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Home » Economia

L’ereditiera tedesca Stefanie Bremer a TPI: “Noi ricchi chiediamo: tassateci”

Immagine di copertina
Credit: Mika Baumeister / Unsplash

“Siamo solo stati fortunati al lotto delle nascite. Dobbiamo allearci con chi lotta per la giustizia sociale, non difendere privilegi”. La milionaria spiega a TPI perché è favorevole a una fiscalità più equa. "Perché io dovrei avere la possibilità di scegliere tra pagare le tasse o fare filantropia?! A nessun altro viene data questa scelta!"

Stefanie Bremer non si è fatta da sola. Ad appena 32 anni ha ereditato quasi 10 milioni di euro tra immobili e quote di un’azienda. Ma da anni lotta contro un sistema di tassazione diseguale, aderendo al movimento Taxmenow, composto da giovani milionari di lingua tedesca che chiede di tassare i grandi patrimoni, e firmando diversi appelli globali per un sistema fiscale più equo. Bremer non è il suo vero cognome: appare infatti in pubblico sotto pseudonimo per proteggere la sua famiglia. Ma non per questo evita di esporsi.
Ci racconta un po’ la sua infanzia?
«Grazie ai miei genitori, che facevano ogni giorno lavori normali, ho potuto vivere una vita piuttosto ordinaria, seppur confortevole. Frequentavo le scuole pubbliche, facevamo le vacanze in Germania, Svizzera e Austria e non viaggiavamo in aereo a causa dell’impatto dei voli sull’ambiente. La mia famiglia mi ha sempre insegnato che la nostra ricchezza non va mai data per scontata. Siamo ricchi solo perché siamo stati fortunati al lotto delle nascite e il nostro denaro viene dai lavoratori impiegati nell’impresa di famiglia, non dal nostro impegno. Né io né i miei genitori lavoravamo nella nostra azienda».
In famiglia si parlava mai di soldi?
«Non si parlava mai di denaro, né in famiglia né in pubblico. È un tabù dalle radici complesse: i buoni cristiani tedeschi non si vantano, se sono benestanti. La ricchezza si accumula spesso attraverso diverse generazioni e sarebbe di cattivo gusto mettere in discussione le azioni dei nostri progenitori. Senza dimenticare che parlare apertamente della propria ricchezza potrebbe suscitare invidia, risentimento o persino malcontento negli altri, quindi è meglio evitare. Ciò che la gente sembra non capire è che tacendo non facciamo altro che ampliare il baratro delle incomprensioni e isolarci dalle prospettive altrui. Ma ne abbiamo disperatamente bisogno se vogliamo davvero risolvere i problemi ed evolvere e crescere come società».

Quando ha capito che la sua vita era diversa da quella degli altri?
«Grazie ai miei genitori, molto presto ho capito che la mia situazione era diversa da quella dei miei amici e vicini. Rimasi profondamente colpita quando, a 15 anni, iniziai a seguire le notizie in tv e mi resi conto di quanti problemi nel mondo avremmo potuto risolvere, in tutto o in parte, con la sufficiente quantità di denaro. Oltre alla consapevolezza che a un certo punto avrei avuto accesso a una ricchezza significativa e mi sarei ritrovata a dover prendere decisioni su quali problemi risolvere, così ho iniziato a pormi delle domande per comprendere meglio il mio ruolo e le opportunità che avrei avuto. I ​​miei genitori mi hanno aiutato presentandomi ad altre persone ricche e progressiste e ad alcuni attivisti che si battono per la giustizia sociale. Ascoltarli e parlare con loro mi ha aiutato a comprendere meglio la complessità e l’ingiustizia della disparità di ricchezza».
Cosa l’ha spinta a battersi in prima persona, anche se sotto pseudonimo?
«Nel caos provocato dalla pandemia di Covid-19, è diventato chiaro a molti che il nostro governo stava contraendo ingenti debiti per far funzionare il Paese. Al contempo, però, non è stata intrapresa alcuna azione per ripartire equamente l’onere di tali debiti in base alla distribuzione nazionale della ricchezza. In Germania, il 10% più abbiente della popolazione possiede il 67% di tutta la ricchezza disponibile, mentre la metà più povera ne possiede solo l’1,4%. Inoltre i ricchi hanno superato meglio e molto più facilmente la pandemia rispetto agli altri. Allora, insieme ad altre persone con vocazioni simili, fui contattata da alcuni attivisti che mi chiesero se fossi disposta a parlare dell’ingiustizia della disparità di ricchezza, dei suoi effetti e della correlazione con la fiscalità. Sebbene esistano già diverse ong affermate che lavorano su questo tema, i miei colleghi attivisti e io abbiamo deciso di alzare la voce e di presentare anche il punto di vista di chi trae profitto da ingiusti privilegi fiscali. È per questo che riceviamo così tanta attenzione».

