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Lo Stato del terrore

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Pubblichiamo su concessione dell'autrice un estratto di Isis, Lo Stato del Terrore, il libro-inchiesta di Loretta Napoleoni

Fin dalla sua comparsa sulla scena globale, il leader e califfo dello Stato Islamico Abu Bakr al Baghdadi è stato paragonato al Mullah Omar di al Qaeda.

Paradossalmente, questi raffronti hanno portato l’Occidente, e il resto del mondo, a sottovalutare sia al Baghdadi sia l’organizzazione da lui guidata.

Nonostante il carattere draconiano dello Stato Islamico, ritenerlo un’entità “arretrata” sarebbe un errore. Mentre il mondo dei talebani era limitato alle scuole coraniche e a un sapere basato sulle parole del Profeta, l’incubatrice dello Stato Islamico sono state la globalizzazione e la tecnologia moderna.

Quel che distingue l’organizzazione da ogni altro gruppo armato che l’ha preceduta – compresi quelli attivi durante la Guerra fredda – e quel che ne spiega l’enorme successo sono la sua modernità e il suo pragmatismo. La leadership sembra comprendere con una lucidità inedita i limiti che un mondo globalizzato e multipolare impone alle potenze contemporanee.

Per esempio, lo Stato Islamico ha intuito che un intervento straniero congiunto, simile a quello attuato in Libia o in Iraq, non sarebbe mai stato possibile in Siria. Sulla base di questa analisi, la leadership ha sfruttato a proprio vantaggio, per di più passando quasi inosservata, il conflitto siriano – versione contemporanea della guerra per procura, dove sono schierati numerosi sponsor e gruppi armati.

Mirando a un cambiamento di regime in Siria, paesi come il Kuwait, il Qatar e l’Arabia Saudita hanno attivamente foraggiato una pletora di organizzazioni armate, delle quali l’Isis è soltanto una.

Tuttavia, anziché combattere la guerra per procura degli sponsor, lo Stato Islamico ha usato il loro denaro per impiantare i propri capisaldi territoriali in regioni economicamente strategiche, come le ricche aree petrolifere della Siria orientale. Nessuna precedente organizzazione armata mediorientale era stata in grado di promuoversi quale nuovo potere politico della regione e, per di più, con il denaro dei ricchi sponsor del Golfo.

In netto contrasto con la retorica talebana, e nonostante il modo barbaro in cui tratta il nemico, lo Stato Islamico sta diffondendo un potente, e in parte positivo, messaggio politico nel mondo musulmano: quello del ritorno del Califfato, l’età dell’oro dell’Islam.

Questo messaggio arriva in un momento di grande destabilizzazione in Medio Oriente, con la Siria e l’Iraq in fiamme, la Libia sull’orlo di un nuovo conflitto tribale, l’Egitto irrequieto e dominato dall’esercito, e Israele ancora una volta ai ferri corti con i palestinesi di Gaza.Pertanto, il risorto Califfato con il suo nuovo califfo al Baghdadi appare agli occhi di molti sunniti non come l’ennesimo gruppo armato ma come una nuo­ va promettente entità politica che sorge dalle ceneri di decenni di guerra e distruzione.

Il fatto che questa fenice islamista si sia materializzata il primo giorno del Ramadan, il mese consacrato al digiuno e alla preghiera, del 2014 viene visto come il potente presagio della minaccia che lo Stato Islamico rappresenta per la legittimità di tutti i cinquantasette paesi di fede islamica.

Come ha dichiarato il suo portavoce, Abu Mohamed al Adnani, “la legalità di tutti gli emirati, i gruppi, gli stati e le organizzazioni [musulmane] viene azzerata dall’autorità del califfo e dall’arrivo delle sue truppe nei loro territori”. È una sfida lanciata da uno stato contemporaneo che dispone di un esercito moderno e che riconduce la propria legittimità alla prima manifestazione territoriale dell’Islam nell’Arabia del Settimo e Ottavo secolo.

Questa concretissima minaccia viene avvertita particolarmente dalle nazioni confinanti con la Siria e con l’Iraq.

