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Dove si vive meglio in Europa

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L'Ocse ha stilato la classifica dei Paesi europei in cui la qualità della vita è più alta

Anche quest’anno l’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, ha diffuso la classifica dei Paesi europei in base alla qualità della vita.

Il rapporto si basa sul Better life index, un indice che prende in considerazione undici parametri – abitazione, benessere economico, lavoro, rapporti sociali, istruzione, ambiente, impegno civico, salute, felicità, sicurezza ed equilibrio tra tempo libero e lavoro.

Quest’ultimo è il più indicativo, perché il rapporto tra ore spese in ufficio e ore da dedicare ad amici e famiglia incide su molti altri aspetti.

In cima alla classifica c’è la Danimarca. Nel Paese si lavora 1.546 ore l’anno, contro le 1.765 della media Ocse. Solo il 2 per cento dei lavoratori fa straordinari, mentre in Europa la media è del 9 per cento.

L’Italia si trova alla tredicesima posizione. I cittadini sono in linea con la media europea se si prendono in considerazione le ore di lavoro (1.752 contro 1.765), mentre la percentuale di persone che fa straordinari è del 4 per cento, cinque punti sotto la media.

(Nella foto sotto: i primi 20 Paesi in cui l’equilibrio tra lavoro e tempo libero è ottimale)

La ricerca ha preso in considerazione due tipi di lavoro, quello pagato e quello non pagato. Di quest’ultimo fanno parte le mansioni domestiche. In Italia si registra una forte disparità tra uomo e donna quando si tratta di lavori non pagati.

L’uomo italiano, infatti, perde 110 minuti al giorno per cucinare, pulire o prendersi cura dei figli. Trentuno minuti sotto la media europea. Le donne, invece, ne perdono 290 al giorno. Il gap nella coppia è il più alto che si registra nell’Unione europea.

Gli italiani con un lavoro a tempo pieno dedicano il 62 per cento del loro tempo (15 ore al giorno) per occuparsi di se stessi (mangiare, dormire, stare in famiglia o con gli amici, guardare la tv). Su questo non si discostano particolarmente dalla media Ocse.

Sono carenti però su tre punti: i tassi di occupazione femminile, di fecondità (il numero medio di figli per donna) e di povertà infantile.

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