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Il paradosso del gas: a pagarlo è lo Stato, ma a guadagnarci sono le aziende energetiche

Immagine di copertina

Il Governo Draghi ha dato almeno 3 miliardi di euro alle aziende energetiche perché comprassero metano da immagazzinare in vista dell’inverno. Ma ora gli stoccaggi sono pieni. E con quei soldi pubblici le compagnie acquistano per esportare. Macinando profitti

Vi stupirebbe se l’Avis rivendesse il sangue donatole? O se vedeste il clochard che fa la fila alla Caritas che piazza sul cosiddetto mercato libero le pagnotte della mensa dei poveri? Molto probabilmente, oltre allo stupore, ci sarebbe anche un po’ di indignazione. Tuttavia i signori dell’energia pretendono che si ritenga giusto, forse doveroso, che le aziende italiane possano vendere a scopo di lucro il gas comprato con i soldi delle tasse. Questo è il primo scandalo. Il secondo è che quei denari italiani, cioè pagati con le tasse da noi tutti, vanno dritti dritti nelle tasche di Gazprom. Cioè di Putin. Cioè di quel signore il cui nemico, l’Ucraina, noi stiamo finanziando con armi, denaro e solidarietà. Sempre con le tasse italiane. Sono gli stessi dati forniti dal Ministero dello Sviluppo economico che confermano che, da gennaio ad agosto 2022, l’export di gas del nostro Paese è cresciuto del 238,3%. Abbiamo esportato 2,33 miliardi di metri cubi di gas, contro i 689 milioni dello stesso arco temporale del 2021.Davide Tabarelli, presidente e fondatore di Nomisma Energia, insegna all’ Università di Bologna e al Politecnico di Milano, non si stupisce. «Sono vent’anni che parliamo di definire l’Italia come un hub del gas. Quest’anno cominciamo a vendere un po’ di gas. Non è un male. Noi abbiamo sognato per tanti anni che l’Italia fosse un mercato molto liquido con tante negoziazioni a causa dei transiti».

S&D

Dunque, se le imprese italiane che operano nel campo dell’energia vendono all’estero, dove è lo scandalo?  Eccolo qui, nel meccanismo perverso e difficile che cerchiamo di spiegare.

Le aziende energetiche comprano gas dai produttori di metano durante l’estate. Lo fanno perché nella stagione calda il fabbisogno è, ovviamente, molto basso, circa 100 milioni di metri cubi al giorno. In inverno, quando fa freddo e bisogna riscaldare case, scuole, attività, ospedali, il fabbisogno aumenta di tre volte. Se fa molto freddo anche di quattro, arrivando serenamente a punte di 400 milioni di metri cubi al giorno di gas combusto. Le aziende vendono il gas seguendo la più elementare delle leggi di mercato: aumenta la domanda a offerta invariata, cresce il prezzo. Nella differenza di prezzo tra le scorte accumulate in estate ed i relativi contratti e la vendita “al dettaglio” in inverno, c’è la plusvalenza delle imprese. Il loro guadagno.

Nell’estate che ci siamo appena lasciati alle spalle, però, si è verificato un fenomeno mai visto: il prezzo del gas è arrivato a punte di 350 euro per megawattora. Il prezzo medio del 2019/2020 è stato di 10,7 euro per MWh. Nessuna azienda privata avrebbe mai comprato gas in estate per stivarlo e rivenderlo, perché avrebbe, semplicemente, perso denaro anziché guadagnarlo. Il governo Draghi, però, era terrorizzato dall’idea che le riserve strategiche nazionali rimanessero vuote e ha promesso alle aziende energetiche che la differenza tra il sovrapprezzo pagato in estate e il prezzo atteso in inverno sarebbe stata a carico dell’Erario pubblico. E le aziende hanno comprato e riempito gli stivaggi al 100% delle capacità. Addirittura un miliardo di metri cubi in più dello stivato nel 2021.

Michele Governatori è uno studioso italiano che segue da sempre il settore dell’energia e del gas ed è il responsabile scientifico sull’argomento del think tank italiano per il clima Ecco: «L’Italia esporta quantità crescenti di gas, ma resta di gran lunga un importatore netto. Produce una minima parte del suo fabbisogno». Infatti tutta la nostra ricchezza di metano viene dall’estero. Fisicamente, il gas entra in Italia attraverso un sistema di gasdotti molto ben congegnato.