Perché impegnarsi per una tassazione più equa piuttosto che in attività filantropiche?
«La filantropia, letteralmente: l’amore per gli altri esseri umani, non è di per sé negativa. La maggior parte delle persone dona a favore di una causa o l’altra. I meno abbienti donano persino una percentuale maggiore del proprio reddito rispetto ai più ricchi. Molti Paesi, tuttavia, hanno votato per una democrazia che li autogoverni e risolva i problemi sociali. Crediamo che ogni cittadino abbia pari diritti di voto e di decidere quali questioni affrontare e come. La filantropia da parte dei più ricchi è in gran parte controintuitiva. Per lo più, uomini bianchi anziani decidono da soli quale problema risolvere e come farlo, senza interpellare gli interessati e spesso senza avere la minima idea delle circostanze. Nessuno li ha eletti per questo motivo e nessuno può controllarne le azioni in maniera efficace. Per ottenere fondi bisogna spesso affrontare ostacoli di classe: fornire informazioni personali sensibili, presentare un business plan dattiloscritto e poi sperare. Sa di feudalesimo. Vogliamo davvero questo?».
Cosa propone?
«In democrazia tutti traggono vantaggio dal sistema di welfare ma sono anche tutti giustamente chiamati a contribuire. Perché io dovrei avere la possibilità di scegliere tra pagare le tasse o fare filantropia?! A nessun altro viene data questa scelta! Paghi le tasse mentre fai la spesa oppure ti vengono detratte automaticamente dallo stipendio e probabilmente riesci comunque a risparmiare abbastanza da poterti permettere qualche donazione. Basta trattare i cittadini equamente e la società prospererà».

Ma tasse più elevate non rischiano di soffocare crescita e innovazione?
«Non è mai stato dimostrato: in Germania la maggiore crescita economica si è verificata negli anni ‘60 e ‘70, quando era in vigore un’imposta sul patrimonio, come negli Usa. L’innovazione poi non è e non è mai stata esclusiva di una società con elevate disuguaglianze, anzi. Le persone i cui bisogni primari sono soddisfatti, che ricevono un buon livello di istruzione e assistenza sanitaria e vivono in un contesto sicuro, si impegneranno automaticamente a migliorare il proprio ambiente, individueranno i problemi e svilupperanno le rispettive soluzioni. Tutto questo è in gran parte finanziato attraverso le tasse mentre l’assenza di servizi è aggravata dalla disparità di ricchezza e da una tassazione iniqua sul lavoro e sui consumi rispetto alla tassazione patrimoniale. Piuttosto, a soffocare crescita e innovazione sono gli elevati costi energetici, la mancanza di quadri giuridici affidabili e di impegno politico verso determinati percorsi di sviluppo (si vedano, ad esempio, le normative europee sulle tecnologie di propulsione o la dovuta diligenza nelle filiere di approvvigionamento), il mancato accesso ai finanziamenti per chi innova, il mutevole ordine mondiale, l’instabilità globale e la narrativa conservatrice. Offrite alle persone un punto di partenza sicuro e innoveranno».
Cosa dovrebbero fare i più ricchi?
«Dovremmo renderci conto che un minor livello di disuguaglianza non ridurrà il nostro tenore di vita, anzi. Dobbiamo allearci con chi lotta per la giustizia sociale, non opporci egoisticamente. Non dobbiamo abusare dell’influenza economica e politica garantita dalla nostra ricchezza. Desidero una società in cui tutti abbiano la possibilità di raggiungere la vera autorealizzazione attraverso i propri mezzi e meriti. Lavoriamo insieme per appianare i problemi che, come collettività, abbiamo scelto di risolvere. Così sarà possibile ridurre alcune disuguaglianze e affrontare le questioni globali».

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