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Gaza, scatta il cessate il fuoco (con tre ore di ritardo): Hamas consegna a Israele i primi tre ostaggi, migliaia di sfollati palestinesi tornano a casa

Immagine di copertina
Credit: AGF

Gaza, tregua Israele-Hamas: le ultime notizie

Hamas ha consegnato al Comitato Internazionale della Croce Rossa i primi tre ostaggi israeliani rilasciati nell’ambito dell’accordo per il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza entrato in vigore nel mattino di oggi, domenica 19 gennaio. L’organizzazione umanitaria provvederà ora ad affidare i tre alle forze di Israele.

Gli ostaggi liberati sono Romi Gonen, 24 anni, Emily Damari, 28, e Doron Shtanbar Khair, 31: la Croce Rossa ha fatto sapere che “sono in buone condizioni”. In cambio, entro sera Israele dovrebbe liberare una novantina di prigionieri palestinesi, per lo più minorenni e donne.

La tregua tra lo Stato ebraico e Hamas è entrata in vigore stamattina con un ritardo di quasi tre ore, dovuto a un rallentamento da parte del gruppo terroristico palestinese nel fornire allo Stato ebraico i nomi dei tre ostaggi che sarebbero stati liberati oggi.

Tregua a Gaza: chi sono i tre ostaggi israeliani liberati da Hamas

Romi Gonen, Emily Damari e Doron Steinbrecher

Doron Steinbrecher, 31 anni, cittadina israeliana e rumena, lavora come infermiera veterinaria: era stata rapita da Hamas a Kfar Aza, una comunità kibbutz vicino al confine meridionale di Israele con Gaza. Quel giorno, il 7 aprile 2023, fece appena in tempo a inviare un messaggio vocale ai propri genitori e amici avvertendoli di quel che stava accadendo: “Sono arrivati, mi hanno preso”.

Anche Emily Damari, 28 anni, nata in Israele da padre israeliano e madre britannica, è cresciuta a Kfar Aza. Damari era nella sua casa nel kibbutz, quando gli uomini armati di Hamas hanno fatto irruzione, ferendola.

Romi Gonen, 24 anni, originaria del nord di Israele, era tra le decine di persone catturate da Hamas durante il festival musicale Supernova. Durante l’attacco, mentre stava tentando di fuggire a bordo di un’auto, Gonen  telefonò alla madre: “Mi hanno sparato, mamma, e sto sanguinando”, disse. Quando l’auto fu ritrovata più tardi, era vuota.

Il ritardo nell’entrata in vigore del cessate il fuoco

La tregua nella Striscia di Gaza è iniziata alle 11.15 ora locale (le 10.15 italiane) di oggi, domenica 19 gennaio, mentre era previsto che partisse alle 8.30 (le 7.30 italiane).

All’orario prestabilito Hamas non aveva ancora fornito a Israele l’elenco dei prigionieri prossimi al rilascio: il premier israeliano Benjamin Netanyahu aveva quindi dato ordine alle sue truppe di riprendere con i bombardamenti nella Striscia. Almeno una decina di palestinesi sarebbero rimasti uccisi nei raid di stamattina, di cui sei a Gaza City.

La situazione si è sbloccata intorno alle alle 10.30 ora locale (le 9.30 italiane), quando un portavoce di Hamas ha riferito su Telegram che il gruppo palestinese ha fornito a Israele i nomi dei primi tre ostaggi prossimi alla liberazione.

In un precedente post su Telegram, il gruppo terroristico palestinese aveva attribuito il ritardo a “ragioni tecniche e di campo”, ribadendo il proprio impegno nei confronti dei termini dell’accordo per il cessate il fuoco. Secondo Hani Mahmoud, reporter dell’emittente araba Al Jazeera a Gaza, i citati problemi tecnici potrebbero essere dovuti alle difficoltà di movimento e di comunicazioni nella Striscia causate dai continui attacchi israeliani.

L’entrata in vigore del cessate il fuoco è stata accolta con festeggiamenti nella Striscia: migliaia di palestinesi sfollati stanno tornando nelle loro zone di residenza nella speranza di trovare le loro case ancora in piedi.

