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Ecco come negare la marijuana per scopi medici costringe le persone a dolori strazianti e senza fine

Immagine di copertina
Credit: Rick Proctor, "How I Get High"

Carly è una giovane ragazza a cui è stata diagnosticata la Sindrome del Dolore Regionale Complesso, e l'unica cosa che la fa stare meglio è l'utilizzo della marijuana medica

How I Get High è una serie fotografica ideata da Rick Proctor, un artista statunitense, con la volontà di raccogliere le immagini dei consumatori di cannabis a scopo medico e della loro lotta contro i pregiudizi.

S&D

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Una delle storie raccontate all’interno del progetto è quella di Carly, una giovane ragazza della California del sud, appassionata di snowboard e abituata agli itinerari più ardui, che nel marzo 2008 aveva deciso di uscire con la sua tavola per l’ultima volta nella stagione.

“Quando finivo il mio turno notturno alle 8 del mattino, andavo a fare snowboard per ore da sola, scendendo a valle con chi mi capitava di incontrare in montagna”, ha raccontato Carly a Konbini.

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La ragazza sapeva che quel giorno la neve non era compatta come nei periodi più freddi dell’inverno, ma i suoi anni di esperienza non le avevano fatto dubitare della riuscita della sua discesa.

Non avrebbe mai immaginato di finire in una zona irregolare, e di cadere in una posizione tanto scorretta da causarle tre legamenti stirati, due ossa contuse e il tallone fratturato.

Dopo mesi dall’incidente la strana condizione di Carly non migliorava, e dopo essere andata a farsi visitare da uno specialista, le venne prescritta la Sindrome da Dolore Regionale Complesso (CRPS): una condizione di dolore cronico causata dal danneggiamento del sistema nervoso centrale e periferico.

Il dolore e la sofferenza di Carly sarebbero anche stati sopportabili, prima che la sorte non si accanisse nuovamente su di lei.

Nel 2013, a causa di un incidente automobilistico, la Sindrome si diffuse su entrambe le gambe e sulla schiena.

“Il dolore e la sensibilità alla pressione erano peggiorati così tanto nei mesi dopo l’incidente, che avevo cominciato a usare un girello e una sedia a rotelle”, ricorda Carly.

La sua vita era cambiata completamente e drasticamente, e non solo non poteva più fare nulla di ciò che era abituata a fare prima degli incidenti, ma anche le poche attività che ora poteva svolgere erano condizionate dal dolore cronico.

Quando i medici si accorsero che la Sindrome peggiorava, misero la ragazza a regime, prescrivendole una serie di antidolorifici.

E nonostante Carly assumesse ogni giorno un mix di oppioidi, ibuprofene e rilassanti muscolari, e i suoi dottori le avessero prescritto anche della morfina liquida per tenere sotto controllo il dolore, si sentiva comunque debilitata nelle più piccole attività quotidiane.

Le vennero addirittura prescritti alcuni psicofarmaci, che però Carly si rifiutò di prendere a causa degli effetti collaterali troppo pesanti sulla sua personalità.

“Erano forti psicofarmaci che potevano cambiare totalmente la personalità di qualcuno”, racconta la ragazza.

Dopo qualche tempo, Carly decise di iniziare una nuova cura, caratterizzata dalla combinazione di marijuana legale e infusioni di chetamina, che risultava essere più efficace di tutti i farmaci che avesse mai preso.

“Mi aiuta a usare meno farmaci e rende tutti i farmaci che prendo più efficaci. Se avessi bisogno di 3 pillole, potrei prendere una pillola con la marijuana medica e avere lo stesso effetto”.

“Uso il CBD per migliorare le infiammazioni, gli spasmi muscolari, l’ansia e la nausea. Il THC mi aiuta con il mio dolore e il mio appetito. Il CBN è ottimo per il mio sonno”, spiega.

Ma nonostante l’utilizzo di queste sostanze abbia nettamente migliorato la situazione, e si sia rivelato decisamente più efficace di ogni altro tipo di cura, Carly deve affrontare tutti i giorni il giudizio della gente.

La sua assicurazione sanitaria non supporta l’uso di marijuana medica, e questo le costa più di mille dollari al mese.

“Ho un amico che gestisce un servizio di consegna e che mi dà tutto a debito. Se non fosse per persone come lui, non potrei mai permettermi la medicina di cui ho bisogno”, racconta la ragazza.

Carly è aperta e onesta con i suoi medici; tuttavia, durante uno dei controlli ospedalieri un’infermiera era arrivata al punto di chiamare un centro di disintossicazione per parlarle.

In seguito è stata sottoposta ai test antidroga da cui sono risultate le sue infusioni di chetamina.

Il test delle urine era invece risultato positivo alla marijuana, e per questo il suo medico curante le aveva consigliato di smettere la sua terapia.

Ma i problemi non si fermano alle obiezioni dei medici: “Il mio fidanzato è del Kentucky, quindi se vogliamo andare a visitare la sua famiglia sono costretta ad andare senza la mia marijuana medica, visto che lì non è legale”, continua Carly.

Ma grazie al supporto della sua famiglia e delle persone che non l’hanno mai giudicata, Carly ha ottenuto una laurea in psicologia alla California State University at Northridge e un master alla Chicago Professional School of Psychology.

La sua battaglia, dunque, continua. Così come continua la sua vita, seppur diversamente.

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