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“Dall’aumento salariale alla diminuzione dell’orario di lavoro, fino al diritto alla disconnessione: occorre una rivoluzione”

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DiEM25 ha lanciato una campagna su alcuni temi del mondo del lavoro, ne abbiamo parlato con il suo portavoce Federico Dolce

DiEM25 ha lanciato una campagna su alcuni temi del mondo del lavoro: alcuni sono temi storici (la riduzione dell’orario di lavoro, l’aumento dei salari) altri più recenti (il diritto alla disconnessione, il reddito universale di base, il Job Guarantee), tentando di evitare derive retoriche e ideologiche che non farebbero altro che riproporre vecchi schemi di discussione. Ne abbiamo parlato con Federico Dolce, portavoce DiEM225 in Italia. 

“Lo scopo vero di questa campagna è quello di rivoluzionare la narrazione e il pensiero comune che in Italia, in maniera tossica, domina tutti i discorsi che riguardano il mondo del lavoro. Una campagna che vuole contrapporsi al pensiero dominante dell'”accetta qualunque cosa e ringrazia anche”. Oggi assistiamo a condizioni di sfruttamento senza alcune prospettiva, senza anche dignità. Alcune delle proposte che noi facciamo paiono rivoluzionarie, ma in altri luoghi del mondo si discutono già senza ideologia e si stanno mettendo in pratica per superare questo momento di crisi, che è anche sociale”, spiega Dolce a TPI.
Il primo punto riguarda la diminuzione dell’orario di lavoro. 
La logica bottegaia tipica dei settori a basso valore aggiunto fa sì che ci siamo convinti che lavorare di più significa produrre di più. In realtà abbiamo visto come la produttività non dipenda da questo e più si lavora, oltrepassata una certa soglia, meno si produce. Quella che noi proponiamo nel programma europeo è anche più ambizioso perché scendiamo a 30 ore settimanali, — esperimento che si sta già facendo in Belgio –  in Italia chiediamo di portare il totale da 40 a 36 ore, che è già il contratto del pubblico, per dire che si può fare. Prima proposta attuabilissima che si aggancia al diritto alla disconnessione.
Di cosa si tratta?
Vige già in molti paesi europei, si tratta di un aggiustamento a un’evoluzione del mondo del lavoro che ci ha reso raggiungibili anche fuori dal proprio orario di lavoro, impendendo di vivere una vita corretta e creando dei rapporti subordinato estremamente gravosi. E che non è più sostenibile.
Tra le altre due proposte c’era l’aumento dei salari con la proposta di detassare tale aumento. 
Abbiamo visto che in Italia da 30 anni le crisi vengono scaricate sui lavoratori, siamo l’unico Paese in Europa in cui il salario medio non è cresciuto, anzi, è diminuito, senza neanche parlare di adeguamento al costo dell’inflazione.
È economicamente sostenibile?
È economicamente necessario. Abbiamo visto che le risorse si possono trovare. Noi stiamo lavorando con un gruppo di economisti dell’università del Piemonte orientale che avevano già fatto proposte molto importante per il recupero delle risorse necessarie in maniera non gravosa per lo Stato, studio che abbineremo. Abbiamo visto come in periodi di emergenza le risorse necessarie si trovano. A fronte del completo impoverimento di una nazione e a fronte di 30 anni di politiche del lavoro che stanno dando tutti risultati sbagliati, sembra un passo non più rimandabile. Aggiungo, sembra che lasciamo fuori una fetta importante di lavoratori, ossia le partite iva, in realtà anche loro stanno contrattando con il ministero dei livelli minimi di compenso che saranno legati ai contratti nazionali, quindi questo genere di aumenti innesca una sorta di spirale positiva di cui possono beneficiare anche gli altri lavoratori, è ovvio che una riforma importante della legislazione dei contratti in Italia e anche della rappresentanza sindacale va fatta.
Infine, parlate di “lavoro di cittadinanza”, espressione che potrebbe destare qualche perplessità.
Questa è una proposta estremamente provocatoria che parte da un assunto: noi abbiamo bisogno come welfare e come pubblica amministrazione di lavoratori, perché anche se nessuno lo sa, abbiamo il minor numero di lavoratori pro capite in PA in Europa. Quasi tutti i settori sono al collasso.
Qual è l’obiettivo principale della campagna?
E’ avere consenso da riuscire ad avere un’audizione in commissione lavoro al parlamento, riuscire a mettere di fronte alle necessità i nostri rappresentanti. Per riuscire a far capire che non è più rimandabile. Dobbiamo riuscire a cambiare le cose.
C’è un tema ricorrente che è quello dell’utilità della laurea connessa al mondo del lavoro. In cui sempre più spesso non si lavora nell’ambito per cui si ha studiato.
È ovvio che è un sintomo grave della distanza siderale tra il mondo del lavoro e l’altra formazione, molto spesso si dà la colpa all’università, ma sono le aziende che non sanno cosa farsene, cosa cercare. Abbiamo un serissimo problema di job hunting nelle aziende italiane. Nella nostra mentalità italiana cercare un lavoratore significa quasi fare beneficienza, sono loro per primi che non danno valore alle lauree che noi esprimiamo, i nostri laureati in giro per il mondo sono apprezzatissimi. La nostra formazione non è in discussione è che il mondo del lavoro non sa usarla.
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