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Ambiente, lavoro e giovani: Pd e 5 Stelle imparino dal laboratorio politico di Bologna

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Di questi tempi avere un progetto politico non è cosa scontata. Non lo è perché spesso manca la cultura politica stessa e perché è molta la confusione sotto il cielo dei partiti. Sono tempi in cui le ideologie sono venute meno e l’avanzare dei populismi e della politica degli haters non di rado hanno dettato l’agenda alla politica italiana. Così leggiamo con sincero interesse quello che accade negli ultimi mesi nella città di Bologna, crocevia di studenti, turisti e professionisti, di emiliani, pugliesi, calabresi, romagnoli, cinesi, magrebini, americani, giapponesi, russi. Gente che ogni giorno vive o attraversa la città e la rende vibrante e sempre attenta alle nuove tendenze politico-sociali.

Qui il buon governo, le politiche virtuose e i bilanci in attivo sono precondizioni, spesso non sono neanche materia di discussione tale è l’abitudine all’amministrazione cittadina.

È qui che il progetto del candidato sindaco Matteo Lepore diventa “politico”, trova cioè lo spazio per andare oltre la normale buona amministrazione per cercare un senso sociale e culturale, uno spirito di comunità e unione, tale da rendere convincente la proposta, creare consenso e sviluppare aggregazione.

Questo perché per la prima volta registriamo un’unità di intenti, cresciuta sul territorio e non imposta dall’alto, di tutti gli attori che per semplicità definiremo del governo giallo-rosso e che hanno una matrice comune, una sensibilità condivisa e convinta nel rispetto della parola ‘sinistra’. Non è stato sempre così: il renzismo ha attecchito abbondantemente anche a Bologna negli anni passati, e diversi possono essere i malintesi e le ambiguità pseudo-trasformiste alle quali la classe politica italiana ci ha abituato negli ultimi anni. Detto ciò, oggi si concretizza un progetto che è anni luce distante da quello che Renzi ha messo in atto nel 2013.

Peccato che se ne parli poco, perché le altre città non sono certo messe in questa condizione: la Caporetto di Torino e il pantano di Roma, per esempio, spesso hanno la meglio sulle cronache politiche e la stampa normalmente dà risalto ai problemi più che alle soluzioni. È importante notare però come a volte alcuni processi nati sui territori offrano delle prospettive che la politica nazionale stessa fatica a intraprendere. Pensiamo alle contrapposizioni tra Raggi, il Pd e Calenda, per esempio, e a come si sgretoli in certe occasioni l’unico fronte in grado di contrastare il sovranismo, populista e no-vax degli ultimi mesi.

Senza squilli di tromba, invece, a Bologna è successo che per la prima volta la Coalizione Civica e Coraggiosa – progetti civici di sinistra nati dalle ceneri di Sel, Possibile e della sinistra in generale – nonostante provengano da cinque anni di opposizione al sindaco uscente Virginio Merola, per la prima volta decidono di allearsi con il Partito democratico per un progetto comune.

Altrettanto fa il Movimento 5 Stelle. Passaggio non indifferente, tanto più che è riuscito a mettere a disposizione del
progetto lo spessore di Giuseppe Conte che il 2 Agosto è venuto tra i bolognesi per la commemorazione della strage del 1980. C’è inoltre Articolo 1 che a Bologna rappresenta una cultura politica ben radicata, e che ha in Vasco Errani e Pierluigi Bersani i suoi esponenti più conosciuti e seguiti; ci sono i Verdi e molte candidature che si affacciano alla politica per la prima volta.

Un progetto a tutto tondo che ha una chiara impronta progressista, e che si potrebbe definire unico nel suo genere. Il motto è stato “facciamo di Bologna la città più progressista d’Italia“, cosa che probabilmente già è, fatta eccezione per la Milano di Giuliano Pisapia e Giuseppe Sala che negli ultimi 10 anni ha cambiato completamente faccia.

La parte più interessante di tutto ciò è il fatto che questa operazione non nasca nei tavoli romani ma sia soprattutto il frutto della collaborazione di alcuni esponenti locali, Lepore in primis, ma anche politici di nuova generazione come Emily Clancy, Elly Schlein e abili mediani della politica come Massimo Bugani, Antonio Mumolo, Igor Taruffi, Sergio Lo Giudice, la sinistra del Partito democratico e soprattutto Luigi Tosiani segretario del Pd bolognese.

Un anno fa infatti lo scetticismo in città era tanto e soprattutto nel Partito questa soluzione sembrava improbabile, visto che la quasi totalità dei dirigenti si dimostravano molto freddi se non contrari a tale ipotesi. Non da ultimo la candidatura di Lepore è maturata attraverso primarie vere, molto accese e a tratti agguerrite, con Isabella Conti, candidata anch’ella molto innovatrice che, seppur sulla carta risultasse essere un profilo di area riformista e moderata, nei fatti ha condotto una campagna per molti tratti di sinistra e progressista, a partire dall’aspetto ecologista e dall’idea di una città accogliente e multiculturale.

Tolti alcuni punti divisivi, come la sicurezza, la sfida per molti tratti si è concentrata su chi tra i due candidati fosse più ecologista più aperto ai diritti civili e attento alle fragilità sociali. Questo è stato un bene nel momento in cui in Italia si stenta a parlare di ambiente, di accoglienza e futuro per le prossime generazioni.

La vittoria di Lepore gli ha dato una legittimità e una forza che solo una competizione dura come le primarie fatte bene possono offrire. Ora le sfide sono tante, a partire da quella del 3 ottobre per affermare il nuovo sindaco, proseguendo poi per realizzare nei fatti gli auspici che sono stati messi in fila con il progetto di una città volta al futuro, nel rispetto di alcune precondizioni fondamentali, come l’ambiente, il lavoro, le nuove generazioni e in particolare le politiche per gli adolescenti.

La Bologna culturale e viva che tutti abbiamo imparato a conoscere, e che ha sempre qualcosa da insegnarci. E chissà se per una volta non riesca a insegnare qualcosa anche ai palazzi romani.

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