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    Coronavirus, la Cina sapeva: 10 giorni di silenzio dietro al contagio

    Controlli medici sul Coronavirus Credit: Ansa

    Lo scrive il New York Times che addossa le responsabilità della terribile bugia sul virus al regime autoritario del presidente Xi Jinping

    Di Veronica Di Benedetto Montaccini
    Pubblicato il 1 Feb. 2020 alle 19:18 Aggiornato il 2 Feb. 2020 alle 09:20

    Coronavirus e il silenzio della Cina: 10 giorni cruciali per il contagio

    Per l’emergenza Coronavirus, il silenzio iniziale della Cina sarebbe stato cruciale per il contagio dell’epidemia. Secondo notizie stampa, inizialmente le autorità cinesi imposero il silenzio ai medici che avevano rilevato i primi casi di polmonite sospetta.

    Coronavirus, la Cina agisce in ritardo

    Dopo le notizie dei primi casi, nel dicembre scorso, la polizia ha tentato di non creare allarmismi, costringendo al silenzio i medici e i ricercatori, ma evidentemente non era possibile. Così la massima autorità del regime ha parlato e ha messo in guardia sulla gravità della situazione.

    Poi le foto delle centinaia di ruspe che edificano in pochi giorni un ospedale a Wuhan non potevano essere censurate. E così il regime ha dovuto ammettere. La situazione è molto grave, e peggiorerà, ha detto Xi.

    L’Europa fa stranamente sentire la sua voce. “C’è una grave responsabilità del regime cinese per i ritardi nella denuncia dell’epidemia. Medici minacciati, ritardi e verità nascoste hanno provocato morti e diffusione della malattia nel mondo”, dichiara Antonio Tajani vicepresidente di Forza Italia e presidente della Commissione Affari Costituzionali del Parlamento Europeo.

    La censura

    In questo caso è evidente che la mancanza di un’informazione libera è divenuta un boomerang che si è ritorto contro il Paese. Il controllo sull’informazione ha portato a rallentamenti sull’emergenza, come ha dichiarato due giorni fa lo stesso sindaco di Wuhan.

    Il 27 gennaio scorso, in un’intervista al canale nazionale CCTV, Zhou Xianwang ha ammesso che “non solo non abbiamo rivelato le informazioni sullo sviluppo del Coronavirus nella città in tempo, ma non abbiamo usato le informazioni in modo efficace per migliorare il nostro lavoro”.

    La mancanza di efficacia nell’uso delle informazioni è dovuta al fatto che prima di lanciare l’emergenza di un’epidemia, si deve ricevere l’approvazione del Consiglio di Stato. Questa procedura e stile centralizzati non permettono decisioni immediate ed efficaci nemmeno a livello di provincia.

    La stessa cosa avviene per dichiarare ufficialmente una persona come paziente di Coronavirus: il test positivo va inviato alla sezione sanità della provincia che a sua volta studia le carte e dà il permesso di ricoverare il paziente. In tal caso si perdono giorni preziosi per curare un malato che intanto, non essendo internato, diviene un “diffusore mobile” del virus.

    L’insabbiamento

    Si tratta di dieci giorni cruciali, nel corso dei quali il contagio era già in atto ma durante cui le autorità cinesi hanno nascosto le informazioni. Hanno sottovalutato l’emergenza? La hanno ignorata? Hanno preferito tacere?

    Di sicuro c’è che gli scienziati del Dragone erano già al lavoro sul virus, stavano cercando di identificarlo: dunque la Cina sapeva, mentre Xi Jinping e gli altri esponenti del partito comunista arrestavano che diffondeva “false voci” sull’epidemia. 

    Dieci giorni durante i quali è stata rimandata la quarantena di Wuhan, luogo dal quale il contagio è iniziato, per arrivarsi ora ad espandere a macchia d’olio.

    I medici di Wuhan avevano informato l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) dell’esistenza del Coronavirus già il 31 dicembre, ma fino a pochi giorni fa il governo cinese ha tenuto i suoi cittadini all’oscuro, facendo leva sulla censura dei media e della rete. Lo rivela il New York Times sulla base di testimonianze locali e fughe di notizie che confermano la cappa di silenzio costruita a tavolino dai vertici del Paese con conseguenze drammatiche sulla salute della popolazione e dell’intera umanità ma anche sulla gestione dell’epidemia.

    Zhou Xianwang, sindaco di Wuhan, ha raccontato di non essere stato autorizzato a parlare pubblicamente del Coronavirus fino a gennaio inoltrato, pochi giorni prima della messa in quarantena dell’epicentro del micidiale virus. Secondo le stime del primo sindaco, in quel frangente la gente è entrata e uscita da Wuhan senza precauzione alcuna, e 5 milioni di persone sono già scappate.

    Il fatto che il governo abbia nascosto la fase iniziale dell’epidemia spiega in parte l’attuale incapacità degli ospedali cinesi a far fronte all’emergenza sanitaria: mancano i kit di depistaggio, le maschere e altri indumenti di protezione.

    L’indagine del New York Times addossa le responsabilità della terribile bugia sul Coronavirus al regime autoritario del presidente Xi Jinping, che ha “ulteriormente e sistematicamente sventrato istituzioni quali giornalismo, social media, organizzazioni non governative e altre categorie in grado di fornire prove della sua responsabilità”.

    L’epidemia sta colpendo anche l’economia cinese, in situazione di massima debolezza degli ultimi 30 anni. “E, con una buona dosa di umiltà, facciamola finita con l’ammirazione fuori luogo di alcuni americani per il modello autoritario di Xi”, conclude il quotidiano Usa.

    Le altre volte che il regime cinese ha nascosto un’emergenza

    Non è la prima volta che viene usato il regime del silenzio: la stessa strategia è stata messa in campo da Xi per insabbiare le febbre suina che dal 2018 ha portato all’abbattimento di un quarto della popolazione mondiale di maiali. Oltre il danno la beffa.

    “Quando altri paesi hanno riferito di casi di Coronavirus, la Cina ha finto di essere riuscita a confinare l’epidemia a Wuhan, scherzando in modo cupo su un virus patriottico che ha soltanto colpito stranieri” denunciano le fonti del Nyt.

    Il bilancio

    Intanto si apprende che è salito a quasi 15mila il numero delle persone contagiate con il Coronavirus in Cina, mentre sono 304 le persone che hanno perso la vita. Lo hanno dichiarato le autorità sanitarie della provincia di Hubei, nella Cina centrale, epicentro dell’epidemia.

    Solo nella provincia di Hubei sono stati segnalati 1.347 nuovi casi, 7.153 in tutto.

    Isolata Wuhan, che conta 11 milioni di abitanti, e altre città della Cina. Tutte le compagnie aeree hanno interrotto i voli da e per la Cina. L’Australia non fa entrare chiunque provenga dalla Cina. L’Inghilterra evacua il personale diplomatico, e stavolta la Brexit non c’entra. In Spagna il primo caso. E in Italia confermati due casi, ricoverati all’ospedale Spallanzani di Roma.

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