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Home » Esteri

Le bambine ragazzo di Kabul

Immagine di copertina

In una società fortemente maschilista, le donne afghane obbligano le figlie a vestirsi da maschi. Per essere considerate alla pari

Niima ha dieci anni ma ha già una doppia vita. La mattina indossa un vestito, si copre con l’hijab e va a scuola in uno dei quartieri più poveri di Kabul.

Il pomeriggio scopre il capo e indossa i pantaloni. Nel farlo, ogni volta deve cambiare anche nome e personalità. Sotto il nome di Abdul Mateen, si reca in un negozietto di verdure del suo quartiere e lavora svelta e silenziosa tra gli scaffali.

Per paura che gli altri si accorgano della sua femminilità, cerca di non incrociare mai lo sguardo dei clienti e di non parlare. La sua voce delicata potrebbe tradirla.

Lavora tutto il pomeriggio, portando a casa poco più di un dollaro al giorno. Non è molto, ma è indispensabile per aiutare le otto sorelle e sua madre.

Le bambine come Niima sono chiamate bacha posh. Il termine significa “vestita come un ragazzo” nel dialetto persiano Dari. La pratica è diffusa in alcuni parti dell’Afghanistan e del Pakistan, e ha origini antiche che risalgono all’epoca pre-islamica.

“Le bacha posh sono le ragazze segrete di una società profondamente conservatrice, dove gli uomini hanno in mano quasi tutti i privilegi e dove la madre di una bambina viene guardata con disapprovazione per non aver messo al mondo un figlio maschio”, spiega la scrittrice Jenny Nordberg.

Nel suo libro The Underground Girls of Kabul, pubblicato questo mese, Nordberg presenta i risultati e le testimonianze di cinque anni di ricerca in Afghanistan.

“Secondo gli insegnanti, le ostetriche e i dottori afghani, non è inusuale trovare una bacha posh in ogni scuola o in ogni famiglia allargata,” scrive Nordberg. “Le bacha posh si trovano in famiglie ricche o povere, istruite o analfabete, appartenenti a qualsiasi gruppo etnico dell’Afghanistan.”

L’unico elemento in comune è la necessità delle famiglie di avere un figlio maschio. La maggior parte delle donne afghane – nonostante i progressi raggiunti dopo la caduta dei talebani nel 2001– resta in una condizione di inferiorità rispetto agli uomini. Nascondere la propria identità diventa così una scelta forzata, per poter conformarsi a una società che garantisce diritti, privilegi e libertà soltanto agli uomini.

Ci sono bacha posh divenute tali per poter recarsi a scuola senza essere minacciate dai talebani o per poter accompagnare le sorelle, nelle aree in cui le donne non possono camminare in pubblico senza una presenza maschile al loro fianco.

In altri casi, le famiglie senza figli maschi devono far diventare bacha posh una delle bambine per poter presentarsi di fronte alla comunità come una “famiglia completa”. Questo è particolarmente importante per le madri sole, la cui vita quotidiana senza una presenza maschile può essere pericolosa.

La povertà è un’altra delle motivazioni principali: “La famiglia può aver bisogno di un figlio maschio che si possa muovere liberamente per poter lavorare e sbrigare commissioni”, sostiene la Nordberg. Mentre per le bambine sarebbe immorale lavorare fuori casa per vendere nelle bancarelle, la pratica è accettata per i bambini maschi.

Una tale fluidità nei ruoli di genere potrebbe sembrare paradossale in una società tradizionale come quella afghana. L’anomalia, in realtà, è solo apparente. Soltanto le bambine piccole sono autorizzate a vivere come bacha posh. Appena raggiungono l’età della pubertà, devono tornare a comportarsi da donne.

Nel giro di una notte, le ragazze devono rinunciare alle libertà di cui godevano e piegare il capo di fronte alle violenze – visibili e invisibili – a cui son condannate le donne afghane. In molte famiglie, questo significa essere sottomesse, sposarsi da giovanissime, obbedire ai mariti e dedicarsi soltanto alla cura dei bambini e della casa. Non possono guardare in faccia altri uomini e devono parlare con tono sommesso.

La transizione non è semplice e può lasciare profonde ferite psicologiche. “Avere conosciuto la libertà e averla persa non è una pillola facile da ingioiare,” sostiene Nushin Arbabzadah sul Guardian. “Ma questa è la natura inflessibile della società afghana. Non c’è spazio per la sofferenza individuale, perché quello che conta è quello che la gente pensa di una famiglia. E se una bacha posh può aiutare a guadagnare onore e rispetto, allora è giusto che sia così”.

Quello delle bacha posh è un fenomeno culturale sotterraneo, di cui poche donne hanno voluto parlare pubblicamente. Ci sono però stati alcuni casi celebri, tra cui quello di Bibi Hakmeena, figura politica attiva durante l’era dei mujaheddin. Ha vissuto tutta la sua vita come un uomo e non esce mai di casa senza il suo kalashnikov. In un documentario della Bbc Persian, Hakmeena ha spiegato che in Afghanistan “essere uomo o donna è come provenire da due pianeti diversi”, e che per questo preferiva vivere come un maschio.

Era stata una bacha posh anche Azita Rafhat, una delle prime parlamentari donna in Afghanistan. Al contrario di Hakmeena, lei ha scelto di ritornare al suo genere originale ed è diventata madre di quattro bambine. Proprio per il fatto di non avere figli maschi, si è però ritrovata al centro di pettegolezzi e ricoperta da insulti. Per questo ha deciso di imporre un nome da maschio e capelli corti a una delle sue figlie, tramandando la tradizione delle bacha posh a un’altra generazione.

Recentemente, alcune associazioni per i diritti delle donne in Afghanistan hanno iniziato a denunciare il fenomeno, definendola una pratica misogina che viola il diritto delle bambine ad avere una propria identità.

“Non si può far diventare una bambina un bambino per un breve periodo di tempo. È contro l’umanità”, ha detto Qazi Sayed Mohammad Sami, capo della Commissione dei Diritti Umani della provincia afgana di Balkh.

Secondo alcuni, però, la pratica non ha soltanto aspetti negativi: le bacha posh hanno il privilegio di vivere – anche se per poco – libertà che altrimenti non avrebbero mai avuto.

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