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Salario minimo legale? Meglio lo sfruttamento del lavoro: ecco il modello Confindustria (di R. Gianola)

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Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi. Credit: Ansa

Dall'aumento degli stipendi al bonus 200 euro: il presidente di Confindustria Carlo Bonomi dice no a tutto. Rinaldo Gianola spiega su TPI perché gli industriali inseguono ancora il modello di dumping sociale, che sta alla base di un modello economico dominato da sfruttamento, pochi investimenti, scarsa innovazione, modesta apertura all’internazionalizzazione

Che bella sorpresa ci hanno fatto quei parrucconi di Bruxelles. La Direttiva sul salario minimo legale – importante scrivere per intero il provvedimento con enfasi sull’ultima parola: legale – è lo strumento per difendere la dignità dei lavoratori che devono poter contare su retribuzioni «eque» e «adeguate». Non siamo obbligati ad applicare questa direttiva perché in Italia partiti, imprese e sindacati si nascondono dietro la foglia di fico dei contratti nazionali che coprirebbero circa l’80% dei lavoratori. In un periodo d’inflazione galoppante, con un verticale calo del potere di acquisto delle famiglie, la Direttiva europea ha un effetto politicamente rilevante e socialmente sensibile, se solo ci fosse qualche forza politica in grado di sfruttarla, perché introduce anche il principio secondo cui il salario minimo non è immobile, ma deve essere aggiornato periodicamente in relazione all’andamento del costo della vita. E qui Bruxelles introduce nel testo due paroline magiche: “Automatic Indexation”, indicizzazione automatica, cioè qualcosa che ricorda la nostra vecchia scala mobile, abolita da Bettino Craxi negli anni Ottanta. Gli automatismi terrorizzano governi, padroni, economisti di varia natura che vedono in agguato la spirale inflazionistica.

Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, infatti, implora di non avviare «la rincorsa tra prezzi e salari». Così, nella realtà, si lasciano correre i prezzi mentre le retribuzioni restano al palo, come avviene da trent’anni in Italia. Nessuno si fa illusioni che il salario minimo legale d’impronta europea risolverà alla radice il problema dell’ingiustizia e dello sfruttamento sui posti di lavoro. Però l’introduzione di una retribuzione minima per legge nei Paesi europei è una misura che fa fronte «alla diminuzione strutturale della contrattazione collettiva» che esclude milioni di lavoratori dalle tutele contrattuali, come spiega la Commissione Ue, ed è utile per arginare e governare la moltiplicazione di lavori e lavoretti pagati poco o nulla che alimentano l’impoverimento di persone che, per le statistiche, hanno un’occupazione. Il vantaggio maggiore di questo provvedimento sarebbe per le categorie più fragili come i giovani, le donne, gli stranieri che troverebbero un appiglio di legge cui aggrapparsi davanti a retribuzioni di pochi euro l’ora, o ai percorsi tortuosi degli stage e dei tirocini, o al lavoro saltuario. Dopo aver osteggiato per molto tempo il salario minimo legale, i sindacati confederali hanno maturato, in parte, un atteggiamento di maggior apertura pur difendendo le prerogative della contrattazione, strumento ormai indebolito ai fini della tutela concreta dei salari e dei diritti dei lavoratori.

La verità, purtroppo, è che da Cgil Cisl e Uil non emerge più nulla: non c’è un’idea, una proposta, un’innovazione, una provocazione che sparigli le carte della dialettica sociale e politica. L’aspirazione dei vertici confederali è di essere convocati a Palazzo Chigi e di uscirne col volto preoccupato delle grandi occasioni, con eventuale passaggio nel salotto tv di Vespa, oppure discutere per mesi con le imprese di qualche Patto – per “il lavoro”, per “lo sviluppo”, per “la competitività” – che di solito restano solo sulla carta. Gli industriali, invece, sono nettamente contrari al salario minimo legale, «non è un tema per noi», ha sentenziato il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi che dice no al bonus di 200 euro, no agli aumenti salariali e accusa Draghi di aver smarrito la sua vocazione riformatrice. Parole grosse. Perché le imprese, se operano in trasparenza sul mercato e già rispettano leggi e contratti, non vogliono fissare un salario minimo?

È una posizione che suscita un sospetto: forse Bonomi e i suoi amici vogliono poter giocare fino in fondo l’arma del ricatto salariale (non un euro di più di quanto vi concedo) oppure hanno nostalgia del modello di dumping sociale, ancora in voga in Italia nei cosiddetti nuovi lavori, che sta alla base di un modello economico dominato da sfruttamento, pochi investimenti, scarsa innovazione, modesta apertura all’internazionalizzazione. Queste scelte oscurantiste del passato hanno frenato lo sviluppo e l’occupazione, avviando il Paese verso un declino durato molti anni. L’introduzione sul mercato del lavoro di un elemento di legalità dovrebbe essere accolta da tutti con favore, non può che far bene al nostro Paese che vede sfuggire un’economia irregolare di circa 100 miliardi di euro l’anno. E, infine, proprio Confindustria dovrebbe fare della legalità la sua bandiera, ora che è impegnata a rifarsi un’immagine dopo la terribile condanna dell’ex direttore del Sole 24 Ore e il patteggiamento degli ex vertici accusati di aver falsificato il numero di copie diffuse.

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