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Il Monte della salvezza è in California

Immagine di copertina

Salvation Mountain è un monumento all'amore universale. Un messaggio antico che si diffonde tramite i social network

Monte della salvezza California

Persa nel deserto californiano, a un’ora e mezza da Palm Springs e a pochi passi dalla comune hippie di Slab City (“the last free place”, dice il cartello all’ingresso), c’è una enorme montagna di paglia e fango ricoperta di versetti della Bibbia che un uomo, Leonard Knight, dipinge e ridipinge da quasi trent’anni. Alta 15 metri, larga oltre 45 e in continua evoluzione, la Salvation Mountain è un’opera d’arte incredibile, vibrante di colore e di sentimento. Un inno all’amore universale, che Leonard Knight ha accolto come filosofia di vita nel 1967, quando un mercoledì mattina ha avvertito “la presenza di Cristo”, racconta, e lo ha accettato nel suo cuore.

Architetto e artista della spontaneità, Leonard non ha avuto bisogno di scuole. La sua certezza è che le cose della vita siano in realtà molto semplici e che occorra mantenerle tali. La sua devozione totalizzante lo ha portato così a mettere in pratica quel concetto di semplicità, coniugandolo con una pressante esigenza di rendere grazia a Dio, dedicando tutto il suo tempo e i suoi sforzi a un unico monumentale oggetto che ne fosse il simbolo e la realizzazione. Impastando sassi e fieno, materiali di scarto, rami e pneumatici, Leonard ha così costruito pezzo dopo pezzo, anno dopo anno, il suo santuario caleidoscopico, fluorescente e ingenuamente pop, che ricorda il disegno di un bambino. “God is Love”, è scritto sul monumento a caratteri cubitali. “Dio è amore”. E amare è appunto semplice, dice Knight.

“Sono capitato qui quarant’anni fa, ed eccomi ancora qui”, mi disse l’artista folk quando lo incontrai presso la Montagna nel settembre 2011. “Qui” è un angolo di deserto nei dintorni di Niland, California, avvolto da un silenzio irreale. Quando ho visitato Salvation Mountain non speravo di trovarlo sul posto. Uno sceriffo, impegnato a controllare il monumento spesso teatro di feste notturne, di risse o di spaccio, e improvvisatosi guida turistica per due ragazze armate di reflex venute fin dal quartier generale degli hipster newyorkesi, cioè da Williamsburg, mi racconta che Leonard è malato, e che per qualche giorno non lo aveva visto.

Leonard, ottant’anni, era minuto e sorridente. Quel giorno era arrivato alla Montagna a bordo di un minivan, scortato da Kevin Eubank, un volontario che lo assisteva nella vita di tutti i giorni e che aveva creato per lui un sito internet, timewithleonard.com. Kevin aiutava Leonard a fare la cosa che più gli interessa: diffondere il suo messaggio di pace. Il sito non è più attivo da quando Kevin è rimasto vittima di un malore fatale lo scorso 13 dicembre. Leonard stesso non vive più a Niland con Kevin, ma è stato trasferito in un Day Care per anziani, l’Eldorado, a El Cajon, nella contea di San Diego. Le sue visite alla Montagna sono state molto rare da allora, e lo saranno ancor di più in futuro: dalla pagina Facebook di Salvation Mountain si apprende che il 3 luglio scorso Leonard ha subito l’amputazione di una gamba. Lo dicono AJ e Mikey, i due nuovi gestori del profilo social, che organizzano attraverso il passaparola il lavoro dei volontari che ridipingono periodicamente il monumento per preservarlo e difenderlo dai vandali.

Ma quando ho incontrato Leonard nulla di tutto questo era prevedibile. In quel periodo l’artista continuava a recarsi al sito ogni giorno per lavorare o accogliere i visitatori nel suo salotto improvvisato: quattro sedie sotto un gazebo eretto nei pressi di un pickup pieno di materiali da pittura. Leonard indossava un cappellaccio di paglia, un paio di shorts da pallacanestro troppo larghi, scarpe da ginnastica con il velcro, calze di spugna alte e ingrigite, e una maglietta con sopra l’immagine della sua Montagna. Si fa fatica a pensare che un fisico tanto gracile abbia potuto sostenerlo nell’impresa di una vita.

