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Home » Politica

La Rai di Meloni fa flop negli ascolti. E i costi lievitano

Immagine di copertina
Credit: AGF

La rivoluzione Tv sbandierata dalla destra sta fallendo la prova dello share. I tanti esperimenti e i nuovi programmi stanno raccogliendo risultati deludenti. A Palazzo Chigi serpeggia il malumore

«Abbiamo ereditato un’azienda da brividi», ha detto qualche settimana fa il direttore generale della Rai – e meloniano di ferro – Giampaolo Rossi in un’intervista rilasciata al Foglio, cercando una qualche forma di appiglio per giustificare i tanti flop collezionati dai nuovi programmi targati Tele-Meloni.

Ed è per questo che, a detta del dg, non bisognerebbe criticare, anche perché «solitamente, in Rai, c’era una regola non scritta. Quando un nuovo management si insediava, si lasciava almeno un anno prima di parlarne male, prima di condannare dei palinsesti che, ricordo, sono stati assemblati in un mese». 

Al di là di questa regola non scritta che, in verità, non è mai esistita dato che ogni nuovo palinsesto di ogni nuova direzione è stato sempre giudicato sin da subito, e criticato o osannato a seconda dei casi, l’intervista di Rossi è parsa a molti come una sorta di tentativo (per alcuni estremo, per altri disperato) di fare quadrato davanti ai tanti attacchi dell’ultimo periodo. E, soprattutto, davanti ai dubbi crescenti che ora anche la maggioranza di governo comincia a nutrire riguardo un cambio di passo che, nonostante il poco tempo trascorso dall’inizio dei nuovi palinsesti, non si vede neanche all’orizzonte. 

Tutti lo ricorderanno, dopotutto: la nuova “gestione” televisiva era nata con l’idea che occorreva una rivoluzione televisiva e a tratti culturale dopo decenni – a loro dire – di predominio dell’intellighenzia di sinistra.

Tesi piuttosto bislacca considerando che la sinistra (al di là di qualche contaminazione qua e là, come il Conte2) non governa in Italia da tempo immemore. Fatto sta che nei corridoi di Palazzo Chigi il malumore è sempre più crescente. E, rivelano fonti governative, del disappunto di Giorgia Meloni è stato messo al corrente lo stesso Rossi.

Disastro Tg
Sono i numeri, d’altronde, a parlare per tutti. E i numeri, come si sa, sono argomenti testardi. A partire dai rinnovati notiziari tradizionalmente più seguiti e ora “sintonizzati” con la linea governista: il Tg1 di Gian Marco Chiocci e il Tg2 di Antonio Preziosi nella loro versione serale hanno perso nell’ultimo mese disponibile (settembre) una quantità di telespettatori difficilmente comprensibile.

Eppure parliamo dell’edizione solitamente più seguita. I dati Auditel di settembre raccontano di quasi 700mila telespettatori smarriti per strada. Un’enormità. 

Il Tg1 delle 20 è passato da una media di 4.524.000 spettatori a settembre 2022 a 4.064.000, con un calo secco di quasi mezzo milione di persone da un anno all’altro. Difficile pensare sia solo casualità. Ancor peggio è riuscito a fare il Tg2, che è passato da 1.305.00 spettatori medi a 1.104.000, con un calo di circa 200.000 persone. Trattandosi di un ascolto più basso di quello del Tg1, il tonfo si fa sentire ovviamente in maniera più significativa.

C’è, poi, un problema di redazioni non sempre allineate, com’è capitato con RaiNews24, quando il Comitato di redazione si è scagliato contro il direttore Paolo Petrecca (vicino a Fratelli d’Italia) per la decisione di «stravolgere», ad avviso del Cdr, un articolo per il sito del giornale sulla denuncia per violenza sessuale nei confronti di Leonardo Apache La Russa, figlio del presidente del Senato Ignazio. Con la giornalista incaricata di confezionarlo arrivata a ritirare la propria firma.

Caduta libera
Non che vada meglio sul fronte delle direzioni di genere. Anzi, è proprio qui che si registrano le maggiori criticità. Eppure, qualcuno lo ricorderà, proprio nel giorno di presentazione dei palinsesti invernali, i vari direttori avevano sottolineato con grande enfasi l’impegno occorso per lanciare format nuovi di zecca.

