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Il piano di Trump sull’Iraq: sottrarre il petrolio per ripagare le spese belliche e frenare l’Isis

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Ma gli analisti avvertono: sarebbe un crimine di guerra e potrebbe scatenare reazioni violente nella popolazione irachena

Il candidato repubblicano alla Casa Bianca, Donald Trump, ha una strategia tutta sua per quanto concerne la questione irachena: impadronirsi del suo petrolio sottraendolo così all’Isis.

S&D

Ma il suo piano presenta dei limiti sotto diversi punti di vista e sarebbe contrario alle norme vigenti in materia di diritto internazionale. Una misura simile (se venisse ipoteticamente applicata) equivarrebbe a un crimine di guerra. Esperti di strategie militari e analisti hanno espresso la loro posizione al riguardo, in un lungo articolo sul Guardian

Il piano di Trump per sottrarre il petrolio iracheno è stato uno dei temi più ricorrenti della sua strategia politica in ambito di sicurezza nazionale, illustrato anche prima della sua campagna presidenziale: per Trump “prendersi il petrolio iracheno non vorrebbe dire rubarlo, ma rimborsare gli Stati Uniti per i costi dei suoi impegni militari in Medio Oriente, contribuendo a svuotare così le casse dell’Isis”. 

Il candidato repubblicano ha ribadito questa sua linea strategica in occasione di un dibattito trasmesso dall’emittente americana NBC il 7 settembre scorso. “Noi spendiamo miliardi, perdiamo migliaia di vite umane e che cosa otteniamo in cambio? Nulla”.

Già nel 2011 aveva dichiarato al Wall Street Journal che questa sarebbe stata la sua politica per l’Iraq. “Non stiamo rubando nulla, ma stiamo semplicemente rimborsando noi stessi”. 

Come strategia di sicurezza essa presenta enormi problemi sotto innumerevoli profili, secondo quanto affermato da esperti di strategie militari.

In primo luogo, ci sono questioni di principio e di legalità: la frequente invocazione di Trump del cosiddetto “bottino di guerra” sembra volersi rifare a un’epoca passata di conquistadores e imperialismo, e in base alle attuali norme che regolamentano le situazioni di conflitto armato risulterebbe illegale. 

“Le esportazioni di petrolio rappresentano la principale fonte di entrate irachena. Sottrarre questo bene per pagare gli stipendi del governo, mantenere l’esercito e rimpinguare le casse americane innescherebbe un livello di animosità nazionale di gran lunga peggiore di quanto già è stato fatto. Sarebbe il peggior tipo di neocolonialismo. Neanche il Regno Unito è arrivato a tanto”, ha affermato l’autore di un report sull’indipendenza energetica. 

“È difficile esagerare la stupidità di questa idea. Anche i nostri alleati in Medio Oriente considerano il petrolio nelle loro terre come un dono di Dio e come l’unica fonte di reddito importante per promuovere lo sviluppo dei loro stessi paesi. Sottrarre il petrolio li trasformerebbe da alleati contro l’Isis in nuovi nemici”. 

Inoltre, Trump ha una nozione esagerata di quanto petrolio è in gioco quando suggerisce che ciò potrebbe contribuire a rimborsare l’occupazione in Iraq. Gli iracheni possiedono una delle più grandi riserve di petrolio nel mondo, ma questo petrolio non è sotto il controllo dell’Isis. “Il territorio che l’Isis controlla non possiede tanto petrolio”, ha precisato un ricercatore della Rice University di Houston.

“In Iraq, la maggior parte delle riserve petrolifere irachene si trovano nell’estremo sud, nelle aree del Golfo Persico. Ve ne sono anche nel nord nel Kurdistan, ma i curdi hanno preso quell’area nei pressi di Kirkuk”. 

L’esercito degli Stati Uniti ha già preso di mira le piccole raffinerie di petrolio sotto il controllo del sedicente Stato islamico e i convogli che lo trasportano, al fine di recidere una loro fonte di reddito, ma Trump ha in mente altro. 

Sottrarre il petrolio al popolo iracheno comporterebbe gravi conseguenze, secondo quanto affermato da un ex ufficiale di marina ora analista militare. 

“Ci vorrebbe un dispiegamento di 100mila soldati, più l’attrezzatura, i pattugliamenti aerei, al fine di assicurarsi i giacimenti petroliferi ed estrarre il petrolio”, ha sottolineato l’analista. 

Pertanto, i costi materiali e non delle operazioni militari sarebbero di gran lunga superiori alle eventuali entrate derivanti dal petrolio iracheno.

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