Icona app
Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Banner abbonamento
Cerca
Ultimo aggiornamento ore 08:00
Immagine autore
Gambino
Immagine autore
Telese
Immagine autore
Mentana
Immagine autore
Revelli
Immagine autore
Stille
Immagine autore
Urbinati
Immagine autore
Dimassi
Immagine autore
Cavalli
Immagine autore
Antonellis
Immagine autore
Serafini
Immagine autore
Bocca
Immagine autore
Sabelli Fioretti
Immagine autore
Guida Bardi
Home » Politica

“Tajani faccia espatriare da Gaza quei due giornalisti palestinesi”: parla Fabrizio Battistelli, presidente dell’Istituto Archivio Disarmo

Immagine di copertina
I giornalisti gazawi Fatena Mohanna e Alhassan Selmi

Il 18 ottobre a Roma l’Istituto Ricerche Archivio Disarmo premierà tre reporter palestinesi con le Colombe d’oro. Ma due di loro sono bloccati nella Striscia in attesa del visto. Il presidente di Iriad, Fabrizio Battistelli, chiede alla Farnesina di attivarsi: “La stampa è un obiettivo diretto per Israele”

Il prossimo 18 ottobre a Roma si terrà la cerimonia di consegna del Premio Colombe d’oro per la pace, riconoscimento – giunto alla 41esima edizione – che viene assegnato annualmente dall’Istituto di ricerche Internazionali Archivio Disarmo (Iriad) a una personalità internazionale e a tre giornalisti che si sono distinti per il loro impegno per la pace. Nell’albo d’oro figurano maestri del calibro di Rodolfo Brancoli, Demetrio Volcic, Igor Man, Tahar Ben Jelloun, Bernardo Valli, Ignacio Ramonet e Robert Fisk. Quest’anno i premi saranno conferiti a Mirjana Spoliaric, presidente di Croce Rossa Internazionale, e a tre giornalisti palestinesi che operano nella Striscia di Gaza: Aya Ashour, Fatena Mohanna e Alhassan Selmi. Ashour si trova già in Italia dallo scorso giugno per partecipare ad attività di studio e ricerca presso l’Università per Stranieri di Siena. Mohanna e Selmi, invece, sono ancora nella Striscia in attesa di ottenere il visto per l’Italia. L’Iriad ha scritto al ministro degli Esteri, Antonio Tajani, chiedendo di attivarsi per il loro espatrio. Ne parliamo con il professor Fabrizio Battistelli, sociologo, presidente e co-fondatore dell’istituto.

La scelta di premiare tre giornalisti palestinesi ha a che fare con i circa 240 operatori dell’informazione uccisi a Gaza dall’8 ottobre 2023?
«Certamente. Le due stragi delle ultime settimane sono emblematiche. Della prima è stato vittima Anas al Sharif, reporter tra i più noti di al Jazeera, accusato dagli israeliani di essere al servizio di Hamas. La seconda, un doppio bombardamento contro l’ospedale Nasser, ha falciato la vita di 22 persone, tra cui 4 operatori sanitari e 5 giornalisti accorsi al primo colpo di cannone di un tank Idf».

Aya Ashour si trova già in Italia: cosa vi ha raccontato dell’inferno in corso nella Striscia?
«Ci ha detto di sentirsi una sopravvissuta: vivere oggi in Italia, dove non manca nulla, sapendo che la sua famiglia a Gaza non ha più niente, è per lei un dolore costante. Ha ricordato le difficoltà estreme dei suoi colleghi giornalisti e sottolineato come il numero di reporter uccisi dimostri che Gaza, in questo momento, sia il luogo più pericoloso al mondo per esercitare questa professione, poiché i giornalisti sono diventati un obiettivo diretto. Ha inoltre denunciato che i media internazionali continuano a parlare di “guerra”, mentre ciò che si consuma a Gaza è una vera e propria pulizia etnica. Secondo Aya, se davvero Israele volesse la pace, aprirebbe un dialogo con l’Autorità Palestinese, non con Hamas».

Mirjana Spoliaric, presidente di Croce Rossa Internazionale
La giornalista palestinese Aya Ashour: è in Italia dallo scorso giugno per partecipare ad attività di ricerca presso l’Università per stranieri di Siena

Fatena Mohanna e Alhassan Selmi sono invece ancora a Gaza. Voi avete chiesto al ministro Tajani di attivarsi per farli espatriare. Che risposta avete avuto?
«Avendo avuto una risposta negativa attraverso le ordinarie vie consolari, come presidente di Archivio Disarmo il 10 settembre ho scritto al ministro Tajani illustrando il significato delle Colombe d’oro per la pace e la figura dei tre giovani gazawi vincitori della sezione giornalistica. Sono tuttora in attesa di una risposta e non dispero che sia positiva».

