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“Deforestazione e allevamenti intensivi stanno aggravando la diffusione dei virus nel mondo”

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Deforestazione in Colombia. Credit: EPA/Mauricio Dueñas Castañeda

L'opinione del geologo e divulgatore scientifico Mario Tozzi su La Stampa

“Deforestazione e allevamenti intensivi stanno aggravando la diffusione dei virus nel mondo”

C’è un filo rosso che lega l’epidemia del coronavirus, e altre epidemie recenti, ai danni che l’uomo sta facendo all’ambiente. Dalla deforestazione agli allevamenti intensivi, dalla caccia al traffico illegale di animali, le azioni dell’uomo nei confronti della fauna e dell’ambiente che lo circonda producono conseguenze per le sue stesse condizioni di salute. A sottolinearlo è il geologo e divulgatore scientifico Mario Tozzi in un articolo pubblicato ieri su La Stampa.

“I ricercatori partono da una semplice considerazione, che il minimo comune denominatore di tutte queste patologie è indubbiamente la trasmissione animale”, spiega l’esperto, che non si riferisce solo al Covid-19 ma anche alle epidemie di Ebola, Sars e Zika, H1N1 e Mers. Il 70 per cento delle Eid (Emerging Infectious Diseases, malattie infettive emergenti) deriva da un’interazione più o meno diretta fra animali selvatici, addomesticati e sapiens”, sottolinea Tozzi. “In questo senso vanno tenuti in conto diversi fattori scatenanti e/o aggravanti”.

Tra questi c’è innanzitutto l’alta densità di popolazione delle aree urbane, che favoriscono le epidemie. “Le epidemie sono un prodotto dell’urbanizzazione”, scriveva già alla fine di gennaio David Fickling, opinionista di Bloomberg. “Solo quando gli umani iniziarono a stiparsi in città densamente popolate circa 5mila anni fa, le infezioni furono in grado di raggiungere la massa critica necessaria per ucciderci in gran numero. Le epidemie di malattie in tutto il mondo che chiamiamo pandemie iniziarono a emergere solo quando la nostra civiltà urbana divenne globale”, sottolinea Fickling.

“È, peraltro sotto gli occhi di tutti, sebbene non inquadrabile scientificamente”, sostiene Tozzi, “che sia la provincia di Hubei, sia, vorrei dire soprattutto, la Pianura Padana sono regioni estremamente degradate dal punto di vista della qualità ambientale in generale e dell’aria in particolare. In Europa non c’è un’altra area così inquinata come la nostra. Una questione che va presa con le molle, ma che non andrebbe trascurata”.

 

Anche la deforestazione, il cambio di uso del suolo, gli allevamenti hanno un ruolo nell’intensificarsi dei rapporti “sapiens-fauna domestica-fauna selvatica”. Il geologo cita ad esempio “il caso del virus Nipah, comparso in Malesia nel 1998, e probabilmente legato all’intensificarsi degli allevamenti intensivi di maiali al limite della foresta, dove cioè si disboscava per ottenere terreni a spese dei territori di pertinenza dei pipistrelli della frutta, portatori del virus”.

Il “salto di specie” (spillover) viene favorito, spiega Tozzi, “dove ci sono attività umane che impongono grandi modifiche ambientali”. A pesare è anche il commercio illegale della fauna, legato strettamente al caso del Covid-19 in quanto sarebbe connesso al traffico del pangolino cinese, ambito dai bracconieri per le scaglie della sua corazza.

Ad accusare questo animale è stata una ricerca condotta in Cina da dalla South China Agricultural University (Scau) di Guangzhou. I ricercatori Shen Yongyi e Xiao Lihua riferiscono di avere confrontato sequenze genetiche di coronavirus prelevate dal pangolino e dall’uomo, rilevando che sarebbero sovrapponibili per il 99 per cento, anche se la comunità scientifica ha invitato ad avere cautela verso le conclusioni di questo studio.

Insomma, diventa sempre più cruciale comprendere l’idea che far bene all’ambiente sia fondamentale per la salute e la sopravvivenza dell’umanità e che bisogna agire e mettere in atto comportamenti tali da evitare queste conseguenze. Prima che nuovi virus facciano scoppiare nuove epidemie, non solo dopo.

 

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