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Una scelta indirizzata al futuro (di S. Gambino)

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Sembra ieri, eppure sono passati 20 anni. Era il 7 dicembre 2002 quando il Consiglio Federale della Federazione Cricket Italiana prese una decisione le cui implicazioni future non furono comprese sul momento neanche da coloro che la assumevano. Forse perché a motivarla fu la necessità e non l’affermazione di un principio. Da qualche anno, infatti, risultava palese il calo nel numero dei giocatori indigeni italiani, in coincidenza con l’invecchiamento della generazione dei nati negli anni sessanta, quella che, a fine millennio, aveva permesso la nascita del gioco nella penisola. Erano questi i pionieri del gioco, quelli che avevano conosciuto il cricket al tempo del liceo nella tradizionale vacanza studio estiva in Inghilterra.

S&D

Nel frattempo, però, l’Italia era cambiata anche se, a inizio millennio, non c’era coscienza di questo mutamento. A partire dalla fine degli anni settanta, in modo graduale ma continuo, duecentomila persone provenienti dal subcontinente indiano avevano eletto il bel Paese a loro nuova dimora. Per primi, nelle grandi città, erano arrivati gli srilankesi, in grande maggioranza singalesi. A seguirli, nel decennio successivo, erano stati i pakistani, grandi lavoratori del metallo e per questo fortemente concentrati nel triangolo industriale. Negli anni novanta, a completare il poker, è stata la volta di indiani e bengalesi. I primi, prevalentemente appartenenti alla nazione sikh, nota in Italia per i suoi colorati turbanti, i dastar, hanno gradualmente preso il controllo dell’agricoltura, stabilendosi lungo il Po, al confine tra Emilia-Romagna e Lombardia, e nell’Agro Pontino. I libri di storia non lo raccontano, ma dovrebbero ricordarlo, che fu anche grazie al sacrificio di più di duemila giovani soldati sikh che l’Italia fu liberata dal nazi-fascismo alla fine della seconda guerra mondiale. Infine, buoni ultimi, dalla loro giovane nazione, nata solo nel 1971, sono arrivati i bengalesi, stabilitisi quasi tutti nelle sedi dei grandi cantieri navali.

I ricongiungimenti familiari hanno fatto si che donne e bambini andassero ad aumentare le fila di questa ondata, originariamente di uomini soli, che oggi ha superato la fatidica soglia del mezzo milione di presenze sul nostro territorio. Ancor più degli uomini nei posti di lavoro e delle donne, in maggioranza casalinghe, sono stati i giovani a far sentire il loro peso nelle scuole e sui campi sportivi. Cultura e tradizione hanno ovviamente portato il cricket ad essere la prima disciplina in cui questa nuova presenza si è fatta sentire, proprio nel momento in cui la spinta pionieristica andava ad esaurirsi. Non sorprende, quindi, il fatto che nel 2002 l’attività crickettistica giovanile fosse composta quasi esclusivamente da adolescenti provenienti dal subcontinente indiano. Di questi, pochissimi erano cittadini italiani, anche se una minoranza, nata nel nostro Paese, in prospettiva avrebbe acquisito tale status al compimento dei 18 anni in base alla normativa sullo Ius Soli temperato introdotta nella legge del febbraio 1990.

Ad insistere perché la Federazione adottasse delle misure inclusive nei confronti di questi giovani fu Maurizio Menetti, dirigente del Bologna Cricket Club. Lui, quarantacinquenne spesso costretto a scendere in campo per assicurarsi che la sua squadra ottemperasse alle norme, vedeva le regole esistenti come una gabbia che bloccava lo sviluppo del gioco, generando situazioni al limite del ridicolo con attempati ex giocatori costretti a scendere in campo e tanti ragazzini italo-asiatici, desiderosi di giocare, esclusi dalle partite. Fu così che il cricket italiano quell’ormai lontano 7 dicembre 2002 attraversò il Rubicone, approvando quello che, qualche anno dopo, sarebbe stato definito Ius Soli Sportivo. Il provvedimento, al netto delle strumentalizzazioni demagogiche che sarebbero poi seguite, altro non era che l’anticipazione, a livello sportivo, dei pieni diritti di cittadinanza per i nati in Italia da genitori stranieri, destinati a diventare cittadini al raggiungimento della maggiore età. Negli anni, con l’aumento esponenziale di questa categoria, la questione ha assunto sempre maggior rilevanza, seppur mai con continuità bensì con picchi periodici d’alta intensità in prossimità delle scadenze elettorali. All’epoca, invece, passò sotto silenzio anche perché introdotta da una disciplina minore, qual era il cricket, all’epoca, nel panorama sportivo italiano.

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