Yoga: il business mondiale che fa bene a corpo e anima

Da tradizione millenaria a moda globale del fitness. Con quasi 300 milioni di “yogi" in tutto il mondo, l’antica pratica di origine indiana è un esempio ben riuscito di marketing. Ma produce anche benefici. Come mostrano le ultime scoperte nel campo delle neuroscienze
Lo yoga ha radici e origini profonde, i primi ritrovamenti di simboli legati all’antica pratica risalgono alla civiltà della Valle dell’Indo, circa 12mila anni fa, mentre le prime testimonianze scritte che troviamo nei “Veda”(gli antichi testi sacri della tradizione hindu) sono datate tra il 1.500 e il 500 a.C. Si trattava al principio di massime di saggezza sul significato della vita, che venivano gelosamente custodite e trasmesse dai guru, i maestri, ai loro discepoli. Tuttavia il punto di partenza che viene considerato la vera origine dello yoga sono gli Yoga Sutra di Patanjali, il maestro e filosofo che si occupò di catalogare e sintetizzare questo sapere yogico che già si tramandava da tempo. Raccolse e trascrisse 196 aforismi per spiegare come funziona lo yoga, come praticarlo e qual è il suo obiettivo: «yoga chitta vrtti nirodha», letteralmente «lo yoga serve a calmare le fluttuazioni (vrtti) della mente». Ma sono ancora ben lontani i tempi in cui questa pratica verrà associata a complesse posizioni acrobatiche, eseguite indossando outfit di tendenza.
È solo nel XX secolo, infatti, che lo yoga inizia a spopolare in Occidente, deformandone però la natura dei suoi esordi: i visitatori stranieri in India che assistevano alle esibizioni da contorsionisti degli yogin itineranti (il cui scopo delle posizioni innaturali era chiedere l’elemosina), riportarono in patria un concetto della pratica incentrato su esecuzioni posturali, invece che alla spiritualità e alla meditazione. Nel XXI secolo questa pratica conquista sempre più popolarità e successo, soprattutto negli Stati Uniti, Paese di cui disponiamo della maggior quantità di dati e statistiche in merito. Secondo la National Health Interview Survey (NHIS), un censimento pubblico sulla salute del popolo americano svolto su base annuale, la percentuale di praticanti yoga è infatti passata dal 5,1 per cento nel 2002 al 6,1 per cento nel 2007, all’8,9 per cento nel 2012, al 14,3 per cento nel 2017, fino al 15,8 per cento nel 2022.
I soldi che fanno la felicità
Si parla di circa 300 milioni di praticanti in tutto il mondo, di cui sei milioni soltanto in Italia (il 10 per cento di una delle popolazioni più vecchie del mondo e non è un risultato di poco conto) e le ipotesi proiettano queste cifre a raggiungere i 350 milioni a livello globale entro il 2030. Con l’aumentare di questi volumi, si alimenta anche il giro d’affari dello yoga. E quando si parla di yoga industry sarebbe riduttivo pensare solo al valore generato dai corsi per imparare e migliorare la pratica e si sottostimerebbe notevolmente la sua potenza di fuoco e la quantità di ricchezza che genera e sarà sempre più in grado di generare nei prossimi 10 anni. Uno/a yogi/yogini sa bene che il tempo e il denaro che investe nello yoga significa molto di più.
Proveremo dunque a dividere il mercato dello yoga in quattro macro-segmenti, che rappresentano le anime principali e più redditizie dell’intera industry: i corsi/lezioni di yoga, l’abbigliamento, l’attrezzatura e il turismo legato al settore, cioè gli yoga retreats. Nel panorama italiano purtroppo ad oggi scarseggiano ancora dati e ricerche di mercato consultabili, ma sono reperibili solo alcune notizie giornalistiche in cui però non viene fornita né la metodologia utilizzata né le fonti per poterne verificare l’attendibilità.
Per questo motivo andremo ad analizzare soltanto numeri di portata globale. Numeri che a livello mondiale confermano il grande boom di questa disciplina antica, tornata in auge in chiave più moderna. Secondo un recente report del Future Market Insights, una delle maggiori imprese che si occupano di ricerche, analisi di mercato e di produzione di reportistiche per servizi di consulenza a cui si affidano grandi e importanti brand di svariati settori (e.g. LG, Coca Cola, Danone, P&G, Unilever, Johnson & Johnson, Accenture e altri), il mercato globale dello yoga (yoga studios, con corsi offline, online e training) valeva circa 119,1 miliardi di dollari nel 2024 e si stima che toccherà i 288 miliardi di dollari nel 2034, crescendo a un tasso annuo di crescita composto (CAGR) di circa il 9,20 per cento tra il 2024 e il 2034.
