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L’intelligenza artificiale è l’ultima frontiera dell’innovazione: sarà una rivoluzione o una minaccia per la società? (di R. Gianola)

Immagine di copertina
Credit: AP Photo

Alcune funzioni sociali scompariranno e altre nasceranno, come successo con altre invenzioni. Ma è una sfida affascinante e pericolosa. Potrebbe liberarci dal lavoro o renderci ostaggi per sempre

Quanti posti di lavoro ci farà perdere? E quanti ne creerà? Sostituirà gli insegnanti, i medici, i giornalisti? È una minaccia per le nostre vite oppure un’opportunità di progresso per l’umanità? L’intelligenza artificiale ci piomba in casa e, come fosse un’ospite inattesa, non sappiamo come prenderla: un pericolo per la democrazia, come ha scritto il New York Times in un editoriale, o la strada verso la felicità? L’economista francese Thomas Piketty, studioso delle diseguaglianze e del capitalismo, ha ricordato che l’intelligenza artificiale applicata da McDonald’s cuoce gli hamburger e frigge le patatine. Un esempio banale per dimostrare come l’innovazione sia già entrata nella vita quotidiana, nelle imprese, nella produzione, nello studio. Sostituisce le persone al lavoro. I giornali, le università, le banche d’investimento si dedicano curiosi a provare il nuovo strumento, a sperimentare l’IA, acronimo che diventa familiare, per vedere l’effetto che fa, per muoversi verso la nuova frontiera degli algoritmi. Per molti sembra più una curiosità da soddisfare, ma le novità sono di tale portata che diventa urgente dotarsi di tutti gli strumenti per gestire e governare un’altra metamorfosi tecnologica che sollecita una certa inquietudine.

È solo l’inizio
L’esplosione e la diffusione di massa del fenomeno sono recenti, anche se di intelligenza artificiale si parla da decenni. Ci sono studi che risalgono a oltre mezzo secolo fa e cinema e letteratura di fantascienza hanno anticipato nella finzione più o meno la realtà che stiamo vivendo. Il progetto è diventato estremamente serio quando Microsoft, nome prestigioso della New Economy e dell’innovazione tecnologica creata da Paul Allen e Bill Gates, ha deciso di puntare decisamente sull’intelligenza artificiale nella convinzione che tutte le critiche e le battaglie contro le nuove tecnologie siano destinate a fallire. Microsoft vuole estendere il suo interesse e la sua presenza in questo campo con un investimento enorme di 10 miliardi di dollari che andrà a sviluppare OpenAI, il progetto diventato famoso per aver generato ChatGPT, il chatbot capace di scrivere, rispondere, organizzare e di svolgere altre funzioni come un essere umano. ChatGPT ha debuttato lo scorso novembre, è un generatore ed elaboratore del linguaggio naturale mediante un raffinato modello statistico. Il numero degli utenti sale ogni giorno, assumendo le dimensioni di un fenomeno planetario.

Le ultime valutazioni indicano 100milioni di utenti nel mondo. Cosa fa questa diavoleria? In sostanza ChatGPT, quando sollecitato, crea e fornisce risposte simili a quelle umane. Seleziona i contenuti statisticamente più “verosimili”, quindi non è detto che siano “veri” alla prova dei fatti, grazie ad algoritmi che determinano la probabilità che una sequenza di parole si verifichi in una frase. Non lavora a caso, ma non è consapevole, l’utente umano che dà le indicazioni dovrebbe esserlo e resta l’intelligente vecchio stile nella parte del regista. Questo strumento si appoggia a database densi d’informazioni come Wikipedia e a tanti altri dati accessibili dalla rete. Ricorda, in parte, il lancio di Google a cavallo del nuovo secolo quando il più potente motore di ricerca veniva anche definito “il bibliotecario pazzo”, perché la ricerca spesso non portava ai risultati desiderati in quanto la “testa” ancora non riusciva a selezionare, scegliere, proporre le risposte giuste alle richieste.

Scorciatoie digitali
Il progetto di intelligenza artificiale suscita entusiasmo nei tifosi dell’innovazione, ma anche severe critiche e interventi politico-amministrativi per frenare quella che viene considerata una potenziale minaccia alle istituzioni, alla convivenza civile, alla formazione dei giovani. Ci sarà pur qualche ragione seria se il Dipartimento all’Istruzione di New York ha deciso di mettere al bando ChatGPT. Il sistema scolastico e universitario americano sta reagendo, con i primi provvedimenti di limitazione perché, sostengono gli oppositori più severi, bisogna «assolutamente impedire agli studenti di trasformare lo studio e l’apprendimento in una scorciatoia digitale». Non si può, dunque, usare ChatGPT come una normale App e poi scrivere, farsi scrivere, un tema sul poeta Walt Whitman, risolvere un’equazione, o preparare la tesi di laurea di storia della Seconda Guerra Mondiale. Il rischio è di penalizzare la creatività umana e lo spirito critico degli studenti e dei loro insegnanti. Ma c’è anche chi sostiene che l’applicazione dell’intelligenza artificiale può inaugurare una nuova stagione nei costumi, nei consumi, nella cultura, nei processi di produzione e che le persone, soprattutto i giovani alfabetizzati con Google e Wikipedia, esperti digitali fin dalla nascita, adesso affronteranno, esploreranno, studieranno come impiegare l’IA nelle loro vite, nella loro formazione, nelle loro carriere. Insomma, il destino pare segnato.

Nel sistema finanziario ci sono già interessi chiarissimi e dichiarazioni d’amore per l’uso dell’Intelligenza Artificiale con l’obiettivo non di salvare l’umanità ma per fare profitti, sempre più grandi. A Wall Street, tra le grandi banche d’affari e i fondi di private equity operano già programmi ispirati dall’intelligenza artificiale impiegata per semplificare le procedure e i rapporti con i clienti, velocizzare gli investimenti, ridurre i costi operativi, ma soprattutto per prevedere le tendenze delle borse, gli orientamenti dei risparmiatori, le debolezze di una società e le qualità di un’altra. Assieme ai vantaggi potenziali, bisogna sottolineare i pericoli congeniti nell’uso dell’IA nel settore finanziario: se non viene impiegata correttamente, si potrebbe dire nel rispetto di un’etica capitalista (ma dov’è?), può aumentare la volatilità dei mercati, favorire i movimenti speculativi, indurre pratiche illegali e ostacolare i controlli delle Autorità di vigilanza. È solo questione di tempo, se non intervengono nuove regolazioni e controlli preventivi prima o poi sentiremo parlare di qualche crack o bolla speculativa create dall’ultima invenzione.

Fermare il futuro?
Ma si può fermare il futuro, si può ostacolare l’innovazione? Se l’Intelligenza Artificiale ci aiuterà nello studio, nella formazione, alla fine potrà svolgere anche il nostro lavoro. Potrà curarci se siamo malati, oppure scrivere testi e comporre musica per noi con una semplice indicazione.

È possibile perché così com’è avvenuto con l’informatica o l’innovazione digitale, ogni trasformazione tecnologica determina la scomparsa di alcune funzioni e la nascita di altre. Però la dimensione dell’IA propone una sfida sconosciuta, certo affascinante ma anche minacciosa. In futuro, forse, saremo pagati per restarcene a casa o sempre in vacanza e le polemiche sul reddito di cittadinanza o sulla settimana lavorativa di quattro giorni ci faranno sorridere. Saremo finalmente liberi dal lavoro e dalla sua alienazione come auspicava un famoso filosofo tedesco e, contestualmente, diventeremo ostaggi dell’ultima App, artificialmente intelligente.

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