Per le informazioni in vostro possesso, l’Italia sta continuando a vendere armi a Israele?
«Secondo il Coeweb, portale dell’Istat che monitora il commercio con l’estero, nel 2024 l’Italia ha esportato verso Israele armi e munizioni per circa 5,8 milioni di euro, dei quali solo l’11% ufficialmente tracciabili nelle sottocategorie (armi non letali, parti e accessori, bombe, granate e siluri). Particolarmente rilevanti sono le tecnologie per la navigazione aerea e spaziale, che comprendono aerei, droni, radar per un valore di 34 milioni di euro: di questi, ben 31 milioni non sono inseriti in sottocategorie, rendendone difficile la tracciabilità. Inoltre, nel 2024, l’Italia ha esportato verso Israele 2,7 milioni di euro in computer industriali, lettori ottici, dispositivi per l’inserimento e l’elaborazione codificata delle informazioni, strumenti fondamentali per le infrastrutture militari, la logistica e l’Intelligenza Artificiale. Tecnologie che possono essere utilizzate per funzioni “dual use” quali il controllo dei droni, il targeting automatizzato e il comando delle operazioni militari. Secondo il governo italiano, anche gli attuali invii di materiale strategico rientrano in contratti stipulati prima del 7 ottobre 2023».

Il professor Fabrizio Battistelli, sociologo, presidente e co-fondatore dell’Istituto di ricerche Internazionali Archivio Disarmo

Intanto continuiamo a rifornire anche l’Ucraina: «Si vis pacem para bellum»?
«La posizione di Archivio Disarmo è sempre a favore di una risposta politica e non militare. Il limite – grande – di questa posizione è che essa è efficace soprattutto nella fase della prevenzione: i conflitti vanno prevenuti quando sono latenti, dopo è tardi. Per accorgersi della colossale mina che stava per esplodere, l’Unione europea e la Nato – per non parlare della preziosa e snobbata Osce, in cui erano presenti sia Usa che Russia – hanno avuto 16 anni per tenere Mosca agganciata al tavolo negoziale, in tutti gli ambiti, dalle armi convenzionali ai missili nucleari a medio raggio: 8 anni prima del colpo di mano di Putin in Crimea e altri 8 per cercare una soluzione politica al Donbass. Quando poi è scattata l’invasione dell’Ucraina, è entrato in scena il diritto internazionale alla difesa in caso di aggressione, sancito dall’art. 51 della Carta Onu. Ma politica e diplomazia possono e devono riprendere l’iniziativa in ogni momento. L’occasione per farlo è stata sfiorata più di una volta, per esempio all’indomani del fallimento della conquista russa di Kiev e durante i colloqui di Istanbul. Invece è successo il contrario: i leader europei si sono trovati d’accordo soltanto sulla fornitura di armamenti, non hanno assunto nessuna iniziativa negoziale e anzi hanno scoraggiato Kiev a percorrerne una, mentre l’atteggiamento di Washington ha oscillato tra la retorica liberaldemocratica di Biden e le strizzate d’occhio a Putin e le concessioni al buio da parte di Trump. Che ora si dice “deluso”, come se stesse parlando di un fidato socio d’affari che lo ha tradito».

Cosa si prova a fare attivismo per il disarmo in quest’epoca di riarmo?
«In effetti quando fondammo Archivio Disarmo nel 1982, ci trovavamo in un’epoca di grandi mobilitazioni popolari contro il riarmo nucleare: era il periodo dell’installazione a Comiso dei missili Pershing e Cruise in risposta agli SS2 dell’Unione sovietica. Nel 1983 in piazza a Roma eravamo un milione: giovanissimi, giovani e meno giovani, famiglie con i bambini… Non c’era violenza, che dico: non c’era rancore. Solo tanta speranza di convincere i governi, soprattutto le due superpotenze nucleari, circa l’assurdità della corsa agli armamenti. Illusioni di idealisti? Fino a un certo punto. Ai negoziati di Ginevra sul ritiro degli Euromissili Usa-Urss noi pacifisti italiani incontrammo, separatamente, gli ambasciatori americano e sovietico: venimmo ricevuti, facemmo domande, ricevemmo risposte e fummo perfino ascoltati. Nell’immediato quei negoziati non dettero risultati, ma in quella e in tante altre occasioni l’opinione pubblica confermò che aveva il proprio peso. Quattro anni dopo in Urss Gorbacëv iniziava la sua perestrojka e nel 1987 firmava con Reagan gli accordi per la limitazione dei missili a medio raggio. Tra il 1987 e il 1997 vennero ritirati e distrutti da ambo le parti 2.700 missili e circa 13mila testate nucleari. Oggi? Beh, i protagonisti sono cambiati. Si chiamano Putin e Trump, non c’è molto da aggiungere. Noi però insistiamo, coltiviamo il terreno del controllo degli armamenti. Negli anni Novanta era diventato un frutteto rigoglioso, ora è un orticello in una china scoscesa. Ma, come diceva Voltaire, bisogna coltivarlo».

