti, con il conseguente rischio di contagiarsi. Abbiamo condiviso la scelta di soprassedere sulla marcatura CE in piena emergenza, ma bisogna stare attenti a non investire soldi sprecandoli in produzioni che non funzionano.

Ci può dire almeno se parliamo di settimane o di mesi?

Questo dipende dal tipo di attività e dal know how specifico dell’azienda. Sarebbe sbagliato dare delle tempistiche di riconversione.

Le mascherine poi devono essere anche testate.

Sì, per questo abbiamo lavorato con l’Istituto superiore di Sanità per creare almeno una scheda tecnica base che deve essere seguita dai produttori.

E per quanto riguarda i respiratori?

Ci sono fabbriche che stanno cercando di riconvertirsi per produrre respiratori polmonari. Ho contattato personalmente anche industriali esperti nella produzione di macchinari scientifici complessi, ma il problema è che ogni macchinario ha le sue caratteristiche specifiche. Riconvertirsi non è semplice. Il dato positivo è che ci siamo messi a sistema, tante aziende con molto know how specifico hanno messo la loro capacità specifica al servizio di esperti della materia.

A proposito dei respiratori, oggi è arrivata la notizia di un sequestro ad Ancona di 1.800 macchinari prodotti da un’azienda milanese e destinati alla Grecia.

Queste sono follie, spero si fermino al più presto. Abbiamo letto anche di un’azienda che ha esportato tamponi negli Stati Uniti. Sono follie, lo dico senza mezzi termini. Tuttavia devo ammettere che il sistema normativo non è semplice: ad oggi nessuno ha detto che la produzione italiana deve essere destinata solo all’Italia, si è detto che le deve essere data priorità. Credo che sul punto occorra fare chiarezza. Il mio augurio è che ogni industriale, prima di spedire all’estero materiale così necessario all’Italia faccia prima un passaggio necessario con le istituzioni, anche magari attraverso di noi.

C’è però un’ordinanza della Protezione civile ha vietato alle imprese italiane la vendita all’estero di strumenti medici utili a curare il Coronavirus.

Solo alcuni dispositivi medici sono soggetti a quella ordinanza, poi ce ne sono molti altri. I casi di esportazione citati sono comunque molto isolati, il grosso del comparto dell’industria sta reagendo con grande senso di responsabilità e intelligenza.

 

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