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Chi l’ha deciso che un cantante debba “solo” cantare? Gli insulti a Baglioni sono il riassunto perfetto dell’anno peggiore della storia d’Italia

Immagine di copertina

Sempre la stessa storia, ma stavolta con un molte più ripercussioni. Se sei un cantante, o in generale una donna o un uomo di spettacolo, non ti puoi permettere di esprimere opinioni politiche. Lo dicono i commentatori su Facebook, lo dicono i ministri.

S&D

Andiamo con ordine. Baglioni, alla conferenza stampa di presentazione del festival di Sanremo, decide di fare una cosa straordinaria, fuori dall’ordinario, e che ha perfettamente senso.

Dice: l’Italia è un paese incattivito – la politica e l’opinione pubblica hanno affrontato in modo tremendo la questione dell’immigrazione, assurdo fare la voce grossa con 49 poveracci, il ruolo del festival è portare armonia lì dove non c’è.

“A noi interessa creare un senso armonico, proprio perché il paese è terribilmente disarmonico. Vogliamo essere i trombettieri di qualche buona battaglia”, dice il direttore artistico di Sanremo. E in Italia al momento tutto c’è, tranne l’armonia.

Baglioni in pochi minuti viene sommerso di insulti. Viene accusato di essere un cantante e gli viene detto: i cantanti cantano, sono i politici che parlano.

E perché mai? Chi l’ha detto? Non è forse l’arte la più bella e immortale modalità di denuncia, di militanza, di attivismo politico?

E poi, a volere essere proprio pignoli, un politico, e un ministro ancora di più, dovrebbe fare, non solo parlare. E proprio Salvini è colui che riassume alla grande questa massima: parla di porti chiusi per mera, infima e schifosa propaganda sui 49 migranti che avevano i riflettori puntati, ma nel mentre gli sbarchi continuavano regolari, senza proclami e senza prese di posizione deliranti.

Leggi anche: I porti italiani non sono chiusi: la retorica di Salvini smentita dai dati del Viminale sugli sbarchi

Baglioni è stato ricoperto di insulti. Il più tenero era di questo tenore: “Baglioni non dovevi azzardarti a criticare il governo, o meglio il Capitano. Come ti permetti a parlare di umanità, tu che hai ville e attici e che per Sanremo prendi i milioni?”

E così a ruota, tra un Boicotta-Sanremo e un zitto-tu-col-rolex-al-polso. Sacrilegio.

Se gli italiani si fossero indignati contro la mafia quanto si sono indignati per 49 poveracci in balia delle onde, a quest’ora l’Italia sarebbe il paese più bello del mondo, come ha fatto notare qualcuno in questi giorni infuocati. Niente di più vero.

Leggi anche: Sea Watch, chi ha vinto e chi ha perso

L’Italia è un paese diviso a metà ormai, e il festival di Sanremo è una delle poche cose che unisce: nei giorni prima del festival tutti uniti nel criticarlo, nei giorni del festival tutti uniti nel guardarlo. Ha perfettamente senso che durante la presentazione Baglioni rivendichi questo ruolo, nella cornice di una kermesse che risale al dopo guerra, e che ha contribuito, a vario titolo, a “fare gli italiani”.

Pierfrancesco Favino l’anno scorso proprio al festival ha messo in scena una performance straordinaria contro il razzismo, che ha fatto accapponare la pelle a mezza Italia, la stessa che il mese dopo avrebbe mandato al governo partiti xenofobi e sovranisti, ma questa è un’altra storia.

Un cantante canta dice Salvini. È vero, un cantante canta, pacifico, lapalissiano.

Ma cosa canta? Venti anni fa come oggi moriva Fabrizio De André. Il più grande tra i più grandi. Che cantava di puttane, di bassifondi, di feccia dell’umanità. E denunciava, e apriva gli occhi, tirava pugni nello stomaco alla gente. Ma, cantava, sì cantava. Come altro avrebbe potuto dire quello che ha detto?

Nella stessa giornata anche un altro personaggio popolare è stato sommerso di insulti: Beppe Grillo, dopo la sua firma al patto per la scienza di Burioni.

Leggi anche: Grillo ha creato un mostro che gli si sta ritorcendo contro: i no-vax

È stato un anno tremendo per l’Italia. Su TPI lo abbiamo raccontato in ogni sfaccettatura. L’anno in cui l’odio è stato definitivamente sdoganato, l’anno in cui è diventato lecito non vergognarsi di essere razzisti. L’anno in cui ha iniziato a farsi strada l’idea che non solo non ci sia nulla di male a essere razzisti, ma anzi, che è una cosa necessaria. Buona e giusta.

Il problema non sono i grillini, non sono i leghisti. Non è Salvini. Non è Grillo. Non è Di Maio. Non sono gli haters di Baglioni, né quelli di Sanremo. Non è nessuno. Il problema è l’ignoranza enorme e senza fine dei cittadini. Di tutti noi. Di tutti noi pigri, che ci fermiamo al titolo. Di tutti noi che leggiamo superficialmente.

Di tutti noi che la sera pigramente scorriamo Facebook invece di leggere un libro. Di tutti noi che diciamo di essere antifascisti, ma in fondo in fondo pensiamo che sia un argomento vintage (“che pesantezza continuare a evocarlo”). Di tutti noi, che pensiamo di essere dei geni, di aver capito tutto del mondo, di essere in diritto di avere un’opinione su tutto.

Di tutti noi, che non riconosciamo i fenomeni quando stanno per nascere, e che quando ci svegliamo, è già troppo tardi. E di tutti noi, che non abbiamo ancora capito che è la scuola la vera chiave di tutto. L’antidoto più bello: una scuola potente, arginante.

Che provi a salvare il salvabile. Che dia gli strumenti, ma non per finta, per affrontare il problema. Che è solo uno in fondo, e perfettamente scalfibile. Di tutti noi, che sottovalutiamo sempre tutto.

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