Nel luglio 2014 la bandiera dello Stato Islamico ha fatto la sua comparsa nei villaggi giordani, e nel mese di agosto migliaia di militanti dell’Isis hanno sconfinato in Libano dalla Siria, occupando la cittadina di Arsal. Dopo il lancio di questa offensiva, persino i vecchi sponsor hanno iniziato a temere la potenza militare del Califfato; all’inizio di luglio l’Arabia Saudita ha schierato trentamila militari sul suo confine con l’Iraq dopo che l’esercito iracheno si era ritirato dall’area.

Sotto la patina della religione e dietro le tattiche terroristiche, esiste una macchina militare pienamente impegnata nella costruzione di un nuovo stato e, cosa ancora più sorprendente, nella ricerca del consenso popolare una volta assicuratasi la conquista territoriale.

Gli abitanti delle zone controllate dal Califfato, infatti, sostengono che l’arrivo delle milizie dello Stato Islamico ha coinciso con un miglioramento della gestione quotidiana dei loro villaggi. I combattenti dell’Isis hanno sistemato le strade, organizzato le mense per chi aveva perso la casa, garantito l’accesso all’elettricità per tutta la giornata.

Così facendo, lo Stato Islamico mostra di capire che nel Ventunesimo secolo non si possono edificare nuove nazioni solo con il terrore e la violenza. Per riuscire nell’obiettivo è necessario il consenso popolare.

Se a livello territoriale il progetto di massima è quello di rifondare l’antico Califfato di Baghdad – entità distrutta dai mongoli nel 1261, che si estendeva dalla capitale irachena fino all’attuale Israele –, a livello politico l’obiettivo dello Stato Islamico consiste nel crearne la versione moderna, aggiornata al Ventunesimo secolo.

Nel suo primo discorso in veste di nuovo califfo, al Baghdadi si è impegnato a restituire ai musulmani “la dignità, la potenza, i diritti e l’autorità del comando” che possedevano nel glorioso passato, al contempo ha rivolto un appello a medici, tecnici, giudici ed esperti di giurisprudenza islamica affinché si unissero a lui. Mentre parlava, una squadra di traduttori in tutto il mondo era al lavoro per diffondere il testo del discorso, quasi in tempo reale, sui siti jihadisti in Internet e attraverso Facebook e Twitter, in numerose lingue, tra cui inglese, francese e tedesco.

Secondo molti sostenitori, il principale obiettivo dello Stato Islamico è rappresentare per i musulmani sunniti ciò che Israele è per gli ebrei: uno stato nella loro antica terra, rioccupata in tempi moderni; un potente stato confessionale che li protegga ovunque essi si trovino.

Per quanto scioccante e rivoltante possa apparire un simile raffronto, è questo il potente messaggio che l’Isis trasmette ai giovani musulmani che vivono nel vuoto politico creato da fattori allarmanti quali la corruzione dilagante, la disuguaglianza e l’ingiustizia presenti nei moderni stati musulmani; la spietata dittatura di Assad; il rifiuto del governo di al Maliki di integrare i sunniti nel tessuto della vita politica e la loro persecuzione da parte del governo di Baghdad; l’assenza di adeguate infrastrutture socioeconomiche, distrutte durante la guerra, e l’elevato tasso di disoccupazione.

È un messaggio potente e al tempo stesso seducente anche per chi vive all’estero, i giovani musulmani europei e americani, che lottano per integrarsi in una società occidentale che offre sempre meno opportunità alle giovani generazioni. Nessun’altra organizzazione armata ha mai mostrato altrettanta comprensione e intuizione politica nei confronti della politica interna del Medio Oriente e della frustrazione degli emigrati musulmani in tutto il mondo.

© 2014 Loretta Napoleoni

© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano

Per gentile concessione Luigi Bernabò Associates Srl

Loretta Napoleoni è una giornalista italiana che collabora con numerose testate a livello internazionale. Quello che vi abbiamo proposto è un estratto dal suo ultimo libro: “Isis, Lo Stato del Terrore”, pubblicato nel 2014 da Feltrinelli.
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