Intanto, il partito di estrema destra israeliano Potere ebraico esce dal Governo in protesta contro l’accordo per il cessate il fuoco: i tre ministri del partito, tra cui il leader Itamar Ben-Gvir (ministro della Sicurezza nazionale), si sono dimessi.

Tregua a Gaza, cosa succede oggi

L’accordo per il cessate il fuoco tra Israele e Hamas – raggiunto nei giorni scorsi a Doha con la mediazione di Qatar, Egitto e Stati Uniti – interrompe la controffensiva lanciata dallo Stato ebraico dopo il raid terroristico del 7 ottobre 2023 ad opera del gruppo palestinese in territorio israeliano. Da allora quasi 47mila palestinesi sono rimasti uccisi e oltre 100mila sono stati feriti nei raid dell’Idf sulla Striscia di Gaza.

Nel pomeriggio di oggi – non prima delle 16 ora locale – dovrebbe iniziare il progressivo rilascio degli ostaggi israeliani da parte di Hamas, parte dell’intesa raggiunta nei giorni scorsi a Doha tra l’organizzazione terroristica palestinese e lo Stato ebraico con la mediazione di Qatar, Egitto e Stati Uniti.

L’accordo prevede una tregua iniziale di sei settimane con il graduale ritiro delle forze israeliane dalla Striscia e il rilascio di 33 ostaggi israeliani da parte di Hamas in cambio della liberazione di 734 prigionieri palestinesi detenuti da Israele. Secondo quanto trapelato ieri sulla stampa israeliana, Tel Aviv si aspetta che dei 33 ostaggi che saranno liberati solo 25 siano ancora vivi.

Cosa prevede l’accordo per il cessate il fuoco tra Israele e Hamas

Il piano concordato si articola in tre fasi, ciascuna di 42 giorni, di cui solo la prima è pienamente definita. In questa prima fase è previsto il rilascio di 33 dei 98 ostaggi israeliani ancora in mano ad Hamas: minori, donne civili, soldatesse, anziani e malati. In cambio, Israele libererà 734 prigionieri palestinesi e le sue truppe si ritireranno da diverse aree della Striscia, dove agli sfollati sarà permesso di tornare, aumentando al contempo il volume degli aiuti umanitari verso Gaza.

A Il Cairo, in Egitto, sarà insediata una sala operativa congiunta per verificare il rispetto dell’accordo, che includerà rappresentanti di Egitto, Qatar, Stati Uniti, Israele e Palestina.

Se la prima fase dell’intesa dovesse essere portata a termine, allora, nel sedicesimo giorno dall’entrata in vigore dell’accordo, Tel Aviv inizierà i negoziati per la seconda fase, in cui dovrebbero essere liberati gli altri ostaggi rimasti, una sessantina tra militari e uomini in età di leva, e per il ritiro delle proprie truppe dal resto della Striscia.

In questo periodo tra la prima e la seconda fase, Israele dovrebbe continuare a mantenere il controllo del cosiddetto “Corridoio di Filadelfi”, lungo il confine tra Gaza e l’Egitto, e ad adottare una serie di “misure di sicurezza” per i civili residenti nella parte meridionale della Striscia, che proveranno a tornare nel nord del territorio costiero palestinese.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha già fatto sapere che, qualora i negoziati sulla seconda fase dell’intesa fallissero, l’esercito dello Stato ebraico tornerà a combattere intensamente sulla Striscia. Il premier sostiene di aver ricevuto “garanzie inequivocabili” in tal senso dagli Stati Uniti.

Nella terza fase dell’accordo, Israele e Hamas dovrebbero concordare un piano di ricostruzione per la Striscia e una nuova struttura di governo sotto la supervisione di Egitto, Qatar e Nazioni Unite. Le truppe di Israele andranno a occupare una zona cuscinetto al confine tra il territorio costiero palestinese e Israele, sulle cui dimensioni si sta ancora discutendo.

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