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    Guerra in Siria, Diario dal Rojava: nella città-rifugio dei curdi le scuole sono diventate dei campi profughi

    Credit: Benedetta Argentieri, inviata per TPI nel Rojava

    Il racconto del conflitto dall'inviata sul campo di TPI, Benedetta Argentieri

    Di Benedetta Argentieri
    Pubblicato il 17 Ott. 2019 alle 00:19 Aggiornato il 18 Nov. 2019 alle 18:04

    Siria-Turchia: diario dalla guerra ai curdi, cosa è successo ieri – 16 ottobre

    Di Benedetta Argentieri, inviata per TPI nel Rojava

    Le strade sono affollate, le bancarelle ostacolano il passaggio delle macchine. La gente per passare deve sgusciare da una parte all’altra. I clacson continuano a suonare, e le urla dei venditori ambulanti riempiono l’aria.

    Nulla sembra essere cambiato nella città-rifugio dei curdi, nel nord est della Siria, ma è solo apparenza. Infatti in soli otto giorni la vita di tutti è stata stravolta. Dal 9 ottobre scorso, quando il presidente turco Erdogan ha cominciato l’operazione “Sorgente di Pace” per eliminare i curdi lungo il confine, almeno 250mila persone sono scappate dalle loro case e la città è diventata uno dei punti più sicuri e un centro di smistamento per i rifugiati.

    Arrivano stremati e impauriti. I bambini hanno la febbre da shock, dicono. In migliaia sono arrivati qui perché è una delle due città sotto il controllo dell’amministrazione autonoma che non è stata colpita. Troppo lontana dal confine, circa una sessantina di chilometri, con ancora alcune forze del regime, e con una popolazione multietnica a maggioranza araba. Poi curdi, armeni, siriaci.

    Il vero grande timore sono le cellule dormienti di ISIS che potrebbero colpire da un momento all’altro. Infatti per tutta l’estate scorsa si sono ripetuti attentati, le forze speciali curde hanno arrestato decine di persone. Ma da quando è cominciata questa nuova guerra, la situazione sembra essersi stabilizzata. “È sempre meglio essere prudenti”, dice un ufficiale dell’Asyash (sicurezza interna) prima di raccomandarsi di non andare in giro dopo il tramonto.

    Intanto la città si trova ad affrontare una vera e propria emergenza umanitaria. Ogni giorno migliaia di persone vengono smistate in una delle dieci scuole messe a disposizione dell’amministrazione per i profughi.

    “La situazione è complicata, non eravamo pronti, non ci aspettavamo una situazione simile”, spiega Mohammed Hashraf Shoomi, un amministratore locale. Manca davvero tutto. “I fornai lavorano giorno e notte. Il consumo di pane è aumentato di 15 tonnellate da un giorno all’altro. E non si fermerà di certo qui”, continua.

    Chi aveva conoscenti in città si è fatto ospitare. Tutti gli altri invece, sono in una delle decine di scuole messe a disposizione. In ogni caso, l’anno scolastico si è interrotto bruscamente la settimana scorsa dopo poco più di un mese dalla ripresa estiva.

    In uno degli istituti, “Figlia di Mohammed”, ci sono 266 persone in condizioni precarie, e altrettanti bambini. È una palazzina di due piani, nella parte occidentale della città. Si entra da un cancello di ferro bianco, e i corridoi sono colorati con farfalle, palloni, bambini sorridenti. Un contrasto evidente con la situazione attuale.

    L’amministrazione autonoma ha cercato di liberare le 23 classi dai banchi e smistare le famiglie. I bagni sono saturi, e mancano i servizi per lavarsi. Non ci sono materassi, si dorme per terra su delle stuoia di plastica blu, come le pareti. Sulle lavagne ci sono ancora le lezioni dell’ultimo giorno di scuola. “Non ci sono i fornelli per cucinare, ma stiamo provvedendo”, racconta Shoomi.

    La maggior parte delle persone arriva da Serekanye (Ain al Risa), dove continuano i combattimenti tra le Forze Democratiche Siriane e le milizie turche (TFSA). “Siamo arrivati da tre giorni”, racconta Tama, donna sui vent’anni, con già due figli.

    Ha gli occhi azzurri e la pelle olivastra, i capelli castano chiaro sono legati in una coda morbida. Ha un vestito con le maniche lunghe bordeaux con i fiorellini gialli. Ha tra le braccia suo figlio che ha sei mesi. “Non mi sarei mai aspettata di trovarci di nuovo in questa situazione”.

    Infatti Serekanye nel 2012 è stata la prima città a cadere in mano dei jihadisti, e la prima a essere liberata dalle forze curde. Questo nuovo conflitto è partito di nuovo da lì. Ma ancora oggi, nonostante tutti i pronostici, Serekanye combatte.

    “Siamo fieri dei nostri combattenti”, aggiunge prendendo la figlia più grande, Nisrin, anche lei con gli occhi blu, che ha due anni. Dal piano di sotto si sentono le grida dei bambini, nel cortile interno giocano a calcio con delle porte senza reti. Cercano un po’ di normalità. Ma anche per loro è cambiato tutto.

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