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Home » Politica

Patriarcato di Stato & cultura dello stupro: ecco perché nell’Italia del 2023 è ancora difficile credere alla vittima

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Il Presidente del Senato Ignazio La Russa difende il figlio Leonardo accusato di violenza sessuale, gettando dubbi sulla ragazza che l’ha denunciato. La ministra per le Pari Opportunità Eugenia Roccella non interviene. Giorgia Meloni comprende la reazione "da genitore" della seconda carica dello Stato ma ne censura le dichiarazioni. Il Codice Penale però non contempla ancora il consenso come elemento del reato. Spetta sempre alla vittima dimostrare che non era consenziente

In qualunque modo si concluderà la vicenda che ha coinvolto il figlio del presidente del Senato, Leonardo Apache La Russa, e la 22enne che lo accusa di stupro, ciò che ci ha restituito sinora il clamore mediatico, il circo politico e il chiacchiericcio da salotto televisivo è la certezza che il patriarcato sia ancora ben saldo nel nostro Paese e che una vittima, o presunta tale, di violenza sessuale abbia come primo ostacolo da affrontare il variegato mondo del tribunale patriarcale generalizzato che trova tra i suoi primi esponenti uomini e donne della politica e dei media. 

S&D

Chi più chi meno ha deciso di esprimersi sulla vicenda (tuttora in fase di indagine) ed è stato frequente ascoltare rappresentanti delle più alte cariche dello Stato affermare con un candore piuttosto seccante frasi come «Dubbi su una ragazza che aveva assunto cocaina e che ha denunciato dopo 40 giorni», pronunciata dallo stesso padre del ragazzo denunciato, ovvero dal presidente del Senato, Ignazio La Russa. Senza dimenticare ciò che ha scritto il giornalista Filippo Facci su Libero: «Una ragazza di 22 anni era indubbiamente fatta di cocaina prima di essere fatta anche da Leonardo Apache La Russa», ed anche la ministra della Famiglia Eugenia Roccella che da buona femminista non ha commentato le pesanti affermazioni del presidente del Senato, limitandosi a un: «Non entro nelle reazioni di un padre».

In questo clima così ben rappresentato, il tema del consenso all’epoca del patriarcato di Stato in Italia è semplicemente inesistente.

Biopotere
Se il consenso, per essere valido, deve porsi come l’espressione di una completa autonomia, allora forse di nessun consenso può veramente predicarsi la validità. Perché una donna che dice di aver subito una violenza sessuale ancora prima di interfacciarsi con la legge deve affrontare la pletora di giudicanti che chiedono prove e giustificazioni? Dovrà cioè trovare il modo di dimostrare che lei, in quel dato momento, non era consenziente.

Come ci insegna Michel Foucault con la propria riflessione sul “biopotere”, il sesso è un terreno tutt’altro che neutro, poiché in esso tendono a riprodursi le stesse strutture di dominio e sottomissione dell’ordine sociale. Inquadrare il consenso nel contesto della società patriarcale rende estremamente problematico conciliare il rispetto delle scelte sessuali degli individui con la consapevolezza che molte di esse siano prodotte dal patriarcato e dalle rappresentazioni con cui esso quotidianamente contribuisce alla costruzione e limitazione della nostra identità. In parole semplici e sfruttando un banale esempio, se per volere patriarcale si è consolidata la credenza che una donna che va a casa di un uomo consumerà un rapporto sessuale, sembra assurdo agli occhi del popolo che quel consenso possa invece non essere garantito.

I dati Istat (2019) evidenziano come nel nostro Paese è più che mai radicato il pregiudizio che addebita alla donna la responsabilità della violenza sessuale subita per il modo di vestire (23,9 per cento degli intervistati) o se sotto effetto di alcool e droghe (15,1 per cento). Il 39,3 per cento degli intervistati ritiene inoltre che una donna sia perfettamente sempre in grado di sottrarsi ad un rapporto sessuale se davvero non lo desidera. Ancora, secondo un’indagine Ipsos condotta per Amnesty International Italia (2019), il 31 per cento degli Italiani ritiene che il rifiuto di una donna sia un modo per “farsi desiderare”: il famoso luogo comune secondo cui le donne direbbero “no”, intendendo al contrario “sì”.

Riforme necessarie
Se vogliamo vivere in una società dove non siamo costretti a leggere ogni settimana notizie di femminicidi, stupri e violenze, dobbiamo partire con il radicale cambiamento culturale, rafforzando la consapevolezza nelle giovani generazioni sull’importanza del rispetto della reciproca libertà e autonomia, combattendo gli stereotipi di genere e chiarendo il concetto di consenso. Di fronte a un fenomeno così allarmante, per produrre un profondo cambiamento culturale, creare consapevolezza sul concetto di consenso e aumentare l’accesso alla giustizia per le sopravvissute allo stupro in Italia, Amnesty International Italia rilancia la campagna #IoloChiedo e invita ad unirsi, anche attraverso uno strumento di solidarietà concreta come il lascito solidale, intorno alle donne vittime di violenza, affinché non siano più lasciate sole.

Attualmente, il Codice penale italiano, all’articolo 609-bis, prevede che il reato di stupro sia necessariamente collegato agli elementi della violenza, della minaccia, dell’inganno, o dell’abuso di autorità. In nessun modo lo stupro viene definito “un rapporto sessuale senza consenso”. Pertanto, Amnesty International Italia chiede al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che la legislazione italiana si adegui alle norme internazionali, modificando l’articolo 609-bis del Codice penale per considerare reato qualsiasi atto sessuale senza consenso.

È quindi importante iniziare a riconoscere e destrutturare il patriarcato, anche nel linguaggio sibillino delle istituzioni, dei media ed anche delle sentenze giuridiche che sovente indugiano su termini assolutamente inutili ai fini della sentenza. Per poter realmente iniziare a discutere di consenso e porre le basi per un cambiamento, occorre dunque una profonda trasformazione culturale e una vigilanza costante di chi ci rappresenta e ci parla.

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