«Abbiamo 30 nuovi programmi, parecchi talent di varie tipologie tra access prime time e seconde serate. Abbiamo fatto ripartire la macchina aziendale motivandola, coinvolgendola», aveva spiegato in quell’occasione l’amministratore delegato Roberto Sergio. Una motivazione che, però, sembra essersi già smarrita.

I tanti esperimenti e nuovi programmi mandati in onda stanno raccogliendo risultati piuttosto deludenti. Ed è un bel problema, considerando il rumore dei pesanti addii in casa Rai – da Lucia Annunziata a Massimo Gramellini, passando per Fabio Fazio e Bianca Berlinguer – e, soprattutto, il fatto che chi ha trovato casa altrove sta raccogliendo ottimi risultati (vedi È sempre Cartabianca su Rete4).

Ragionamenti che ovviamente non sono estranei a Viale Mazzini e che rendono il clima piuttosto pesante. Perché, nel frattempo e in attesa di vedere cosa succederà con Che tempo che fa sul Nove, chi l’ha sostituito ha collezionato un tonfo megagalattico.

Parliamo del Provinciale di Federico Quaranta: l’esperimento di portare un programma di territorio nato per il daytime e trasportarlo – non si sa bene per quale ragione – in prima serata è stato un fallimento che difficilmente, si vocifera in casa Rai, potrà replicarsi.

Anche qui i numeri parlano chiaro: al cospetto dell’11% e rotti di Fazio (la cui trasmissione, a unica modestissima discolpa del flop, iniziava a ottobre e non a settembre), il programma di Quaranta non ha sfondato mai la barriera del 4% di share ad eccezione dell’esordio. Numerose le critiche all’ambizioso (almeno sulla carta) format, che si è risolto come un lungo monologo del conduttore incapace di uscire, nonostante l’evidente ambizione, dal ruolo di epigono. 

Finita qui? Certo che no. Se restiamo sulla prima serata non si può non parlare di flop anche per Fake Show di Max Giusti che viaggia costantemente intorno al 3,6 – 3,7% di share. Poco, troppo poco. E sul daytime? Stessa, identica musica.

Il flop forse più tragicomico è stato quello di Pino Insegno, volto Tv vicino alla Meloni, col suo Mercante in fiera. Alla seconda settimana di trasmissione nella fascia preserale su Rai2, i numeri non migliorano. I dati dei primi sette giorni di messa in onda parlavano di percentuali esigue, tra il 3,4% e l’1,9; quelli dei giorni successivi sono stati anche peggiori, sprofondando fino al tragicomico 1,6.

E pure la trovata di ospitare Vip si è rivelata fallimentare: a metà ottobre, neanche con la presenza di Carlo Conti, Francesco Paolantoni e Gabriele Cirilli c’è stato un rilancio del programma che si è attestato sui 2,59%. Non a caso si stanno facendo sempre più insistenti le voci di una chiusura anticipata del programma, che potrebbe lasciare spazio ad una delle classiche serie tv di Rai 2: i costi sarebbero senza dubbio minori, e la Rai eviterebbe grosse perdite (meno il programma viene visto, meno introiti arrivano dalla pubblicità).

Insegno, ovviamente, non si tocca. E si aspetta di rilanciarlo a dicembre quando prenderà il posto di Flavio Insinna a L’eredità.

Il problema, al di là dei numeri, è l’atmosfera che si respira in certi studi e programmi. Come nel caso de La volta buona. Perché – la battuta è sin troppo facile – non è la volta buona per nulla.

Tanto che Caterina Balivo già dalla prima puntata ha fatto capire di non amare – e non essere amata – dalla sua squadra di autori. Una squadra fortemente voluta dalla direzione. A cominciare dal giovane capo-autore Marco Zampetti, strappato alla Fascino di Maria De Filippi e tornato in Rai a suon di contratti, dicono basiti nei corridoi di Mazzini, «a parecchi zeri».

Numeri che creano non pochi malumori intestini. Aggravati dal fatto che gli ascolti fanno rabbrividire: fin dalla primissima puntata la trasmissione ha ottenuto una media che si aggira costantemente tra l’11 e il 12% di share (il record stagionale finora è intorno al 15%, maluccio).

