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Home » Opinioni

Ius Scholae, una priorità per il Paese ma non per il Governo

Immagine di copertina
Credit: AGF

Lo Ius Scholae è una soluzione di buon senso. Non a caso è sostenuta da un’ampia maggioranza sia in Parlamento sia tra i cittadini. Tajani ha rotto il monopolio sulla materia esercitato dalla Sinistra. Meloni però prende tempo. Ma non diceva di avere il polso del Paese?

C’era una volta un’Italia in cui il Governo dettava la linea politica ma la prerogativa di proporre e approvare le leggi spettava al Parlamento. Mezzo secolo fa, il 12 maggio 1974, l’esito negativo del referendum sull’abrogazione del divorzio sancì in modo indiscutibile questo principio. 

La legge Baslini-Fortuna, liberale il primo, socialista il secondo, era entrata in vigore il primo dicembre 1970 grazie al voto favorevole di tutti i partiti laici nonostante l’opposizione della Democrazia Cristiana, che disponeva in entrambe le Camere del 42% dei rappresentanti, cui si erano aggiunti i raggruppamenti di destra, Msi e Pdium, e la Svp. Si trattò d’una vittoria risicatissima – al Senato la legge passò per soli due voti – che rese logico il ricorso al referendum: la consultazione popolare, con una sorprendente maggioranza del 60%, confermò quanto deciso dal Parlamento. 

In quei quattro anni di fervente e appassionata discussione sulla questione, mai la Dc ricorse all’ostruzionismo, forse anche perché erroneamente convinta che il referendum avrebbe poi portato all’abrogazione della legge. 

Oggi, l’Italia si trova nuovamente confrontata con una grande questione che investe la società civile: l’ampliamento della legge sul diritto alla cittadinanza per i giovani. A rilanciare il tema in termini corretti, dopo anni di sterili proclami ideologici, è stato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani.

Il leader di Forza Italia, rifacendosi a quanto affermato dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel luglio 2022, ha auspicato che venga concessa la cittadinanza italiana a chi ha frequentato interamente la scuola dell’obbligo (Ius Scholae). Una soluzione che, lungi dall’essere radicale, trasuda buonsenso da ogni poro. 

Non a caso, a  favore di questo provvedimento, emerge l’esistenza di una ampia maggioranza, tanto in Parlamento quanto nel Paese. La Lega, unico partito dichiaratamente contrario alla riforma, ha minacciato una crisi di governo se la proposta dovesse arrivare in Parlamento. 

Pensando al comportamento responsabile tenuto dalla Dc cinquant’anni fa, l’atteggiamento dei rappresentanti del Carroccio funge da indicatore negativo sul deterioramento degli standard dei nostri politici. 

Non di meno, dopo una partenza a razzo, la propulsione riformatrice di Tajani ha subito un notevole rallentamento negli ultimi giorni. Il pronunciamento del leader di Forza Italia ha, comunque, posto fine a un monopolio ideologico sulla materia da parte della Sinistra. Il Partito Democratico, cavalcando per anni la questione, lo ha fatto usando, a sproposito, il termine Ius Soli al posto della generica locuzione ampliamento del diritto della cittadinanza.

Il risultato di questa mala comunicazione è stato che molti hanno creduto che l’estensione della nazionalità passasse solo per lo Ius Soli. Quest’ultimo, abbandonato nel 1981 anche dal Regno Unito, la sua alma mater, è oggi in uso solo nei Paesi istituzionalmente aperti all’immigrazione quali Australia, Canada e Usa, cui si aggiunge il continente latino-americano. 

Il desiderio ossessivo del Pd di includerlo, se non chiaramente anche di straforo, ha portato al fallimento in extremis, nell’autunno 2017, del disegno di legge Lo Moro, altresì noto come Ius Culturae, che avrebbe garantito la cittadinanza a un milione e mezzo di giovani.

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Con l’opinione pubblica sempre più convinta che l’allargamento del diritto di cittadinanza ai giovani nuovi italiani sia diventata una questione urgente per il Paese, Giorgia Meloni, non potendo negare il suo passato sostegno allo Ius Scholae, oggi prende tempo, rifugiandosi nella creativa affermazione che la questione non costituisce una priorità nazionale. Un’osservazione, questa, in antitesi con la filosofia della premier che ha sempre sostenuto d’avere il polso del Paese. Fino a che punto di scontro sarà pronta ad arrivare la Meloni su questa delicata questione è il quesito cui daranno risposta i prossimi mesi.

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