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Francia-Germania: perché l’asse che reggeva l’Europa si è arrugginito

Immagine di copertina
Credit: AGF

Governi collassati, fratture sociali e tensioni internazionali. Così Parigi e Berlino sono passate dal ruolo di locomotive a quello di grandi malate del Vecchio continente. Un problema che riguarda l’intera Unione europea

Lo chiamano asse franco-tedesco per la sua rilevanza strutturale determinante per decidere le sorti dell’Europa, ma dal dopoguerra a oggi non sembra essere mai stato così debole. Non certo per i rapporti bilaterali, che non registrano particolari stravolgimenti, quanto per le specifiche situazioni interne della Francia e della Germania, oggi più incerte che mai dal punto di vista sia politico che sociale e che lasciano un grosso punto interrogativo sul futuro dei due Paesi in un momento storico in cui si apprestano a giocare un ruolo fondamentale nelle sorti del nostro continente. 

Mentre si attende l’insediamento di Donald Trump negli Stati Uniti per capire se ci sarà una proposta di pace per l’Ucraina e in cosa consisterà, mentre si attende di capire che ruolo avranno i Paesi europei in questa proposta e nel gestire un fianco Est della Nato che si fa sempre più caldo, mentre l’aumento delle tensioni e delle crisi in tutto il mondo richiedono una risposta forte da parte dell’Europa che non può più permettersi di rimanere la vetrina impolverata di un mondo che guarda avanti, la Francia si trova senza una chiara maggioranza in parlamento, impossibilitata fino a luglio prossimo a un secondo voto anticipato, reduce dal fallimento del governo nominato da Emmanuel Macron a guida Michel Barnier, e la Germania si trova ad affrontare una crisi industriale dai risvolti problematici mentre il governo a guida Olaf Scholz è arrivato a un prevedibile naufragio che porterà il Paese il prossimo febbraio a elezioni anticipate. 

Inseguendo la grandeur
La Francia ha per sua natura una caratteristica, data dal suo presidenzialismo dai tratti simili a quelli di una monarchia inseriti nelle regole di una repubblica per i poteri attribuiti al Capo dello Stato e che danno a questa figura una rilevanza difficile da trovare altrove in Europa. 

Tuttavia, è sotto gli occhi di tutti come Macron, ormai arrivato alla metà del suo secondo mandato, stia cercando in tutti i modi di continuare a muovere fili che non sempre riesce a tenere nel modo più saldo, in un Paese in cui l’estrema destra, pragmaticamente intenta a cercare una veste moderata e istituzionale, e l’estrema sinistra, in ascesa, prendono sempre più piede, insidiando chiaramente il consenso e l’agibilità politica di un centrista che sembra quasi fuori luogo in un’epoca fatta di identitarismo e posizioni radicali. 

È proprio questo contrasto, tra le altre cose, a mostrarci quanto oggi la Francia sia divisa e come il suo presidente cerchi di far giocare al suo Paese il classico ruolo centrale in linea con la sua tradizionale grandeur ma al tempo stesso debba fare i conti con una situazione interna piena di incertezze. 

Macron ha ben compreso, soprattutto dopo l’inizio della guerra in Ucraina nel 2022, che il baricentro europeo – sia a livello Nato che a livello Ue – si sta spostando a Est, con la maggiore attenzione a un confine che si è fatto particolarmente caldo, in cui numerosi Paesi vivono con preoccupazione la vicinanza con la Russia e hanno per questo aumentato la spesa militare, iniziando a giocare un ruolo di crescente importanza sul tavolo europeo. 

Parallelamente a questo, Macron ha compreso anche che, per quanto riguarda la difesa l’Europa non può affidarsi esclusivamente al sostegno della macchina militare americana. È in questa logica che ha provato a mettere in campo una serie di iniziative e lanciato una serie di messaggi, talvolta derubricati a boutade ma che mostrano in qualche modo un tentativo di dettare l’agenda e impugnare la leadership continentale, forte del ruolo di unica potenza nucleare dell’Unione europea.

Possiamo vedere in quest’ottica il lancio della Comunità politica europea, di fatto una piattaforma composta da quasi tutti i Paesi europei che si riunisce con cadenza annuale ma la cui funzione, oltre a rendere genericamente più rilevante e autonomo il ruolo del Vecchio continente, è tutta da capire. Ma possiamo vedere nella stessa ottica lo smarcamento di Macron dagli Usa sulla questione Taiwan e la frase sulla possibilità di inviare truppe in Ucraina a sostegno di Kiev: una consapevolezza di un’Europa che deve trovare il modo di concentrarsi su sé stessa e di non dipendere dagli alleati, ma anche di una Francia che sgomita per non vedere il suo ruolo passare in secondo piano sullo scacchiere globale. 

Presidente all’angolo
Ma se sulla scena estera Macron muovendosi riesce ancora a giocare un ruolo da protagonista, è in casa che affronta i principali problemi. Nel 2017, quando fu eletto a capo dello Stato, si verificarono una serie di condizioni pressoché irripetibili che portarono alla vittoria di un candidato centrista indipendente ritenuta impensabile solo fino a poco prima. L’impopolarità dell’uscente Hollande, il conseguente tracollo dei socialisti e le ombre sul candidato repubblicano Fillon portarono così Macron al ballottaggio, dove in nome di quella conventio ad excludendum contro il fu Front National – all’epoca ancora pressoché indiscutibile – sconfisse senza problemi Marine Le Pen. 

