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I colori che vediamo oggi non sono sempre esistiti

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Credit: afp

Forse non ci siamo mai chiesti se, tra noi stessi esseri umani, vediamo colori diversi in base al contesto a cui apparteniamo.

S&D

Esistono infatti popolazioni come i Dani, in Papua Nuova Guinea, che hanno soltanto due nomi per i colori (mili per tutti i colori chiari, mola per tutti i colori scuri), che mostrano di prendere in considerazione più la luminosità rispetto alla tonalità, nel nominare i colori.

Molte altre lingue contano solo tre, quattro, o cinque nomi per i colori. La lingua Warlpiri, parlata dagli aborigeni di un territorio nel nord dell’Australia, non ha nemmeno un modo per chiedere “Di che colore è?”.

Quindi se una lingua manca di un termine per un colore, lo percepisce anche in modo diverso?

Facendo uno studio su più di cento lingue, negli anni Settanta i linguisti Brent Berlin e Paul Kay scoprirono che c’è un rapporto di necessità tra il numero di termini per i colori sviluppati e l’area dello spettro dei colori corrispondente.

La categorizzazione dei colori potrebbe avere quindi in qualche modo una base universale, e i ricercatori oggi tendono ad essere d’accordo sul fatto che la percezione dei colori è uguale per tutti gli esseri umani.

Tuttavia, l’attenzione che poniamo su certi aspetti della realtà, e la nostra capacità di vedere differenze più accentuate tra una tonalità ed un’altra, potrebbe essere diversa da contesto a contesto.

Recentemente lo scienziato cognitivo Edward Gibson ha guidato una squadra di ricercatori nella foresta pluviale amazzonica della Bolivia, il suo team ha studiato il metodo con cui gli esseri umani comunicano riguardo i colori. Il suo team ha preso in esame gli Tsimane, una tribù di cacciatori-raccoglitori che vivono come nell’era pre-industriale.

Nella ricerca pubblicata all’inizio di settembre dal Proceedings of the National Academy of Sciences gli scienziati hanno confrontato i termini utilizzati per definire i colori nel linguaggio Tsimane con quelle di altre 110 lingue in tutto il mondo. I ricercatori hanno scoperto sorprendenti somiglianze tra tutte le lingue.

Il numero di termini complessivi di colore in una data lingua varia drasticamente tra le lingue, scrivono Gibson e suoi colleghi. Ma tutte le lingue categorizzano i colori generalmente nello stesso modo, in due gruppi: toni caldi e freddi.

Allo stesso modo, in tutte le lingue e culture, le parole per tonalità calde – come il rosso, il rosa, l’arancio, il giallo e il marrone – sono comuni, mentre per i toni freddi, come il blu e il verde, esiste un numero limitato di termini.

Nello studio pubblicato dagli scienziati però, si sostiene inoltre che queste popolazioni non siano in grado di vedere, letteralmente, alcune sfumature di colori, proprio perché nella loro lingua quelle sfumature non esistono. Secondo gli scienziati infatti quelle sfumature sono state create artificialmente dalla società industrializzata. ”

I popoli dell’era pre-industriale, come conseguenza del diverso sviluppo linguistico, hanno un modo diverso in cui il pensiero e il cervello lavorano”, scrivono i ricercatori.

Fino a ora gli scienziati credevano che la maggiore diffusione dei termini per i colori caldi fosse dovuta a una maggiore distinguibilità degli stessi nell’abiente circostante.

La ricerca condotta dal team di Gibson mette in evidenza un nuovo aspetto: l’utliltà dei colori.

Colori come il blu e il verde sono i colori di sfondo, come quelli del cielo o dell’erba, mentre gli occhi tendono a focalizzarsi su quelli degli oggetti in primo piano, normalmente più caldi.

“Statisticamente i colori caldi sono più presenti nelle lligue delle diverse culture a causa, semplciemente, del maggior numero di cose esistenti in natura che hanno un colore caldo”, scrivono i ricercatori.

“non esistono molti elementi di colore blu innatura”.

Si tratta quindi di una necessità sviluppata dall’uomo che artificialmente ha inventato nuovi oggetti, e quindi nuovi termini per i colori.

Il progresso nell’uso dei materiali e nella grafica ci ha consentito di creare nuove gradazioni di colore che in natura non si distinguerebbero in maniera così netta.

Possiamo creare e mescolare colori usando un semplice programma sul nostro computer. Un tempo non esisteva l’ “oro rosa” ad esempio.

L’industrializzazione, che crea oggetti che si distinguono sul mercato anche in base al loro colore originale, ha fatto sì che fosse un aumento dell’utilità del colore”, concludono gli scienziati.

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