Numeri decisamente non esaltanti per la conduttrice, che è tornata con tante belle speranze (e altrettante rassicurazioni) al servizio pubblico dopo un’assenza durata circa tre anni. Soprattutto perché, fino alla passata stagione, il suo posto era occupato da Serena Bortone e dal suo Oggi è un altro giorno, che raggiungeva quotidianamente almeno il 16%. Il risultato è ancora meno incoraggiante se si pensa che, su Canale 5, le soap opera Beautiful e Terra Amara riescono a portare a casa (con costi quasi dimezzati) più del doppio dello share, superando di gran lunga il 20%.

Insomma, una cappa di negatività sembra essersi addensata sui nuovi programmi Rai che ha finito col coinvolgere anche l’usato sicuro. O, quantomeno, quello che si pensava lo fosse.

Dopo il primo ottimo risultato di Belve, Francesca Fagnani ha collezionato un inaspettato calo già alla seconda puntata: rispetto al debutto, infatti, la trasmissione ha fatto registrare il 6,3% di share, pari a 1.101.000 spettatori, quasi quattro punti percentuali sotto rispetto all’esordio, che aveva tenuto incollati allo schermo 1.637.000 persone.

Paga pantalone
A proposito di soap, quella che veramente ha catturato l’attenzione di tanti nei corridoi di Viale Mazzini ha avuto per protagonista Nunzia De Girolamo. Il programma è partito da poche settimane dopo incredibili – e imprevisti – rinvii che hanno avuto un pazzesco effetto controproducente.

La direzione Approfondimenti, oggi guidata da Paolo Corsini, ha dovuto mettere continue toppe prima allungando di tre puntate Filorosso di Manuela Moreno e poi chiedendo uno sforzo produttivo a Duilio Giammaria e al suo Petrolio

Risultato? Entrambi i programmi sono andati malaccio, hanno perso pubblico e, nel caso di Filorosso, hanno rischiato di far dimenticare gli ascolti soddisfacenti delle puntate previste nella stagione estiva. Un disastro a cui si aggiunge un altro dettaglio, non di poco conto. I costi.

Sebbene per anni gli esponenti di Fratelli d’Italia abbiano criticato la gestione dissennata di Viale Mazzini, ora a svenarsi aprendo alle produzioni esterne è proprio la nuova direzione. Secondo notizie di cronaca il budget messo a disposizione per ogni puntata è pari a circa 200mila euro, che per tutta la stagione (32 puntate) fanno 6,4 milioni.

Una cifra considerevole per un programma d’informazione, realizzato in appalto esterno parziale con la società di produzione Fremantle. Cartabianca, per dire, costava sugli 80mila.

Risultati? Piuttosto deludenti: le prime puntate sono state doppiate dai diretti competitor (Berlinguer su Rete4 e Giovanni Floris su La7), nonostante nella seconda puntata sia stato invitato Fabrizio Corona che, paradosso dei paradossi, è stato pure ben pagato e il giorno dopo ha accusato la Rai di censura. 

Si salvi chi può
Il risultato è che siamo davanti a un fuggi fuggi generale. Basti pensare a Marinella Soldi, presidente Rai secondo molti addetti ai lavori sempre meno interessata a Viale Mazzini dopo essere entrata nel board della Bbc, consapevole che a metà 2024, quando scadrà il mandato, anche i membri del Cda cambieranno (fatta eccezione, ovviamente, per l’Ad). Un discorso, però, che vale anche per vari direttori che stanno già pensando al loro futuro.

È il caso Angelo Mellone, ora al daytime, che, secondo alcuni, avrebbe già l’accordo per emigrare a Rai Fiction al posto di Maria Pia Ammirati. Non sarebbe da meno Marcello Ciannamea.

La Lega, rivelano fonti parlamentari, starebbe aspettando ancora per lanciare la sua Opa, nel caso in cui gli ascolti non dovessero migliorare: Salvini vorrebbe chiedere alla Meloni di nominare Sergio (vicino a FdI) presidente, carica importante e autorevole ma piuttosto formale; mentre a prendere il ruolo di amministratore delegato sarebbe proprio l’attuale direttore del prime time, Ciannamea, vicino al Carroccio. Intanto, mentre i veri giochi sono in corso, gli ascolti crollano.

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