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    Camici e scudo fiscale: Fontana dica la verità, una volta per tutte. O rischia di inguaiarsi ancora di più

    Illustrazione di Emanuele Fucecchi
    Di Luca Telese
    Pubblicato il 29 Lug. 2020 alle 19:26

    È un harakiri istituzionale leghista, in presa diretta, che merita di essere studiato, quello a cui stiamo assistendo. Se c’è un aspetto davvero singolare nella vicenda dei camici della Regione Lombardia, e nella strategia comunicativa del presidente Attilio Fontana, infatti, è questo: più il presidente parla, e più si mette nei guai. Se avesse ammesso, come appare in maniera sempre più evidente, che quella della società di suo cognato era una fornitura, che avveniva in deroga a ogni disposizione deontologica sul conflitto di interessi, se avesse spiegato che questa deroga avveniva per via dell’emergenza che colpiva le aziende sanitarie lombarde (e se avesse dimostrato che veniva rispettata la quotazione di mercato), probabilmente Fontana avrebbe avuto molti meno guai rispetto ad oggi, per via di tutte le contraddizioni in cui è caduto – senza volerlo – per negare che quella fattura fosse stata effettivamente emessa.

    Non solo: dopo che tutta la sua strategia difensiva era stata fondata sulla negazione della fornitura, e a sostegno della teoria secondo cui i camici erano “una donazione benefica”, dopo aver negato di essere a conoscenza della transazione (invece è provato che fosse informato), i fatti emersi nelle ultime ore mandano completamente in tilt la linea del governatore della Lombardia.

    1) Dal punto di vista burocratico, infatti, abbiamo appreso che, contrariamente a quello che pensava e diceva a Fontana, la fattura non è mai stata (dal punto di vista formale) convertita in donazione dagli uffici amministrativi del Pierellone. Questo significa che se l’indagine in corso accertasse le sue responsabilità su questo argomento la condanna e le dimissioni di Fontana sarebbero inevitabili.

    2) il suo bonifico maldestro, bloccato dall’antiricilaggio, prova indirettamente che l’intenzione della donazione non c’era.
    3) il bonifico ha rivelato l’esistenza del conto è degli ingenti capitali scudati.
    4) le dichiarazioni di Fontana secondo cui il conto era dormiente sono smentite da quello che dice – come ha spiegato bene il direttore del Domani Stefano Feltri – la relazione della Banca d’Italia. Il conto non era dormiente, ma attivo, e l’intervista con cui Fontana difende retroattivamente i suoi genitori “Pagavano tutte le tasse”, accentua tutti gli interrogativi sul gestore di quel conto, cioè lui stesso.

    Ed ecco il meccanismo drammatico che si è creato intorno alla figura all’operato del governatore: più Fontana prova ad allontanare l’attenzione dalla vicenda di camici, più si accende la luce sulle movimentazioni e sulla natura del conto alle Bahamas. Ma più si accende l’attenzione sul conto alle Bahamas, poi transitato in Svizzera, e più diventa necessario per Fontana fornire spiegazioni.

    Il presidente della Lombardia – a prescindere dalla vicenda giudiziaria – non è un normale cittadino, È un esattore di imposta, per conto dello Stato e della sua Regione, che non può raccontare spensieratamente di maneggiare capitali che provengono dall’evasione. Ma se poi Fontana addirittura si impegna nella difesa retroattiva dei suoi genitori, dicendo che non hanno evaso, e che il conto è dormiente, diventa ovvio che ogni notizia sulle movimentazioni, o sui capitali di quel conto, diventa per lui una nuova croce.

    E mentre questo secondo filone assume vita propria, il tronco originario dell’inchiesta, quella sui camici, continua a rivelare colpi di scena: quello di stamattina ci rivela che nell’azienda del cognato del governatore – la Dama spa – sono stati trovati i 25mila camici che la stessa azienda aveva tentato di vendere ad una azienda sanitaria lombarda (stornandole dalla fornitura che doveva onorare). Questo ritrovamento della Guardia di Finanza è diventato la pietra tombale sulla versione originaria difensiva del governatore.

    A questo punto Fontana deve parlare, e raccontare molto di più di quello che ha provato a dire (e non dire) nella sua arringa autodifensiva in Consiglio regionale. Fontana deve ammettere, cioè, quello che non è più negabile. Oppure continuare a negare tutto e rischiare di essere travolto, perché la su linea difensiva è ormai saltata e la tenaglia delle verità che non tornano lo stringe da due lati.

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