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Home » Esteri

Turchia: ora il terremoto fa tremare anche il presidente Erdogan

Immagine di copertina
Credit: AP Photo/Francisco Seco

Il partito Akp è al governo da oltre 20 anni. Ma non ha mai affrontato l’abusivismo edilizio e le frodi immobiliari. Puntando invece sui condoni e dando troppi poteri ai comuni in partnership con i privati

In ogni vita ci sono delle date indelebili: la morte di un genitore, la nascita di un figlio, una tragedia nazionale. Per Hande Akgun, il 6 febbraio 2023 è una di queste.

Sono le 04:17 del mattino locali quando la terra nella regione dell’Anatolia sud-orientale – al confine tra Turchia e Siria – incomincia a tremare, poi la catastrofe.

Hande ha 30 anni, sta conseguendo un dottorato di filosofia all’Università di Istanbul e vuole fare la giornalista. «Non so se definirmi un’attivista, mi piace parlare di verità e di giustizia. Provo a raccontare che cosa succede in Turchia, ma è veramente difficile perché l’informazione libera è costantemente ostacolata dal governo di Recep Tayyip Erdogan e dall’Akp, il partito che lui stesso ha fondato nel 2001. Se ti opponi al potere non ci sarà spazio per te, non guadagnerai e faranno di tutto per silenziarti».

Hande ci racconta della distruzione che ha colpito Antakya, l’antica Antiochia sull’Oronte, situata nella provincia turca sud-occidentale dell’Hatay e poi Gaziantep, a meno di 200 chilometri, una tra le città più colpite dal terremoto. «Sono arrabbiata, siamo tutti arrabbiati», esordisce a un certo punto. «Non è soltanto sfortuna, non è il destino, sapevamo di vivere in una zona sismica. Ci sono molti geologi qualificati in questo Paese che stanno cercando di portare a galla la verità».

Promesse mancate
Il bilancio delle vittime in Turchia e Siria ha ormai superato i 46mila morti e continua ad aumentare ogni giorno. Decine di migliaia di persone sono ancora disperse e i social media mostrano complessi residenziali, costruiti di recente, che crollano come castelli di sabbia. Molti di questi palazzi sono stati venduti come abitazioni di lusso «conformi ai più recenti standard di sicurezza antisismica», così recitava un cartello posto sul complesso Guclu Bahce di Antakya – realizzato nel 2019 dalla Ser-Al Construction – e adesso completamente distrutto.

Alcuni degli appaltatori responsabili hanno cercato di scappare dalla Turchia. Sono stati emessi mandati di cattura nei confronti di 130 persone per presunte violazioni dei codici di sicurezza e sono stati arrestati diversi proprietari di imprese edili. Il ministro della Giustizia turco Bekir Bozdağ ha promesso che «tutti i colpevoli saranno chiamati a rispondere». Eppure, questi edifici non sarebbero stati costruiti senza i permessi rilasciati dallo Stato. «È molto difficile che le aziende private facciano quello che vogliono senza il consenso del governo in questo Paese. Nel 2018 i membri dell’Akp dicevano che avrebbero speso le tasse dei cittadini per tutelare la sicurezza delle persone costruendo edifici resistenti alle calamità naturali. Ma la verità è che le scene apocalittiche che stiamo vedendo oggi sono il risultato di politiche scellerate, come quelle sui condoni che hanno permesso a certe aziende di costruire interi palazzi senza l’approvazione scritta di ispettori indipendenti e senza i necessari controlli di qualità dei materiali».

Legami di potere
L’Akp è al potere da oltre 20 anni. Aveva il tempo e i mezzi per affrontare un settore edilizio notoriamente fraudolento, per porre un freno agli appaltatori irresponsabili e per fornire alloggi sicuri a tutti i cittadini in un Paese a rischio sismico. Ha scelto di non farlo. Al contrario, ha reso i grandi progetti urbanistici il motore principale della crescita economica turca, a prescindere dai costi sociali e ambientali. A partire dal 2004, il governo ha approvato riforme sostanziali nel settore immobiliare abitativo, sia dal punto di vista edilizio che finanziario.

I comuni metropolitani e distrettuali hanno acquisito ampi poteri per realizzare progetti di rinnovamento urbano, stipulando partnership con aziende private a cui sono stati venduti terreni e beni di proprietà pubblica. Decine di migliaia di persone – spesso emarginate o povere – sono state sfrattate dalle loro case. Le comunità e le reti di solidarietà sono state distrutte per fare spazio ad abitazioni lussuose, ma ahimè poco resistenti. Secondo i numeri pubblicati dal ministero dell’Ambiente e dell’Urbanistica di Ankara nel 2018, più della metà degli edifici in Turchia – pari a quasi 13 milioni – viola le norme di costruzione e sicurezza. Politici ed esperti locali hanno avvertito per anni che città e paesi non avrebbero resistito a scosse violente, ma le loro voci sono state ignorate. L’architetto Mücella Yapıcı, l’avvocato Can Atalay e l’urbanista Tayfun Kahraman, tutti membri di spicco dell’Unione delle Camere degli Architetti e degli Ingegneri turchi (Tmmob) e critici di lunga data del governo dell’Akp, sono stati tutti sbattuti in carcere con accuse di cospirazione.

«I fatti scientifici ci dicono che se gli edifici fossero stati costruiti seguendo le regole non ci sarebbe stata questa catastrofe umanitaria. Ci sono tantissime persone che sono morte in modo orribile e ogni passo che il governo ha fatto è stato falso. Adesso intere famiglie soffriranno perché lo Stato ha deciso di mettere i soldi davanti a tutto. Il governo ha lasciato la gente morire e non ha fatto niente per le 36 ore successive alla prima scossa, che sono state cruciali».

E adesso per Erdogan la situazione si fa difficile. In primavera dovrà affrontare elezioni cruciali e già presiedeva un Paese con un tasso di inflazione di quasi il 60 per cento. Nelle scorse settimane ha dichiarato lo stato di emergenza di tre mesi e molti sostengono che questo sia il pretesto perfetto per ottenere con prepotenza un altro mandato. Il Paese però è parecchio insoddisfatto e se la risposta del governo a questa gigantesca crisi umanitaria non sarà efficace, c’è il rischio che il terremoto faccia tremare anche le poltrone di Ankara. «Io non credo che Erdogan potrà vincere le elezioni, adesso mi sembra davvero impossibile», ci dice Hande. «Il terremoto ha mostrato una forte unità tra le persone anche di culture diverse e questo può portare ad un cambiamento. Il mio popolo non è diviso ma può essere manipolato con la paura, il che è diverso».

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