Le porte d’ingresso al nostro Paese sono cinque, oltre le navi metaniere. Nel 2021 circa il 40% del fabbisogno è arrivato dalla Russia, attraverso il gasdotto Tag che passa da Tarvisio, in provincia di Udine, attraversando l’Ucraina, la Slovacchia e l’Austria. Quindi la siciliana Mazara del Vallo, dove arriva il metano algerino con il gasdotto Transmed, più conosciuto come “gasdotto Enrico Mattei”. Questa struttura, per metà italiana di Eni e per l’altra metà algerina, ha coperto il 30% del fabbisogno del 2021.

Un ulteriore 10% arriva nello stivale via mare, con il nuovissimo Tap, Trans Adriatic Pipeline, che ha cominciato ad operare il 30 dicembre del 2020 ed è parte del Corridoio Meridionale del Gas, che conduce nel vecchio continente il gas naturale del giacimento di Shah Deniz II, in Azerbaijan. Dal Mar Caspio a Lecce.

La restante quota di fabbisogno arrivava dalla Libia con il gasdotto Green Stream, a sud. Mentre da nord, valicando le alpi pennine a Passo Gries in Val Formazza, il Tenp, Trans Europa Naturgas Pipeline, porta al Bel Paese il gas dei giacimenti olandesi. Poi ci sono le navi metaniere, che completano l’offerta di gas statunitense e qatarino, sbarcando in Italia il gas naturale liquido che al terminal di rigassificazione di Rovigo viene portato alla sua condizione di origine e immesso nella rete nazionale.

Last but not least, i gassificatori di Livorno (di Snam e del fondo nippo-australiano Fsi) e Panigaglia (tutta di Snam), vicino la Spezia.

«Ecco perché – spiega a TPI Michele Governatori – l’Italia è diventata quello che progettava di diventare anni fa. Siamo molto interconnessi, sia da sud che da nord, che da est, con il gas che arriva anche dall’Azerbaijan. Per questo motivo il prezzo del gas in Italia è leggermente più competitivo di quello nord-europeo della famosa borsa olandese Ttf e lo sarà ancora, stando ai futures, anche per i prossimi mesi. Questo vuol dire che al di là del fatto che noi importiamo i nostri consumi, un po’ di quello che passa in Italia lo riesportiamo, fisicamente. Ad esempio succede che nel gasdotto che passa in Val Formazza, e che va verso il Mare del Nord, il flusso si inverte. Cioè letteralmente il gas cambia senso di marcia e va verso nord. Le aziende che hanno quei contratti di gas di importazione, hanno deciso di venderlo alla frontiera. Non era mai successo che l’Italia fosse strutturalmente più economica del nord Europa».

Prosegue Michele Governatori: «Questo non è imbarazzante: il mercato è come un circuito elettrico. L’energia elettrica va dove la differenza di potenziale la manda. Così una risorsa scambiabile e omogenea va dove costa di più: i mercati funzionano così». Ciò che è perlomeno discutibile, invece, è il fatto che oggi tutto il gas che abbiamo comprato a carissimo prezzo d’estate sia rivenduto a prezzi ribassati a spese dello Stato. Il governo Draghi ha voluto un secondo Whatever it takes, questa volta per il gas, per riempire gli stoccaggi a qualunque prezzo, aiutando economicamente gli operatori. Un intervento costato almeno 3 miliardi di soldi pubblici, in un contesto di scarsa trasparenza. Di certo c’è che il prezzo del gas ora sta calando. Di sicuro, quando rivenderanno il gas ai privati durante la stagione fredda, le aziende ci perderanno. Quanto? Questo lo si saprà solo quest’inverno, perché si fisserà il prezzo. Ma è certo che quelle perdite le coprirà integralmente lo Stato».

La cosa incomprensibile è che quelle aziende, oggi, rivendano il gas italiano sul mercato a prezzi che sono competitivi perché sono stati i soldi pubblici a coprire il differenziale.  Anche perché nel mercato dell’energia nulla è pubblico. È tutto di aziende di diritto privato, anche quando il capitale è totalmente dello Stato.