L’Italia si è impegnata ad aumentare le spese militari al 5% del Pil entro il 2030. Secondo alcuni, si tratta di una scelta inevitabile dinnanzi al disimpegno statunitense verso l’Europa. È così?
«Più che inevitabile, è una scelta impraticabile. Con l’attuale 1,5% del Pil, a fatica si sono trovati i 32 miliardi di euro delle previsioni 2025, qualche artificio contabile è passato di straforo arrampicandosi fino al 2% ma, come era prevedibile, gli americani hanno bocciato le astuzie alla Salvini sullo spacciare come strategicamente rilevante il ponte sullo Stretto. Essendo seri, i conti sono presto fatti. Per raggiungere il 2% “vero” ci vogliono altri 15 miliardi di euro all’anno per un totale di 47 miliardi di euro. Per raggiungere il mitologico 5% ce ne vorrebbero altri 71 all’anno. Tutti ne parlano in teoria e nessuno dice da dove si prendono questi soldi. Neppure, nel caso si prenodono in prestito 15 miliardi del Safe, qualcuno spiega come si restituiranno entro 45 anni. Come ricorda l’economista Maurizio Franzini, nel bilancio dello Stato nuove risorse finanziarie hanno tre – e soltanto tre – fonti. Primo: l’aumento del debito (e l’Italia ha il vincolo europeo di ridurlo sotto 3% rispetto al Pil. Secondo: l’aumento delle tasse (la pressione fiscale in Italia è già al 42,6% del Pil. Terzo: il taglio delle altre voci di bilancio, tipo sanità e istruzione (la spending review, citata come un mantra, assicura risparmi di poche centinaia di milioni di euro)».

L’Europa come dovrebbe rapportarsi rispetto alle altre grandi potenze armate fino ai denti?
«L’Europa non può disarmare unilateralmente. Piuttosto deve impegnarsi a ricostruire le sedi per il disarmo multilaterale: cioè, il controllo degli armamenti negoziato globalmente, innanzitutto con la Russia. Dopo gli accordi di Helsinki e la fine della guerra fredda, torno a dire che la sede c’era ed era l’Osce. Si può farla funzionare, non mandandoci il più sprovveduto dei giovani funzionari ma facendo partecipare i premier e i ministri degli Esteri. Il problema è di volontà politica e quindi anche di capacità di contenimento e governo delle pressioni economiche da parte delle industrie e delle istituzioni, così come delle ambizioni geo-strategiche di alcuni. Detto questo, vanno ampliati il concetto di sicurezza, da nazionale e di blocco, a sicurezza comune e il concetto di difesa da unicamente armata a modalità integrate di difesa anche nonviolenta. Un pacifismo politico non nega la possibilità di una difesa comune europea. Come mai la difesa dell’Europa è così debole, se i Paesi della Ue sono il secondo centro di spesa nel mondo (368 miliardi di dollari), dietro soltanto agli Stati Uniti (997 miliardi di dollari) testa a testa con la Cina (la cui spesa per la difesa ammonta a 314 miliardi di dollari) staccando la Russia (con una spesa per la difesa di 149 miliardi di euro)? La risposta è a causa della pretesa di avere tutti e 27 la totalità delle funzioni: terra, mare, aria. Grandi risparmi sarebbero ottenibili eliminando le duplicazioni e specializzando funzionalmente un Paese capofila e i suoi collaboratori».

A questo link è possibile firmare l’appello di Iriad al ministro Tajani affinché si attivi per far arrivare in Italia i giornalisti gazawi Fatena Mohanna e Alhassan Selmi.
Iriad ha lanciato inoltre una raccolta fondi in favore dei due reporter. A questo link tutte le informazioni necessarie per aderire.

Ti potrebbe interessare
Politica / Il costituzionalista Salvatore Curreri a TPI: “I Cpr non sono una soluzione neppure in Albania”
Ambiente / È uscito il nuovo numero di The Post Internazionale. Da oggi potete acquistare la copia digitale
Politica / Inchiesta per corruzione nell’Ue, Mogherini si dimette da rettrice del Collegio d’Europa
Ti potrebbe interessare
Politica / Il costituzionalista Salvatore Curreri a TPI: “I Cpr non sono una soluzione neppure in Albania”
Ambiente / È uscito il nuovo numero di The Post Internazionale. Da oggi potete acquistare la copia digitale
Politica / Inchiesta per corruzione nell’Ue, Mogherini si dimette da rettrice del Collegio d’Europa
Politica / FdI cambia idea sulla cannabis light: prima l’ha vietata, ora vuole farla diventare monopolio di Stato
Opinioni / Rimettiamo al centro il capitale umano (e chi lo sostiene) - di G. Gambino
Politica / Vannacci e il presepe nello zaino militare: l'ultima trovata dell'eurodeputato della Lega
Esteri / La Corte Ue: “Il matrimonio gay celebrato in un Paese membro va riconosciuto”
Cronaca / È l’ora della “Rinascita”: torna la storica rivista che vuole rilanciare il pensiero politico della sinistra
Politica / Con la corsa al riarmo Meloni rischia di sacrificare l’economia reale sull’altare della sicurezza
Ambiente / È uscito il nuovo numero di The Post Internazionale. Da oggi potete acquistare la copia digitale