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Home » Politica

Marco Cappato a TPI: “A Monza ho preso il 40% senza simboli di partito. Pd e 5 Stelle? Molti mi hanno appoggiato solo formalmente”

Immagine di copertina
Marco Cappato. Credit: AGF

"Non ho alcuna pretesa da accampare. Ma il mio 40% è più di quanto hanno preso alle ultime politiche i partiti della mia coalizione sommati tra loro. Eppure i vertici non sono venuti a Monza a fare campagna elettorale per me. Il campo largo? Prima vengono i temi"

«Ho contribuito ad accorciare le distanze con il centrodestra, ma la verità è che il campo largo non basta, prima delle alleanze bisogna discutere dei temi. Bonaccini dice che la mia candidatura forse non era giusta? Non so se qualcun altro sarebbe riuscito a tenere uniti tutti i partiti, da Calenda a Conte». A parlare a TPI è Marco Cappato, reduce dalla sconfitta alle suppletive di Monza per il seggio al Senato rimasto vacante dopo la scomparsa di Berlusconi. 

Tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, fondatore e co-presidente di Eumans, l’ex esponente dei Radicali ha guidato l’ampia coalizione di centrosinistra, che andava da Pd a 5 Stelle fino a Verdi/Sinistra Italiana e Azione, nella difficile battaglia contro Adriano Galliani.

In un’elezione contraddistinta da una scarsissima affluenza, Cappato è riuscito a ottenere il 40% nonostante lo scarso supporto da parte dei partiti che avrebbero dovuto sostenerlo e dimostrando che il centrosinistra può vincere solo se unito, a patto che l’alleanza non sia solo di facciata come avvenuto in questa occasione. 

Cappato, facciamo un passo indietro: perché ha deciso di candidarsi?
«Io porto avanti delle battaglie politiche su temi che di questi tempi sono a rischio e mai garantiti. Da una parte la questione delle libertà civili, rispetto alle quali sembra che la parola d’ordine sia aumentare le pene e creare nuovi reati. Dall’altra parte il tema dei cambiamenti climatici e dell’ambiente, sul quale mi sembra stia montando un’ostilità nei confronti delle misure volte a garantire l’ecosistema per il futuro. E poi le mie battaglie sulla democrazia e sulla partecipazione dei cittadini. Mi sarebbe piaciuto rafforzare queste iniziative anche da dentro le istituzioni. Il collegio di Monza-Brianza è quello dove sono cresciuto e quindi ho pensato che fosse una buona occasione». 

La sensazione, però, è che queste battaglie non siano state adeguatamente supportate dalla coalizione che sosteneva la sua candidatura, in particolare modo da Pd e 5 Stelle.
«Essendomi candidato senza aver chiesto il permesso a nessuno e senza aver concordato la mia candidatura, non ho delle pretese da accampare. Sono l’ultima persona che poteva chiedere disciplina di partito attorno alla mia persona, motivo per cui mi sono assunto totalmente la responsabilità del risultato, che è quello della mancata elezione ma anche di un 40% ottenuto in una situazione di astensionismo generalizzato. Sicuramente anche all’interno dei partiti che mi hanno sostenuto ci sono state defezioni sul campo molto importanti. Il sindaco di Monza (Paolo Pilotto, esponente Pd, ndr) a due giorni dalle elezioni ha invitato a votare scheda bianca. I sindaci del centrosinistra che avevano firmato una lettera contro di me non hanno partecipato alla campagna elettorale, eccezion fatta per alcuni. Questo è un dato oggettivo. Io non mi lamento di nulla né attribuisco a loro la responsabilità del risultato, spiego semplicemente qual è stata realmente la situazione. La destra, a mio avviso, ha avuto buon gioco a mobilitare i suoi. Meloni è intervenuta due volte con altrettanti messaggi, il vicepremier e ministro degli Esteri Tajani è stato presente in due occasioni in Brianza nonostante i problemi dello scenario internazionale, ministri e capi partito si sono mobilitati per due settimane per scongiurare il rischio che potessi essere eletto io. Dall’altra parte io ho avuto alcuni sostegni molto appassionati e convinti, sopratutto nella base, meno nei vertici».