Anche la gestione dei siti di stoccaggio è un monopolio regolato. La società Stogit Spa, controllata al 100% da Snam (che è di Cassa Depositi e Prestiti Reti, cioè pubblica) mette annualmente all’asta gli spazi nei siti di stoccaggio. Chi voglia acquisire capacità di stivare metano, affitta la quantità che riesce ad aggiudicarsi e la può riempire, con alcune limitazioni in termini di tempo e utilizzo massimo o minimo. Il gas che va in stoccaggio è quello comprato e pagato da privati a loro rischio.

È sempre Governatori che spiega: «Nella vendita di gas metano, da sempre, la scommessa che fanno le aziende è quanto si riuscirà a guadagnare, ma mai se si guadagnerà. Che l’investimento estivo potesse avere un valore negativo non era mai successo. Quest’anno è stata una rivoluzione. Solo un folle avrebbe comprato con i suoi soldi il gas a 10 volte di più il prezzo pre-Covid. Se quello oggi stoccato fosse gas pagato dai privati e i privati lo avessero voluto esportare, fatti loro. Ma essendo la nostra condizione di mancato bisogno di gas dovuta al fatto che abbiamo già riempito e che abbiamo pagato con le tasse, la possibilità di chi è titolare dei contratti di importazione di esportare gas dipende proprio dallo sforzo fatto con le tasse. Questo non significa che oggi stiamo svuotando gli stoccaggi. Ciò che viene esportato è l’import che abbiamo disponibile, perché noi non possiamo riempire di più. I siti sono pieni. Ma se lo Stato non avesse pagato con le tasse, i siti oggi non sarebbero pieni. Dunque nessuno vorrebbe vendere. Ecco il paradosso».

C’è chi pensa che le aziende facciano solo il loro mestiere, produrre utili per gli azionisti. Il problema è la scarsità dei siti di stoccaggio. Davide Tabarelli, tra i protagonisti del dibattito sull’energia per competenze e brillantezza, non ha dubbi: «C’è un sacco di gas in giro e noi non possiamo stoccarne altro. Quello che non abbiamo sono proprio gli stoccaggi. Io penso che bisognerebbe mettere in galera quelli che hanno impedito in tutti questi anni di realizzare altri siti di stoccaggio in Italia».

I siti per stoccare il gas in Italia sono undici. Otto sono di Stogit-Snam e tre di Edison. Sono quasi tutti nel nord della penisola. Sono delle specie di dispense sotterranee, poste a grande profondità, tra i 1.300 e 2.000 metri nel sottosuolo, insinuate nella roccia e ricoperte generalmente di un terreno impermeabile, come l’argilla.

Non immaginate delle vere e proprie cavità, ma un sistema roccioso poroso che consente al gas di essere conservato e mantenuto disponibile ad essere estratto alla bisogna. Il sistema di stoccaggio italiano ha una capacità complessiva di 14 miliardi di metri cubi. Per avere dei metri di paragone, il fabbisogno nazionale annuo di gas è di circa 76 milioni di metri cubi. I siti di stoccaggio, infatti, si utilizzano per le emergenze, i picchi di freddo stagionale o eventi imprevisti, come una crisi internazionale che blocchi i flussi. Al resto devono bastare le forniture quotidiane, on demand.

Tabarelli preconizza momenti bui per l’industria e le famiglie italiane, da fine gennaio. «Dobbiamo pregare davanti alla statua di San Nicola di Bari, che fu donata da Putin nel 2007 alla cattedrale barese, perché ci conceda un inverno mite e perché la Russia non impazzisca bloccando i flussi di gas. Bisognava pensarci prima. Chi ha condotto politiche che hanno bloccato ogni innovazione per decenni deve assumersene la responsabilità. Che ci sia un mercato italiano del gas è un bene, sono trent’anni che ci lavoriamo e abbiamo un sistema di interconnessioni, a differenza di altri Paesi, che ce lo permette. Bisogna stare attenti a non buttare via il bambino insieme all’acqua sporca.

