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Home » Politica

“Col premierato finalmente avremo stabilità”: parla il costituzionalista che ha lavorato alla riforma Meloni

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“L’elezione diretta del premier e il premio di maggioranza favoriscono la tenuta degli esecutivi. I governi del presidente sono una patologia del sistema. E non è vero che il capo dello Stato è indebolito”. Intervista a Francesco Saverio Marini

«Il premierato rafforza la stabilità di governo e aumenta il livello di democrazia, non è vero che i poteri del Presidente della Repubblica vengono ridotti», dice a TPI il costituzionalista Francesco Saverio Marini, “papà” della riforma costituzionale del governo Meloni. Professore ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Marini è uno dei giuristi che ha attivamente collaborato alla stesura del testo. 

S&D

Quali sono i presupposti che hanno dato vita alla riforma costituzionale che introduce il premierato?
«La volontà era quella di rafforzare soprattutto la stabilità di governo e aumentare il livello di democrazia. Quindi da un lato si è prevista l’elezione diretta del presidente del Consiglio, in modo da non rimettere ai partiti la scelta del premier ma direttamente ai cittadini. E dall’altro si è prevista una legge elettorale di tipo maggioritario che potesse garantire la stabilità dell’esecutivo e una solida maggioranza parlamentare, che assicurasse il governo cosiddetto di legislatura». 

Come mai non si è scelto un sistema presidenziale o semipresidenziale, modelli ai quali anche la stessa premier Meloni ha più volte guardato con interesse?
«Questo è avvenuto a valle del confronto sia dentro la maggioranza sia soprattutto con le opposizioni e anche con la società civile. Da questi confronti è emerso che vi era una larga condivisione sul fatto che non si dovessero toccare i poteri del presidente della Repubblica e vi era una forte contrarietà a un’elezione diretta del capo dello Stato. Dato che sia il sistema presidenziale che quello semipresidenziale prevedono un’elezione diretta del presidente della Repubblica, e quindi un notevole cambiamento di quella figura istituzionale, si è ritenuto che il premierato fosse invece in maggiore continuità con il nostro modello costituzionale e soprattutto preservasse il ruolo di terzietà e di garanzia del presidente della Repubblica». 

Chi critica la riforma, però, sostiene che non è vero che le funzioni del presidente della Repubblica rimangano intatte.
«L’affermazione è poco argomentata. Da un punto di vista formale non è stato toccato nessun potere del presidente della Repubblica se non quello relativo alla nomina dei senatori a vita. Dal punto di vista sostanziale anche, perché, riguardo allo scioglimento, il capo dello Stato ha gli stessi poteri di prima. In caso di crisi di governo, il presidente della Repubblica potrà valutare, anche sulla base del confronto con le forze parlamentari, se nominare un nuovo presidente o se procedere allo scioglimento. Per quanto riguarda la stessa nomina del presidente del Consiglio, quello che cambia non è il potere del presidente ma il potere dei gruppi parlamentari. Anche oggi il presidente della Repubblica, una volta verificata l’esistenza di una maggioranza, nomina un premier che gli viene indicato dai gruppi di maggioranza. I cosiddetti “governi del presidente” sono una patologia nel nostro assetto costituzionale». 

La riforma è strettamente collegata a una nuova legge elettorale che dovrà garantire il 55% dei seggi in Parlamento alla maggioranza. Non c’è il rischio, come già accaduto in passato con l’Italicum, che vengano rilevati profili di incostituzionalità proprio su questo punto?
 «A mio avviso no, per due motivi. Innanzitutto perché quella giurisprudenza si è formata sulla base di una Costituzione differente che non prevedeva espressamente, come in questo caso, un premio di maggioranza. Chiaramente dipenderà da che cosa verrà scritto nella legge elettorale. Quindi dei profili di illegittimità se ci saranno, e nella misura in cui ci saranno, riguarderanno solo ed esclusivamente la legge elettorale. In secondo luogo, se si legge la giurisprudenza costituzionale, la Corte ha salvato la legge elettorale che riguarda i Comuni, ritenendo giustificabile un premio di maggioranza più ampio, facendo leva sul fatto che il vertice dell’istituzione viene scelto dal popolo». 

Il presidente del Consiglio eletto può essere sostituito con un altro premier, espressione della stessa maggioranza. Non c’è il rischio che il premier subentrante abbia più potere del suo predecessore poiché, in caso di sfiducia, si andrebbe a elezioni?
«Effettivamente è così, il premier subentrante avrebbe un potere in più che è quello legato al “simul stabunt simul cadent”. Qui vanno fatte due considerazioni: anzitutto non si poteva, visto che l’obiettivo era quello di assicurare stabilità, ammettere la possibilità di continui cambi di governo, quindi introdurre un limite era quantomeno opportuno rispetto agli obiettivi della riforma. In secondo luogo il premier subentrante può essere anche lo stesso presidente del Consiglio eletto, questo non è escluso. Inoltre, i parlamentari, nel momento in cui dovessero sfiduciare il premier eletto, saprebbero che l’effetto è questo. Questo fisiologicamente da un punto di vista politico, ancora prima che giuridico, finirebbe per rafforzare ancora una volta la stabilità del governo del presidente eletto». 

La maggioranza, in caso di sfiducia del premier eletto del popolo, pur restando ancorata al programma di governo, potrebbe comunque essere allargata.
«Ovviamente sì, questo accade in qualsiasi ordinamento giuridico anche perché non si può escludere o vietare a un parlamentare dell’opposizione di convincersi della bontà del programma della maggioranza o di qualche provvedimento che ritiene positivo per il Paese». 

Molti sostengono che il capo dello Stato Mattarella dovrebbe dimettersi nel caso in cui la riforma venisse approvata. Qual è la sua opinione in merito?
«Chiaramente sono valutazioni che fa il presidente della Repubblica. Personalmente non vedo nessun motivo al mondo per il quale il capo dello Stato si debba dimettere proprio perché non vengono toccati i suoi poteri, il suo ruolo istituzionale rimane identico, le modalità di elezione non vengono minimamente toccate. Il motivo per cui dovrebbe valutare le dimissioni per me è incomprensibile, sia giuridicamente che politicamente». 

Lei auspica un confronto parlamentare sulla riforma, con l’eventualità che il testo possa anche essere cambiato, o ritiene che la norma debba essere approvata così com’è e quindi sottoposta al giudizio popolare tramite referendum?
«Penso che il Parlamento debba fare il suo lavoro per cercare di migliorare il testo e per cercare di trovare la sintesi più ampia possibile. Qualsiasi modifica del testo che va in questa direzione è un fatto positivo. Chiaramente mi auguro che, dall’eventuale confronto parlamentare, esca poi un testo che comunque mantenga gli obiettivi che questa riforma si è posta, ovvero, come già detto, rafforzi la democrazia e assicuri stabilità. A queste condizioni credo che anche la maggioranza abbia tutto l’interesse a trovare una sintesi. Se si dovesse andare al referendum, non lo ritengo un fatto di per sé negativo, anzi. Coinvolgere i cittadini in scelte di questa importanza è salutare per la democrazia».

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