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Home » Politica

Torselli (FdI) a TPI: “In Italia è sotto attacco il diritto ad astenersi ai referendum”

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Francesco Torselli, 49 anni, eurodeputato di Fratelli d'Italia in carica dal 2024

L'eurodeputato: "C'è chi, strumentalmente, vuole tentare di mettere in connessione l’invito a non partecipare al referendum con il problema della scarsa affluenza alle urne. Meloni, andando al seggio senza ritirare le schede, smonta questa propaganda. A sinistra usano il referendum per fare il Congresso del Pd"

Onorevole Torselli, domenica e lunedì sono in programma i referendum su lavoro e cittadinanza. La premier Meloni ha detto che andrà al seggio ma non ritirerà la scheda. Qual è il senso di questa scelta?
“È una risposta a chi, strumentalmente, vuole tentare di mettere in connessione l’invito a non partecipare al referendum con il problema della scarsa affluenza alle urne”.

Ossia?
“Sgombriamo subito il campo dagli equivoci: il referendum è uno strumento fondamentale nella vita democratica di un Paese. Ma ricordo che è stato concepito dando agli elettori tre possibilità, non due: votare Sì, votare No, oppure non partecipare al voto ritenendo il quesito non interessante o non necessario. Astenersi è una scelta pienamente legittima. Lo hanno detto anche autorevoli presidenti della Repubblica, uno su tutti Giorgio Napolitano, che in passato si è espresso proprio in questi termini”.

Perché, dunque, Meloni andrà alle urne senza ritirare la scheda?
“In queste settimane chi ha invitato gli elettori ad astenersi al referendum è finito sotto un pesante attacco. A fronte di queste polemiche, il presidente Meloni ha deciso di mandare un messaggio chiaro: l’esercizio del diritto di voto è importante, tant’è che lo eserciterò, ma sono libera di scegliere una delle tre opzioni di cui sopra. In questo modo qualsiasi tentativo di strumentalizzazione cade nel vuoto”.

E lei, onorevole, andrà a votare?
“No, non ci andrò. In occasione dei precedenti referendum ho sempre partecipato al voto, e avrei votato anche questa volta, se non ci fosse stata questa strumentalizzazione folle sulla possibilità di scegliere di astenersi”.

Se andasse, voterebbe No a tutti e cinque i quesiti?
“Sicuramente”.

Eppure due quesiti su quattro puntano ad abrogare un paio di importanti norme del Jobs Act, legge che nel 2014 registrò il voto contrario da parte di Fratelli d’Italia.
“Chi ha proposto questi referendum ha svilito uno degli strumenti principali di partecipazione alla vita democratica. La Cgil, sindacato vicino al Partito Democratico e all’attuale segreteria, propone di abolire due norme di una legge fatta dal Pd quando era al governo allo scopo di fare una conta interna, una sorta di vendetta. Secondo Fratelli d’Italia, non può essere un referendum abrogativo la sede in cui tenere il Congresso del Pd”.

Un altro tema centrale di questi referendum è quello della precarietà. Secondo FdI, qual è la strategia più efficace per contrastare la precarietà nel mondo del lavoro?
“Essendo io un eurodeputato, parto da quello che stiamo facendo al Parlamento europeo, dove stiamo lavorando a una direttiva sugli stage che punta a contrastare i rapporti di lavoro regolari camuffati da tirocini. Nell’immaginario di chi li ha introdotti, gli stage avrebbero dovuto essere la porta d’accesso per facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro, e invece sono diventati diventati la porta di servizio per quei datori che vogliono fare i furbetti e trasformano in tirocinio i contratti a tempo determinato, penalizzando così sia chi deve fare un percorso formativo sia chi cerca un impiego a tempo. Sulla necessità di rivedere la normativa sugli stage tutte le forze politiche sono concordi. A differenza di altri, però, noi di FdI riteniamo che attribuire al tirocinante gli stessi diritti di un lavoratore a tempo determinato non sia nel suo interesse, perché rischieremmo di far sì che queste due figure siano percepite come la stessa cosa, ottenendo quindi l’effetto opposto”.

E a livello nazionale come state cercando di contrastare la precarietà?
“Il Governo ha intrapreso alcune politiche di defiscalizzazione del costo del lavoro che rappresentano senza dubbio un’inversione di rotta. Vede, il posto di lavoro non si crea mettendo in difficoltà chi il lavoro lo dà, ma agevolando le assunzioni. Quando abbiamo ripristinato i voucher siamo stati accusati di aver ripristinato la schiavitù, ma oggi i numeri ci dicono che su determinati tipi di lavoro c’è stata una crescita occupazionale notevole. Più in generale, ricordo che in Italia i tassi di occupazione, occupazione giovanile e disoccupazione non sono mai stati così buoni come oggi”.

I salari, però, sono stagnanti da decenni. Come si inverte questa tendenza? FdI è contraria al salario minimo legale.
“Nei Paesi come il nostro, in cui c’è la contrattazione collettiva, la soluzione non è certo il salario minimo legale”.

La contrattazione collettiva, però, fino ad oggi non ha sortito grandi effetti, visto che, appunto, parliamo di stipendi fermi da trent’anni.
“La inviterei a rivolgere questa obiezione a chi ha firmato quei contratti, cioè ai sindacati. Quello che la politica può fare è vigilare e contrastare chi viola le regole o sfrutta i lavoratori. Il Governo Meloni, inoltre, ha attuato un importante piano di tagli alla pressione fiscale. Qua si continua a parlare di andare in piazza contro l’esecutivo per il salario minimo , ma torno a ripetere – so che sarò noioso – che è il Governo Meloni ad aver portato la disoccupazione ai minimi da vent’anni”.

A Bruxelles lei fa parte della Commissione parlamentare per il Commercio internazionale. Che atteggiamento dovrebbe tenere l’Ue rispetto ai dazi imposti da Trump?
“Noi di FdI lo abbiamo detto fin dall’inizio: l’atteggiamento da tenere è quello del dialogo. Ma – ci tengo a precisarlo – dialogo non significa accettare supinamente e incondizionatamente qualsiasi cosa arrivi dagli Stati Uniti: significa invece quello che, per fortuna, il commissario Maroš Šefčovič ha detto fin dal primo giorno, ovvero che l’Europa deve avere pronto, sì, un durissimo piano di risposta ai dazi americani, ma che quello deve essere sempre e soltanto il piano B. Il piano A deve essere quello del dialogo. Non perché siamo stupidi, ma perché la guerra dei dazi ci farebbe molto male. L’Europa ha il diritto e ha tutti i crismi per stare al tavolo delle grandi potenze mondiali, e ci deve stare con dignità, quindi con in tasca un piano B, ma quando sento alcuni colleghi parlare di sanzioni commerciali da imporre agli Stati Uniti mi cadono le braccia: forse non si rendono conto dello scenario nel quale ci proietterebbe una decisione del genere”.

LEGGI ANCHE: Landini a TPI: “Coi referendum i cittadini tornano protagonisti, ci sono leggi sbagliate da cancellare”

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