Lo ha detto anche il ministro Cingolani: se non facciamo subito un altro rigassificatore, l’anno prossimo saremo messi malissimo. E medio tempore non c’è altra soluzione che il carbone. Fiumesanto e Portovesme, in Sardegna, hanno scorte piene al colmo, ma la capacità di assorbimento di quel carbone da trasformare in elettroni per la rete è scarsa. Bisogna avere altri siti di stoccaggio. Mi chiedo perché il maxi deposito per lo stoccaggio di gas naturale sotterraneo di Rivara, a San Felice sul Panaro, sia stato così osteggiato, fino a farlo fallire. La democrazia è sacra, ma è altrettanto vitale prendere decisioni. I comitati del No devono affrontare la realtà, non i sogni. La Germania si salverà perché ha rimesso in funzione tutte le sue centrali a carbone. Lo dobbiamo fare anche noi, per qualche anno, finche non si ponga mano a una politica energetica lungimirante. Se falliremo gli obiettivi del 2050 sulle emissioni, pazienza. Bisogna tirare fuori dai cassetti progetti di nuove condotte, come il Galsi, il gasdotto Algeria Sardegna Italia, che ci aiuta a far arrivare maggiori quantità di metano dal Nord Africa e oggi varrebbe come l’oro. Io spero che questa crisi sia una lezione per i prossimi anni: dobbiamo avere capacità d stoccaggio, abbondanza. Avere altre reti. Non possiamo dipendere solo dal gas: tutto il gas libero al mondo viene in Europa perché paghiamo prezzi stratosferici, fino a 200 euro al megawattora, ma i costi non arrivano a 5 euro, per i produttori. Certo, dobbiamo incrementare le rinnovabili. Quest’anno la capacità da queste fonti verrà aumentata di circa 5 miliardi di kilowattora in più. Cioè di circa 1 miliardo di metri cubi equivalenti. Una gran cifra, certo. Ma è da confrontare coi 29 miliardi di metri cubi che venivano dalla Russia».

Insomma, per il patron di Nomisma il mercato e le sue distorsioni non sono il problema. «Non mi piace parlare di speculazione: è vero, c’è molta finanza, ci sono sempre alchimie sui meccanismi di mercato. Ora è facile tirare fuori il capro espiatorio della speculazione. Certamente c’è instabilità, ma non è che i mercati ci hanno dato il segnale di prezzo a 350 euro al megawattora perché c’è stata una manipolazione. Il prezzo è alto perché c’è un problema di carenza di materia e di panico. Ma quello che conta è il fisico: c’è un eccesso di domanda, una carenza di offerta. Bisogna aggiustare queste proporzioni: penso ai giacimenti di gas in Sardegna, a quelli dell’Adriatico, a quelli nella pianura padana. Tirarlo fuori costerà un po’, ma sempre meno della cifra che gli italiani trovano in bolletta.  Serve equilibrare domanda e offerta: se non lo facciamo noi lo farà la recessione, che sta arrivando».

Un allarmismo che Michele Governatori non condivide: «A ottobre siamo ancora al mare. Spero in un inverno mite. Ma faccio anche notare che, checché ne dica l’opinione comune, la Russia non ha mai chiuso i rubinetti. Ha solo venduto il meno possibile per tenerci sulle spine, ma noi continuiamo a ragionare come se da Mosca non arrivasse più un solo metro cubo di metano. Gazprom non ha mai violato i contratti in essere, se non invocando cause di forza maggiore. E neanche gli importatori. Ai russi i soldi arrivano solo dal gas, unico settore economico in cui non ci sono sanzioni. Se la guerra dovesse inasprirsi, a loro servirebbero anche maggiori risorse. Non credo gli convenga chiudere i rubinetti».

E così si consuma lo strano paradosso tutto nostrano: per riempire le scorte paghiamo coi soldi pubblici le aziende, che rivendono a terzi, ma realizzando guadagni esclusivamente privati. Compriamo il gas dalla Russia, sostenendo di fatto la guerra contro l’Ucraina, ma mandiamo denaro all’Ucraina perché resista alla guerra che noi finanziamo. Arlecchino, servitore di due padroni. Un capolavoro italiano.

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