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Yanis Varoufakis a TPI: “L’Europa è diventata un continente fallito, idiota e pericoloso”

Immagine di copertina
Credit: AGF

"L'Ue ha perso l'occasione di creare un’unione politica e fiscale e così siamo rimasti indietro rispetto a Usa e Cina dal punto di vista tecnologico, economico e politico. Se la Nato difende gli interessi statunitensi, la soluzione non è scommettere su un'Unione di guerra". L'ex ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, spiega a TPI la ricetta del suo Partito transnazionale DiEM25/MERA25: "Prendiamo l'iniziativa per promuovere la pace in Ucraina e Medio Oriente e tuteliamo la Natura e i cittadini più deboli"

L’Unione europea è nata come progetto di pace, eppure alla vigilia delle elezioni europee si parla sempre più di esercito, difesa e armamenti su cui investire insieme. Cos’è successo all’Ue?
«La crisi dell’euro e l’assortimento di austerità per molti e munificenza per pochi che ne è seguito, hanno causato un crollo degli investimenti. Per quindici anni, l’Europa non ha investito in tecnologie nuove, ecologiche e produttive. Intanto, Cina e Stati Uniti (soprattutto negli ultimi quattro anni) hanno investito come pazzi.

Qual è il risultato?
«L’Europa è rimasta permanentemente indietro dal punto di vista tecnologico, economico e politico».

Il futuro allora è un’Europa armata?
«Con la guerra in Ucraina e la Nuova Guerra Fredda tra Stati Uniti e Cina che distruggono ciò che resta del modello imprenditoriale tedesco (tagliando fuori Berlino dall’accesso al gas russo e ai mercati cinesi), il fallimento dell’Ue nello sfruttare la crisi dell’euro e la pandemia come un’opportunità per creare un’unione politica e fiscale, ci ha portato a questa situazione: stagnazione permanente, un rapido declino e la disponibilità a scommettere tutto su un’Europa come un’Unione di guerra. Questa è la triste verità: l’Europa, pur essendo ancora ricca culturalmente e finanziariamente, è diventata un continente fallito, idiota e pericoloso».

Il suo movimento DiEM25/MERA25 è contrario a una forza militare comune e propone anche l’uscita dalla Nato.
«La Nato non difende l’Europa. Di fatto, sta intensificando le minacce alla sicurezza europea in modo funzionale agli interessi dell’industria dei combustibili fossili e del complesso militare-industriale degli Stati Uniti. Senza esagerare, l’Alleanza atlantica funziona come un’organizzazione mafiosa che crea insicurezza per vendere protezione. Allo stesso modo, la soluzione per l’Europa non è spendere migliaia di miliardi in nuove armi».

Qual è l’alternativa?
«Per capirlo, basta porsi una semplice domanda: supponiamo che l’Italia e la Germania disponessero di tremila carri armati in più e persino di armi atomiche. Putin non avrebbe invaso l’Ucraina? Lo avrebbe fatto comunque, dato che Germania e Italia non sarebbero mai intervenute. Quindi, cosa dovrebbe fare l’Europa invece di agire come il braccio operativo dell’America? Perché non prendere l’iniziativa per avviare un processo di pace per l’Ucraina e il Medio Oriente in seno alle Nazioni Unite, insieme ai Paesi Brics e ad altri importanti attori mondiali (come ad esempio, il Messico)?!»

Intanto, dopo quasi due anni e mezzo di invasione russa dell’Ucraina e di sanzioni contro Mosca, la guerra continua. Quali sono le prospettive per l’Ue?
«La prospettiva è esattamente ciò che Washington ha sempre voluto e pianificato contro gli interessi dell’Europa: il Gnl (gas naturale liquefatto, ndr) americano ha sostituito il gas russo, la Germania sta spendendo altre decine di miliardi in armamenti prodotti negli Stati Uniti come il resto dei Paesi dell’Unione, l’Ue non ha alcuna voce in capitolo in qualsivoglia iniziativa di pace, il segretario della Nato (Jens, ndr) Stoltenberg ha sostituito tutti i nostri leader europei nel processo decisionale, e la stessa Ucraina si è affidata alle imprese statunitensi dall’agricoltura, alla produzione di armi, alla finanza, fino al settore immobiliare. Inoltre, quando la guerra finirà, Washington farà sì che sia l’Ue a pagare per l’Ucraina con fondi che Bruxelles non possiede e che saranno spesi in prodotti di provenienza statunitense e per scopi che sono negli interessi degli Stati Uniti».

Eppure, la guerra in Ucraina e prima ancora la pandemia di Covid-19 hanno spinto l’Ue a dotarsi di nuovi strumenti, impensabili fino a qualche anno fa, come un (limitato) debito comune. Non è un passo avanti nell’integrazione?
«Nel giugno 2020, quando fu deciso il Recovery Fund, DiEM25 lo denunciò come la pietra tombale di ogni possibile, futura, vera e democratica unione fiscale. È vero che è stato istituito un debito comune, ma non del genere che può unire il nostro continente, piuttosto del tipo che ci divide in maniera permanente».

A quasi quindici anni dall’inizio della crisi del debito greco e a nove dal suo mandato di ministro delle Finanze, in Europa si torna all’austerità con il nuovo Patto di stabilità. Cos’è cambiato da allora e quali sono le prospettive per i Paesi più indebitati come l’Italia?
«È stata tutta una finzione. Hanno preso in prestito una somma di denaro macro-economicamente insignificante, costringendo i tedeschi più poveri a farsene carico, per consegnarla agli stessi vecchi oligarchi in Grecia e in Italia. È ciò che si fa se si vuole garantire che non ci sarà mai un fondo di investimento comune, terapeutico e favorevole alla tutela dell’ambiente e che non ci sarà mai un’unione politica».