Se nel 2022 la conferma non è risultata particolarmente problematica, adesso è normale porsi la questione circa il futuro di quell’alleanza nata intorno a Macron, impossibilitato a ricandidarsi per un ulteriore mandato. 

Quel raggruppamento nato per sostenere l’attuale presidente, vincitore in condizioni particolari e in un momento storico diverso, non ha trovato una funzione politica diversa dal sostegno a Macron, che a sua volta non ha trovato un delfino degno di nota: tutti elementi che, sul fronte interno, man mano che il mandato del presidente volge verso il termine, fanno perdere sia slancio che agibilità politica. 

A fare il resto, ci pensa un centrismo che, se non esprimesse il presidente in un Paese in cui il capo dello Stato ha quasi i poteri di un monarca d’altri tempi, sarebbe totalmente spaesato in quest’epoca in cui nell’Occidente non riesce a trovare un proprio spazio politico, ancora di più in un Paese che sta affrontando non pochi problemi: una spaccatura sociale sempre più ampia tra le grandi città e la Francia profonda emersa nelle proteste dei gilet gialli, una frattura tra i centri delle grandi aree urbane e le periferie, quelle banlieues che periodicamente tornano in rivolta in cerca di legittimazione e in dissenso vero lo Stato e dove vivono francesi di seconda, terza generazione, figli degli immigrati arrivati dal fu impero coloniale senza trovare facile integrazione. 

Ma anche una serie di problemi economici: la Francia ad oggi ha il terzo debito pubblico più alto dell’Eurozona e uno spread che mostra segnali preoccupanti. 

Le elezioni europee della scorsa primavera sono state lo specchio di questa situazione, con il Rassemblement National e la sua giovane promessa Jordan Bardella nettamente primo partito e una forte frammentazione del resto del panorama politico. Un risultato che ha portato Macron a tirare fuori l’asso nella manica delle elezioni anticipate: mentre il mondo si aspettava lo sdoganamento definitivo di quello che fu il Front National, però, il sistema del doppio turno francese ha portato a un accordo sui ballottaggi tra la sinistra del Nuovo Fronte Popolare e i centristi di Macron che ha retto benissimo e relegato il blocco di Bardella, in testa al primo turno, a un terzo posto. Ma, al tempo stesso, ha portato a un parlamento composto da tre blocchi pressoché equivalenti senza particolari possibilità di dialogo. 

Dopo aver temporeggiato grazie alle Olimpiadi, Macron ha deciso di strizzare l’occhio a destra nominando un governo di minoranza guidato da Michel Barnier, facendo storcere il naso al Nuovo Fronte Popolare. 

Dopo il quasi inevitabile crollo del governo sulla manovra, nominando un politico navigato e macroniano della prima ora come Francois Bayrou, ha strizzato l’occhio più alla sinistra, ma il rischio sul medio termine è di alienarsi le simpatie dell’una come dell’altra parte, e la morale è che in Francia è da poco nato il terzo governo in pochi mesi. 

Il difficile post-Merkel
Parafrasando un detto legato all’antica Grecia, se Parigi piange Berlino non ride. Perché da ridere non ha proprio nulla, in questa fase storica della Germania. 

Olaf Scholz, il cancelliere socialdemocratico che ha posto fine ad anni di governo della Cdu, il primo a entrare in carica dopo il lungo dominio della scena da parte di Angela Merkel, si è rivelato un leader debole di una coalizione relativamente eterogenea (al suo fianco ci sono, o meglio c’erano, i verdi e i liberali) in un momento critico per la Germania: il disfacimento della compagine di governo e le elezioni anticipate sono state quasi la naturale conseguenza di questa situazione e dei numerosi dati elettorali negativi per l’Spd. 

Il Paese col il maggiore Pil d’Europa, infatti, dopo l’immediato slancio post-Covid è entrato in una fase di recessione e si aspetta di chiudere il 2024 come il secondo anno di fila in calo per l’economia tedesca, qualcosa di inaccettabile per la nazione che viene considerata la locomotiva d’Europa, ma anche un dato che ha causato forti frizioni tra il cancelliere e il ministro delle Finanze, il liberale Christian Lindner, sfociate nella decisione di andare al voto anticipato il prossimo febbraio. 

Ma se la crisi di governo tedesca è anche una crisi di natura economica, la crisi economica è anche, in parte, una crisi politica, legata alla situazione in cui Berlino si sta trovando in questo momento storico. 

La guerra in Ucraina, l’esplosione del gasdotto Nord Stream, il deterioramento dei rapporti con la Russia sono qualcosa che sta ridisegnando il posizionamento geopolitico della Germania, che con Mosca aveva sempre avuto rapporti positivi e uno stretto legame per quanto riguarda la fornitura energetica e la cui brusca interruzione ha portato a conseguenze nell’aumento delle bollette dei tedeschi e non solo. La Germania, infatti, dopo la riunificazione pensava di aver superato una volta per tutte la sua posizione di confine lungo la cortina di ferro, e oggi si trova letteralmente di nuovo al fronte con una guerra a poche centinaia di chilometri. 

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