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Tutti a spiegarci che il fascismo è morto, ma i nostalgici del Ventennio sono vivi più che mai

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Vorrei averli qui, accanto a me, in circolo come i bravi scolari di un tempo andato. Vorrei ascoltarli, anzi prima di tutto interrogarli, i sacerdoti del minimalismo, gli aedi del politically correct: commentatori, politici, politicanti, politologi, giornalisti, opinionisti, intellettuali in spe e di complemento.

Tutti uniti ad alzare il ditino e a spiegarci che il fascismo è morto con Mussolini; che sono puro folklore i nostalgici del Ventennio che commemorano a braccio teso i caduti della Repubblica di Salò, le camicie nere che si radunano alla tomba del duce, i manipoli di camerati che gridano il nome dei loro caduti e rispondono: “Presente!”, non nel buio delle loro tane ma in piazza, con sprezzante orgoglio.

Eppure fra loro spuntano anche uomini delle istituzioni: consiglieri comunali e regionali e persino un viceministro della Lega, tale Durigon, che aveva proposto, presente Salvini, di cancellare l’intitolazione di un parco pubblico a Falcone e Borsellino per rinominarlo Arnaldo Mussolini, il fratello di Benito. Ragazzate, vero? E invece è gente che non teme di definirsi apertamente fascista e si autodenuncia come tale con post minacciosi e oltraggiosi sulle loro pagine Fb o su Instagram. E l’intelligenza democratica? Spallucce e risolini. Fino ad ora. L’assalto alla sede della Cgil segna una svolta. Si torna a parlare sul serio di fascismo e di antifascismo e lo scioglimento di Forza Nuova non è solo un artificio retorico ma una iniziativa politica. Forse… 

E i cattivi maestri di cui sopra non si vergognano della propria dabbenaggine? Il fascismo è morto? Anche ammesso che lo sia, i fascisti sono vivissimi e stanno attaccando frontalmente lo Stato democratico. L’infame aggressione romana alla Cgil non è una ribellione estemporanea, uno scoppio d’ira mal calibrato. È l’espressione di un piano più vasto e più profondo che mira ad attaccare le istituzioni, a far vacillare la nostra democrazia e a riportare al potere i nostalgici del duce, del nazismo, delle leggi razziali, delle discriminazioni a tutti i livelli.

Lo ha svelato l’eccellente servizio di Fanpage che ha smascherato il sottobosco fascista che si muove all’ombra dei partiti sovranisti. Lo ha spiegato bene Mario Calabresi a Piazza Pulita di Corrado Formigli. Sull’esempio dei movimenti razzisti e suprematisti americani, i camerati domestici hanno messo a punto una strategia subdola e tentacolare. Si infiltrano nelle istituzioni dal basso, agganciano esponenti dei partiti a loro vicini e li convincono, foraggiando in nero le loro campagne elettorali, a ritagliare spazi ai camerati che vogliono fare la rivoluzione. Portaborse, addetti stampa, segretari di politici eletti si muovono nell’ombra e penetrano nei gangli della pubblica amministrazione, degli enti locali, dello Stato. Tengono in pugno i loro referenti politici, ai quali hanno finanziato la carriera e li ricattano, costringendoli a fare le scelte che sono funzionali al loro progetto “politico”. Ad alzare la tensione provvedono i raid di piazza, favoriti dal malcontento diffuso provocato dai cascami della pandemia.

Questi segnali non sono di oggi, risalgono agli anni in cui Lega e FdI hanno riguadagnato peso e influenza nella cosa pubblica. Sono il frutto marcio dell’errore di calcolo della politica italiana, da Berlusconi al Pd, un tempo li si sarebbe definiti i partiti dell’arco costituzionale. Dopo la vittoria elettorale del 2018 il nemico comune era diventato il M5S. Tutti coalizzati contro Conte e i grillini che avevano osato sfidare il sistema guadagnando il 33%. Non poteva essere. Distratti dalla battaglia campale, sostenuta dall’informazione scritta e televisiva al completo, i buoni seguaci della democrazia non si sono accorti che la Lega, dal 17% delle urne in un anno era decollata nei sondaggi al 37%.