Eppure temi quali ambiente e diritti dovrebbero essere al centro di quelle forze che si definiscono progressiste.
«Certo, ma in altri Paesi esiste persino una destra liberale. L’Italia vive questa contraddizione, cioè pensare che la soluzione sia una continua mediazione sul livello di proibizionismo da applicare, e non invece una forte rivendicazione di una impostazione laica e liberale dello Stato. Questo è il problema che anche a sinistra non si è riusciti veramente ad affrontare e risolvere». 

I numeri dicono che lei avrebbe potuto vincere. La sconfitta deriva da una mancata mobilitazione da parte dei partiti della sua coalizione?
«La prima cosa che è mancata è stata l’informazione, è stato violato il diritto dei cittadini a conoscere il fatto stesso che vi fossero delle elezioni, chi erano i candidati e quali erano le loro proposte. Questo è il punto principale. Io sono convinto che se l’opinione pubblica in Brianza fosse stata investita della conoscenza che non si votava un partito ma una persona – e da una parte c’era una persona (Galliani ndr) che non poneva alcun tipo di motivazione politica alla sua candidatura, se non la lealtà nei confronti della memoria di Silvio Berlusconi – i risultati sia della partecipazione al voto, e secondo me anche dell’esito del voto stesso, sarebbero stati diversi. Il primo problema è quello di tornare a far funzionare la democrazia. Poi sull’impegno dei partiti io non voglio fare la storia dei se e dei ma, registro il fatto che esponenti significativi del Pd a livello locale hanno esplicitamente contrastato la mia candidatura e credo che questo sia stato anche di ostacolo ai dirigenti nazionali. Mentre su Foggia Pd e M5S hanno ritenuto di giocare una partita nazionale, a Monza si è ritenuto di no, magari anche proprio per non mettersi in contrasto con alcuni esponenti locali». 

Ma da dove nasce questa diffidenza nei suoi confronti da parte, ad esempio, di alcuni esponenti locali del Pd?
«Nella lettera mandata dai sindaci si parlava della necessità di esprimere un’esigenza del territorio in particolare sul tema dell’ambiente e della transizione ecologica, tema sul quale mi sono battuto in questi anni soprattutto a livello internazionale. Forse c’era un ostacolo, che è più difficile evocare, che è quello dei temi eticamente sensibili e che possono interessare il voto cattolico. A destra hanno provato a usarli in modo un po’ scomposto, addirittura Ronzulli mi ha additato come “nemico dei cattolici”. Io penso che molti cattolici siano d’accordo con le battaglie dell’associazione Luca Coscioni perché un cattolico sa essere laico, altrimenti non sarebbe stato possibile vincere i referendum sul divorzio e sull’aborto». 

Ha avuto un confronto con i vertici dei partiti che la sostenevano?
«Da quando ho lanciato la mia candidatura, il 30 luglio scorso, ho chiesto un incontro al sindaco di Monza ma non è mai stato possibile. Quando ho ricevuto l’appoggio da parte di Beppe Sala (sindaco di Milano, ndr) ha accettato di essere presente e sembrava che la sua presenza potesse indicare almeno una non ostilità alla mia candidatura, dopodiché invece è arrivata l’indicazione di scheda bianca. Ovviamente è tutto legittimo, ma bisogna tenerne conto quando si guardano i risultati. Con la mia candidatura ho preso una percentuale più alta della somma dei partiti che mi hanno sostenuto alle ultime elezioni, nonostante le defezioni pesanti che ci sono state. Il risultato è quello di una mancata elezione, ma anche di una capacità di mobilitazione anche fuori dal perimetro dei partiti, che mi sembra il dato dal quale ripartire».

Bonaccini ha esaltato il successo del campo largo a Foggia, mentre ha dichiarato che forse lei non era la scelta giusta a Monza.
«Io ho presentato la mia candidatura in modo autonomo, quindi formalmente la mia non era un’alleanza di partiti. Le parole di Bonaccini trascurano il fatto che non è scontato che un altro candidato avrebbe saputo unire tutti questi partiti, da Calenda a Conte. La coalizione che il Pd aveva alle elezioni politiche ha preso il 27%, io ho preso il 40. La storia non si fa con i se, ma allora bisognerebbe dire, visto che non l’ho sentito da nessuno, quale sarebbe stato il candidato in grado di ottenere il sostegno da Calenda al M5S e prendere il 50% dei voti. Secondo me è successa una cosa diversa, ovvero proprio perché io non appartengo ad alcun partito e mi sono candidato per realizzare delle battaglie e non per costruire una coalizione, i partiti hanno preferito non candidarmi contro nessuno. In politica credo sia importante fare le proposte prima, non dopo». 