Qual è la soluzione: riformare l’architettura dell’Ue per garantire maggiore legittimità democratica?
«Cinque anni fa, quando DiEM25 presentò i propri candidati in sette Paesi contemporaneamente, avrei risposto di sì. Allora avevamo un piano su come stabilizzare e democratizzare l’Ue (il Green New Deal per l’Europa) e avevamo affermato che: “L’Europa o si democratizzerà o si disintegrerà”. Ma, in tutta onestà, oggi non possiamo più ripeterlo. Negli ultimi cinque anni, l’Europa ha sprecato ogni possibilità che aveva di democratizzare l’Ue. Questi cinque anni, dal 2019 ad oggi, saranno considerati dai futuri storici il periodo durante il quale l’Ue ha perso la sua occasione. Parlare di democratizzazione dell’Ue adesso significherebbe mentire agli europei. Non è più possibile. Tutto ciò che possiamo fare ora, se eletti al Parlamento europeo, è difendere i cittadini più deboli e la Natura saccheggiata da un’istituzione comunitaria determinata a ricavare valore dai nostri beni comuni e a sfruttare al massimo le popolazioni e l’ambiente in Europa».

Per tutelare l’ambiente, i Partiti europei della cosiddetta maggioranza Ursula (Ppe, Pse, Verdi, Renew) rivendicano l’approvazione del Green deal. È sufficiente per vincere la sfida dei cambiamenti climatici?
«Il Green Deal della signora von der Leyen è stata un’altra farsa. Dei mille miliardi di euro promessi, meno di 50 miliardi di nuove risorse sono state spese per autentici progetti ecologici. Inoltre, con il cambiamento di opinione del centrodestra e l’ascesa dell’estrema destra, anche questo insignificante “Green Deal” è passato a miglior vita».

In Italia si parla da anni, senza successo, di introdurre il salario minimo mentre la maggioranza di destra di Giorgia Meloni ha cancellato il reddito di cittadinanza. DiEM25/MERA25 propone invece un “reddito universale di base e incondizionato”: che cosa significa?
«Il cosiddetto “Reddito di Cittadinanza” dei 5 Stelle non è mai stato altro che un regolare versamento, basato sull’accertamento dei livelli di reddito, per le persone che soddisfacevano determinati criteri. Da anni tali forme di sussidio sono ormai la norma in molti Paesi. Sono subordinati a determinate condizioni e quindi implicano molta burocrazia, che decide chi può beneficiarne e chi no – il che consegna anche ai burocrati un eccessivo potere di mortificare chi ne fa richiesta. Un reddito di base universale è esattamente l’opposto: è incondizionato. Un accredito, ad esempio, di mille euro al mese, per ogni cittadino, ricco o povero, meritevole o immeritevole. Nessuna burocrazia a decidere chi lo debba riceve e chi no, è un versamento che tutti ricevono di diritto come cittadini – come azionisti alla pari della nostra economia collettiva. Proprio perché è incondizionato, è liberatorio, elimina gli umilianti accertamenti sul reddito e funge da base su cui i cittadini possono sperimentare una varietà di carriere creative, senza il timore di morire di fame».

Come verrebbe finanziato?
«Né dalle imposte sulle vendite (IVA) né dalle imposte sul reddito ma, al contrario, da tre fonti: una parte proverrà da un’eco-tassa sulle emissioni di anidride carbonica che ridurrà la dipendenza della nostra società da attività economiche che alimentano la catastrofe climatica. Una seconda sarà finanziata dalle imposte sul patrimonio (anche da una quota delle azioni dei grandi conglomerati che questi ultimi dovranno depositare in un Fondo europeo di equità sociale). E una terza proverrà dal finanziamento diretto della Banca centrale».

Nel suo ultimo libro, “Tecno feudalesimo”, delinea un nuovo sistema economico che avrebbe “ucciso” il capitalismo: come funziona?
«Il tecno feudalesimo è stato inaugurato dallo sviluppo di una nuova forma di capitale che io chiamo “capitale cloud”. A differenza del capitale convenzionale (ad esempio: reti elettriche, trattori o macchinari industriali) che è composto da mezzi di produzione fisici, il capitale cloud è un mezzo di produzione volto a modificare il nostro comportamento: ad esempio, facendoci desiderare beni che poi ci vengono venduti direttamente (come attraverso Amazon), aggirando i mercati e, quindi, consentendo ai proprietari di questo capitale cloud (persone come Jeff Bezos) di ricavare gigantesche rendite dai venditori e dai consumatori dei servizi in cloud».

Come si inserisce la competizione globale sullo sviluppo dell’intelligenza artificiale in questo nuovo ordine economico?
«In questa nuova modalità di estrazione del valore, l’intelligenza artificiale semplicemente alimenta ulteriormente il potere dei proprietari del capitale cloud – che sono i signori tecnofeudali della nostra epoca o, se preferite, la nostra nuova classe dirigente “cloudalista”».

Rispetto a Usa e Cina, l’Europa è indietro nello sviluppo di questa nuova tecnologia ma proprio pochi giorni fa il Consiglio Ue ha dato il via libera definitivo all’AI Act, la prima legge al mondo a disciplinare il settore: riuscirà a colmare questo divario?
«No, in nessun caso. L’Europa ha investito somme minuscole nel settore dell’intelligenza artificiale o più in generale in quello che io chiamo “capitale cloud”. Nessuna regolamentazione proveniente da Bruxelles potrà colmare l’enorme abisso che separa l’Europa, da un lato, e la Cina o gli Stati Uniti, dall’altro».

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