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Tre modi diversi di essere impostore (di V. Magrelli)

Immagine di copertina
Credit: emanuele fucecchi

Tra i libri appena usciti, mi ha colpito l’allineamento di tre titoli, in apparenza simili ma in verità assai diversi fra loro. Il primo, di taglio psicologico-divulgativo, si deve a Florencia Di Stefano-Abichain (Vallardi). Pensavo di essere io… invece è la Sindrome dell’Impostore prova a spiegare «come trasformare il senso di inadeguatezza nel nostro migliore alleato». A scanso di equivoci, la fascetta recita: «Un percorso per far fiorire la nostra autostima». Quante volte, leggiamo, invece di godere di un successo ci ritroviamo sopraffatti da un ingiustificato senso di inadeguatezza? Proprio tale paura di essere «smascherati» è il classico sintomo della sindrome indagata in queste pagine.

Rispetto a quello di Di Stefano-Abichain, più articolato appare il saggio di Susannah Cahalan Il grande impostore. La missione segreta che ha cambiato la nostra idea di malattia mentale (Codice). Il volume ricostruisce le vicende di uno psicologo di Stanford, David Rosehan, che nel 1973 si fece ricoverare sotto falso nome in un istituto psichiatrico: voleva dimostrare che, in realtà, gli psichiatri non erano in grado di distinguere la follia dalla sanità mentale. Malgrado le numerose critiche che lo accolsero, il testo rappresentò una svolta nella storia della clinica, portando alla chiusura di molte strutture; il tutto sulla scia del lavoro teorico sviluppato qualche anno prima da Michel Foucault con la sua “archeologia” del sapere.

Arriviamo così al terzo e ultimo dei nostri studi, a cui, non lo nascondo, va la mia preferenza. Mi riferisco a Fenomenologia dell’impostore. Essere un altro nella letteratura moderna, di Giancarlo Alfano (Salerno). È possibile prendere il posto di qualcun altro, si chiede l’autore, fino ad acquisire i tratti della sua personalità? A differenza di quanto accadeva nel mondo antico, sin dal tardo medioevo l’impostore non fu più solamente chi assumeva il ruolo di una figura illustre ma anche chi si spacciava per una persona qualunque. Un perfetto sconosciuto poteva persino prendere il posto di un marito assente, come nel caso del contadino francese Martin Guerre, che nel XVI secolo fu vittima di un celebre “furto d’identità”. Siamo di fronte al sintomo di una crisi che giungerà fino ai giorni nostri con il moltiplicarsi di fenomeni connessi allo scambio di persona. Alfano sa tracciare un’autentica genealogia dell’impostura, ripercorrendo le vicende dei principali mistificatori nella letteratura europea. Ne emerge «una controstoria della soggettività occidentale» che spazia da Boccaccio a Shakespeare, da Molière a Diderot, da Rousseau a Melville, da Unamuno a Thomas Mann, su su fino a Carrère e Cercas. «Culture del segreto», «teorie della maschera»: basterebbe il quarto capitolo, dedicato all’immagine del cortigiano, per raccomandare questa lettura, insieme appassionante e nutritiva.

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