Il suicidio politico di Salvini al Papeete aveva segnato una breve battuta d’arresto della destra. Il Capitano era convinto che Mattarella avrebbe rinviato gli italiani alla urne, invece si è ritrovato col governo Conte 2, unico possibile, visto che il Pd era uscito secondo dalle elezioni. Quell’esecutivo non ha avuto miglior sorte del Conte1 (M5S + Lega), soluzione obbligata per il no di Renzi all’alleanza di governo proposta da Di Maio. Di nuovo tiro ad alzo zero contro Conte e Zingaretti fino al golpe bianco di Renzi, l’amico di Bin Salman (ora ci fa affari insieme). Giù il professore, addio di Zingaretti alla segreteria del Pd e tutti contenti che bontà: il pericolo grillino era scongiurato.

Nel frattempo Meloni e i suoi camerati in doppiopetto avevano scalato la vetta dei sondaggi e sono tuttora il primo partito. Salvini, dato per morto, era stato resuscitato e risucchiato al governo assieme al padre della patria, Berlusconi, che tutti davano per spacciato invece Mattarella e Draghi lo hanno rimesso al centro dell’arena.

Sapete cosa accadrà adesso? Ecco il mio scenario. Il segretario dem, Letta, inebriato dalla vittoria a Siena (aveva votato il 30% ma fa niente) ha subito proposto di aprire un confronto a Calenda, Renzi e… Conte. Come pensi di mettere insieme i diavoli e l’acqua santa lo sa soltanto lui. Berlusconi ha preso la palla al balzo per smarcarsi dal duo Salvini-Meloni. “Mai al governo con i sovranisti”. il Pd ha dato segni di vita vincendo al primo turno a Bologna e a Napoli, in entrambe le città grazie all’alleanza con M5S, Leu e sinistra. Ma quello non conta. L’ex dc Letta traguarda al centro, fa il cicisbeo con Calenda (un perdente di grande successo a leggere quel che dichiara e come lo incensano i giornali) e pure con Renzi che certamente lo avrà rassicurato: “Enrico, stai sereno”. Conte e i 5 Stelle sono all’angolo. Berlusconi torna al centro del ring, e già si parla del governo prossimo venturo.

Un gran peccato che al progetto si frapponga quella noiosa pratica delle elezioni e che il popolo sovrano possa dire la sua. Ma vedrete che grazie al Rosatellum (e chi lo tocca?) le carte le daranno dopo, non prima del voto. Le regole del gioco sono già fissate. Berlusconi, Calenda, Renzi, Dallavedova, cascami ex dc e magari il totiano Cambiamo! tutti uniti in una bella macedonia centrista.

Il Pd lettiano costretto ad allearsi con il centro, la Lega indotta a liberarsi di Salvini e a istituzionalizzarsi attorno a Giorgetti, grande amico di Draghi. Naturalmente il migliorissimo ancora a Palazzo Chigi fino al 2026, quando sarà stata chiusa la pratica del PNRR, cioè sarà stata spesa la montagna di quattrini che ci pioveranno addosso dall’Europa. M5S (o quel che ne resterà) e FdI di Meloni all’opposizione permanente e ininfluente. Quello sì sarà il governo di (quasi) tutti senza la seccatura del vietcong Salvini che sta con un piede dentro e uno fuori e predica la Lega di lotta e di governo.

E al Quirinale? Salirà un amico della allegra brigata. Il meno impresentabile. Io punto su Casini, profilo inappuntabile. Ha fatto il giro delle sette chiese, è stato democristiano e braccio destro di Forlani, ha cantato e inneggiato al governo “liberale” e antieuropeo del Cavaliere, si è sudato la riconferma in Parlamento imbrancandosi col Pd nella sua Bologna. È l’epitome perfetta del trasformismo italiano e dunque si porta su tutto. E non passa mai di moda. Oremus.

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