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Home » Politica

Cari Renziani, un tempo quelli come Lotti li rottamavate. Questo vostro garantismo sul caso procure fa ridere

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CASO PROCURE CSM – Non accenna a placarsi la bagarre politica scatenatasi con la diffusione delle intercettazioni che riguardano gli incontri e le discussioni tra l’ex ministro dem Luca Lotti e alcuni membri del Consiglio Superiore della Magistratura. Le trascrizioni delle intercettazioni pubblicate da vari quotidiani hanno svelato quello che potremmo tranquillamente definire “il segreto di Pulcinella”.

Politici e magistrati che discutono – non nelle sedi opportune ma nell’ambito di cene segrete e lontano da occhi indiscreti – di nomine e lottizzazione del Csm, che fanno i conti per vedere se il proprio pupillo riuscirà a essere eletto in Consiglio o a essere inviato nella tal procura e che si scambiano pareri e opinioni tranchant sull’azione dei togati. Un segreto di Pulcinella, sì, perché da che mondo è mondo, purtroppo, in Italia questa condotta è sempre politicamente stata accettata e considerata in qualche modo legittima da entrambe le componenti in gioco. L’ex storico membro della Democrazia Cristiana, Gianfranco Rotondi, su Twitter l’ha per esempio definita una mera “prassi costituzionale”, come fosse nulla di rilevante, stupendosi per la grande “caciara” che la questione sta generando.

Caso procure Csm | Il garantismo dei renziani

Quel che sta emergendo dallo scandalo che ha travolto il dem Lotti e il Csm ci racconta non solo di condotte universalmente accettate ma anche politicamente rivendicate. Ma se queste “prassi” sono universalmente accettate e conosciute, per quale motivo Lotti è finito sulla graticola nonostante non figuri tra gli indagati di questo procedimento? E perché la sua autosospensione sta facendo così tanto discutere? Il motivo è molto semplice: l’ex ministro Lotti nell’ambito di quelle cene e incontri segreti ha discusso con vari componenti del Csm non solo delle nomine e delle votazioni, ma ha anche cercato di occuparsi della nomina del procuratore di Roma, ovvero di quella procura che lo ha rinviato a giudizio per il caso Consip. Insomma, da che mondo è mondo è quantomeno inopportuno, anche se non penalmente rilevante, che una persona rinviata a giudizio discuta con dei componenti del Csm di una situazione che lo vede protagonista in prima persona.

“Non ho fatto mai pressioni, non sono indagato e non ho commesso alcun reato”, ha in sintesi dichiarato l’ex ministro Lotti nel tentativo di spiegare la propria posizione e rispedire al mittente le accuse politiche che per giorni gli sono state mosse anche da esponenti del Pd, rivendicando la propria innocenza e facendo leva sul principio del cosiddetto garantismo. In mezzo a tutta questa bagarre, Lotti ha trovato il sostegno di molti renziani duri e puri, che hanno attaccato l’attuale segretario dem Nicola Zingaretti per aver anche solo pensato di chiedere a Lotti di lasciare il partito e di censurare il comportamento dell’ex ministro considerandolo inopportuno e lontano dai principi fondanti del Pd.

“Pensiamo alle colpe dei magistrati finiti al centro dello scandalo”, ripetono in molti nel tentativo di ridimensionare la posizione di Lotti. Come se due torti facessero una ragione, verrebbe sarcasticamente da commentare. Senza queste condotte politiche così spregiudicate e cristallinamente rivendicate i magistrati potrebbero fare ben poco, ma questo i renziani dimenticano di sottolinearlo.

Caso procure Csm | La vecchia bandiera della rottamazione

Proprio gli stessi renziani che per anni hanno fatto della rottamazione di certe pratiche politiche antiche la propria bandiera, rivendicando la necessità di cambiare quei meccanismi che per decenni hanno regolato i rapporti tra politica e istituzioni varie; quelli che per anni, prima dell’arrivo al governo, hanno veementemente criticato e censurato gli atteggiamenti di commistione. Tutto dimenticato in un batter d’occhio, come normalmente accade quando c’è da difendere a spada tratta un proprio sodale.

Il garantismo, ripetono in coro tutti quanti, dando addirittura addosso al giornalista de La Stampa Alberto Infelise, che su Twitter ha avuto l’ardire di porre pubblicamente a Lotti alcune domande per indagare sulle malcelate e sibilline accuse lanciate dallo stesso nel corso di una discussione-scontro con Carlo Calenda. Un provocatore, così hanno definito il cronista, come grillini qualsiasi. Se quello stesso giornalista le stesse domande le avesse poste a un esponente del Movimento 5 Stelle o della Lega l’avrebbero incensato e considerato un eroe, ma si sa, il doppiopesismo in politica è un pregio e l’essere artisti nell’arrampicata sugli specchi un requisito imprescindibile.

Il garantismo, però, nel caso di Lotti non c’entra assolutamente nulla. L’ex ministro non è indagato, verissimo. L’ex ministro non ha commesso reati, verissimo. L’ex ministro non ha fatto pressioni, vero anche questo altrimenti avrebbe commesso un reato.

Caso procure Csm | La condotta inopportuna di Lotti

C’è però un però: Luca Lotti ha tenuto una condotta assolutamente inopportuna, interessandosi e discutendo di nomine che per un motivo o per l’altro l’avrebbero direttamente riguardato. L’avesse fatto un normale cittadino qualcuno l’avrebbe difeso? Se lo scandalo avesse coinvolto al posto di Lotti un Berlusconi, un Di Maio o un Salvini, i dem renziani avrebbero difeso la condotta o l’avrebbero strumentalizzata fino allo sfinimento con buona pace del tanto caro garantismo? Per fare un esempio ancora più terra -terra: se un cittadino che conosce il tal agente della polizia locale gli domandasse, en passant, senza fare pressioni, per informarsi, se esiste la possibilità di farsi cancellare qualche multa per risparmiare qualche euro, qualcuno lo difenderebbe?

Anche nel caso del cittadino il comportamento non sarebbe penalmente rilevante, ma la condotta sarebbe sicuramente moralmente censurabile. Lo stesso è per Lotti. Non ha commesso alcun reato, ma ha tenuto un comportamento moralmente e politicamente inaccettabile e il garantismo con la responsabilità politica c’entra come i cavoli a merenda. Si chiama accountability, quello strano e assurdo principio che nel mondo anglosassone implica la necessità di dover rispondere delle proprie azioni davanti all’opinione pubblica e che in Italia sembra essere assolutamente sconosciuto.

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