Possiamo dire che lei è la prova che il centrosinistra senza il cosiddetto campo largo non vince?
«Alla politiche il distacco tra il primo e il secondo era di 25 punti, qui i punti sono diventati circa 14, quindi ho contribuito ad accorciare la distanza. Secondo me, però, quello che serve per vincere le elezioni non è allargare le alleanze, questa è una conseguenza di un’altra cosa, ovvero del metodo partendo da lotte politiche chiare e identificabili. Un accenno di questo è stato fatto sul salario minimo, ma non è sufficiente. O le opposizioni trovano alcune battaglie e obiettivi nelle quali si riconoscono tutte, e attorno a quegli obiettivi costruiscono alleanze elettorali, oppure ampliare la coalizione può essere ovviamente utile, perché andare divisi diventa poi numericamente impossibile, però poi si rischia anche che tanti problemi si trascinino al governo una volta vinte eventualmente le elezioni». 

Continuerà a dialogare in futuro con i partiti che hanno sostenuto la sua candidatura?
«Il metodo del dialogo è sempre lo stesso, ovvero identificare delle iniziative e metterle a disposizione per tutti coloro che in quelle iniziative si riconoscono. Di fronte alla retorica “Dio, Patria e famiglia” di una parte della politica, gli obiettivi che ci prefiggiamo li proporremo a tutti coloro che questa retorica la contrastano o dicono di volerla contrastare per unirci in queste battaglie». 

A Monza si è registrata anche una scarsissima affluenza: solo il 19% è andato a votare.
«È senza dubbio il grande dato di queste elezioni. Fino a che tutti questi discorsi che stiamo facendo sul campo largo vengono identificati come un problema per gli addetti ai lavori e non come una questione che può avere una conseguenza sulla vita delle persone, il disinteresse non potrà che crescere. Si deve partire dalle urgenze delle persone, per poi cercare di trasformarle in lotta politica. Non si parte dalla definizione del perimetro della coalizione e poi ci si inventa qualcosa per giustificare il tipo di coalizione che si è messo in piedi, perché questo non ha nessun tipo di forza e attrazione nei confronti dell’opinione pubblica. La partecipazione si costruisce tutti i giorni. Poi c’è una questione di metodo al di là dei temi. I referendum non si possono fare perché la Corte li impedisce sempre, la piattaforma per la firma digitale per i referendum è bloccata da due anni nonostante il Parlamento lo abbia chiesto, non c’è informazione e dibattito e confronto sui temi. È chiaro che la disaffezione popolare diventa sempre più grande. Questa è l’emergenza delle emergenze». 

Ora come continueranno le sue battaglie politiche?
«La campagna sul fine vita è incardinata da anni e sono in attesa delle decisioni della magistratura su quattro procedimenti giudiziari che si potrebbero trasformare in altrettanti processi. Quello su cui sto lavorando è una piattaforma di proposte di partecipazione popolare europea. I trattati dell’Ue prevedono lo strumento delle iniziative dei cittadini. Con un milione di firme raccolte da almeno sette Paesi dell’Unione Europea si può proporre alla Commissione di attivare un tema e noi lo vogliamo fare sull’Intelligenza Artificiale Civica, sullo spostamento delle tasse dal lavoro al consumo delle risorse ambientali e sugli altri temi di libertà civili, quindi sostanze controllate, la questione del fine vita e dell’eutanasia». 

Qual è il suo giudizio sull’operato del governo?
«Questo governo si sta barcamenando smentendo completamente le parole d’ordine con le quali sono stati presi milioni di voti sulla politica economica, sul rapporto con l’Europa, sull’immigrazione. Sugli altri temi, per compensare la perdita di identità, fanno la faccia feroce. Fanno i forti con i deboli e i deboli con i forti, per cui se la prendono con chi consuma sostanze, con le donne che magari per una malattia sono senza utero e vorrebbero ricorrere alla fecondazione assistita. E poi c’è questa retorica “Dio, Patria e famiglia” che è proprio da società chiusa».

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