La Montagna è un intrico di gradini e cunicoli, ed è composta da varie strutture. Oltre al monte vero e proprio, visibile già in lontananza dalla strada statale 111 che lo costeggia, ci sono camper e motorini abbandonati, una scavatrice e addirittura una piccola barca, tutti decorati da Leonard nel suo tipico stile. C’è inoltre un museo, ancora incompiuto, ornato da complesse trame di rami e pali che fanno da soffitto a delle piccole gallerie con finestre, e un elaborato rifugio ispirato agli Hogan usati dagli indiani Navajo, abitanti originari della zona, decorato con statuette votive al suo interno.

Iniziato nel 1998, l’Hogan era stato progettato da Leonard come una casa che gli consentisse di sfuggire al caldo torrido del deserto, che nei mesi estivi rendeva intollerabile la vita nel suo camion parcheggiato alle pendici del monte. È per questo che a un certo punto Leonard si era trasferito nella casa di Kevin a Niland città, da dove proveniva quel giorno. Lo intervisto, ignara di essere tra i pochi che avranno occasione di farlo da quel momento in poi. “Mi piace parlare del fatto che Dio è amore”, spiega Leonard. “Le persone rispondono meravigliosamente a questo. Amano che Dio sia amore, che sia scritto lì grosso, e che rimanga così!”.

È onorato per ogni visitatore che riceve, e la sua gioia più grande è che le persone arrivino da tutto il mondo per ammirare la sua opera. “Oggi sono venute persone di cinque nazionalità diverse!”, afferma entusiasta. L’ode a Dio di Leonard è infatti situata in un luogo solo apparentemente ‘God-forgotten’. A un giornalista che una volta gli chiese perché non smettesse mai di lavorare a un’opera colossale che nessuno poteva vedere, rispose: “Chi lo dice che nessuno può vederla?”. Leonard aveva già intuito l’importanza dei social network per la Montagna prima che la valanga di avvenimenti destabilizzanti si abbattesse su di lui e sulla sua opera. La Montagna è un medium, un manifesto, un oggetto che vuole comunicare un messaggio.

Leonard sa che i social network sono il megafono che amplifica l’urlo colorato della sua opera: “Improvvisamente la notizia si sta spargendo ovunque! Lo sai di chi penso sia merito? Dei ragazzi che usano internet!”. Leonard racconta quanto la gente gli abbia dato “una grossa mano” scattando fotografie della Montagna, e soprattutto parlandone. Ogni visitatore è invitato ripetutamente a “fare come fosse a casa sua”, ad arrampicarsi in cima al monte e a esplorare l’intrico di corridoi e aperture costruite da Leonard attorno a esso. Alcuni fanno donazioni, portano barattoli di vernice o lasciano qualche dollaro in una cassetta per le offerte. “Non sentitevi in dovere”, dice Leonard a una delle newyorkesi che gli porge una banconota. Poi la ringrazia.

Spesso qualcuno si ferma addirittura per aiutare con il lavoro. Leonard ci conta: “Spero che quando farà meno caldo i ragazzi vogliano venire ancora a dipingere. Che so, potrei dargli un gallone di vernice rossa e dire loro di ripassare la scritta ‘God is Love’, perché rimanga così. Penso che a molti piacerebbe farlo. E poi voglio dipingere di nuovo tutta la Montagna, per renderla più bella. Mi piace che la gente venga qui”. “C’è quella cosa nuova sui computer. Com’è che si chiama, Scooter?”. È Twitter che intende: “Sì, Squitter!”, esclama illuminandosi in volto. “Non ce la faccio a ricordarmi tutti i nomi, ma è un grande aiuto. Abbiamo avuto più di 30 mila contatti solo lì” (ma la pagina Twitter della Salvation Mountain ha al momento 283 followers).

I social network realizzano il sogno di Leonard, che da solo, in mezzo al deserto, inviava messaggi d’amore universale al mondo fino a essere trovato e retwittato, sharato, rebloggato: “Ho sempre voluto questo: dire a tutti che io amo tutti, e che tutti ci amiamo. Immagina che succederebbe se 10 mila persone tutte insieme amassero Dio!”. Se è difficile per il network andare alla montagna, persa nel bel mezzo della California, è la montagna che si rende social. “Con internet è diventato tutto più grande e migliore, è sorprendente. Più riusciamo a parlare del fatto che Dio è amore, più riusciamo a tenere le cose semplici, meglio è.”

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