Un suo sottoinsieme interessante in cui investire al giorno d’oggi è il mercato globale dei franchise di yoga che, secondo il Business Research Insights (altra nota società di ricerche di mercato), presenta un’analoga crescita, a un tasso annuo di crescita composto dell’8,6 per cento entro il 2032, per un valore complessivo che, secondo le previsioni, passerà da 2,1 miliardi di dollari nel 2023 a 4,2 miliardi di dollari nel 2032.
Un franchise del settore crea infatti un’opportunità per i suoi clienti di investire nella gestione del loro studio di yoga sotto l’ombrello di un marchio rinomato. Per un imprenditore, è decisamente molto appetibile sfruttare un marchio esistente e consolidato nelle società di yoga, che consenta di entrare nel segmento avendo già a disposizione una voluminosa e fedele base di clienti. Un’altra fetta importante di business che ha tratto enormi benefici economici dal boom dello yoga è il settore dell’abbigliamento.
La pandemia di Covid-19 aveva già dato un forte impulso di popolarità allo yoga, così come ad altre attività di fitness. Durante la crisi sanitaria globale, per molti l’esercizio fisico in salotto sul tappetino è diventato d’obbligo per alleviare dolori alla schiena, accenni di artriti e soprattutto dosi massicce di stress. Da qui, una fetta della popolazione mondiale ha compreso l’importanza di adottare e mantenere uno stile di vita sano e attivo: non solo non ha abbandonato le buone abitudini acquisite in tempi di lockdown, ma si è dedicata sempre più alla ricerca del benessere personale e allo yoga in particolare.
Vestiti, accessori, turismo
In questa fessura sono riusciti a inserirsi con estrema facilità molti brand di abbigliamento per yoga, creando un nuovo bisogno per i loro consumatori: la necessità di possedere e indossare capi che permettessero di eseguire al meglio gli esercizi e di perfezionarne lo stile, grazie alla qualità, flessibilità e comfort dei tessuti e della manifattura.
Lo yoga clothing market valeva quasi 30 miliardi di dollari nel 2024 e circa un terzo di questo ammontare proveniva dal mercato statunitense (il 33,14 per cento). Secondo le stime di Fortune Business Insight, a livello globale il settore arriverà a quasi 32 miliardi a fine 2025, per raggiungere poi i 55,65 miliardi di dollari nel 2032, crescendo a un tasso annuo di crescita composto dell’8,26 per cento.
Lululemon è un esempio di brand che ha cavalcato l’onda del successo dello yoga, soprattutto dopo la pandemia. Il noto marchio di abbigliamento sportivo specializzato in yoga clothing nato a Vancouver nel 2008, ha visto crescere il suo fatturato netto del 10 per cento nel 2024 rispetto all’anno precedente, raggiungendo i 10,6 miliardi di dollari. Le previsioni stimano un net income di 11,2 miliardi di dollari nel 2025 (quasi un +6 per cento rispetto all’anno precedente).
Un altro brand di abbigliamento per lo yoga che ha ottenuto un notevole incremento di profitti è Alo Yoga: tra il 2020 e il 2022 l’azienda è cresciuta di cinque volte in termini di fatturato, arrivando a toccare più di un miliardo di dollari nel 2022.
Ma un praticante attento a tutti i dettagli, in questi tempi moderni, non si accontenta dell’outfit: per completare l’equipaggiamento c’è bisogno anche della giusta attrezzatura. Così, anche il mercato degli accessori per la pratica dello yoga ha goduto della crescita in cordata insieme agli altri business ad esso legati: il Business Research Insights fornisce numeri in crescita anche in questa nicchia di settore, da circa 22,33 miliardi di dollari di valore nel 2024 a 35,67 miliardi di dollari stimati nel 2033 (per un tasso annuo di crescita composto del 5,3 per cento). Il parco accessori yoga va ormai ben oltre il classico tappetino yoga, la cui versione di maggior tendenza oggi è quella in sughero, in quanto ecologico, vegano e sostenibile. Tra i complementi più acquistati ci sono infatti le palle da yoga, i mattoncini, le cinture e i bolsters.
Ultimo, ma non per importanza, è il settore del turismo legato alla pratica, che presenta anch’esso previsioni in crescita in termini di tasso annuo di crescita composto (+5,8 per cento) tra il 2022 e il 2030. Gli yoga retreats sono le nuove forme di fuga dallo stress della vita di tutti i giorni, che prevedono un’esperienza immersiva di qualche giorno o anche periodi più lunghi, tipicamente in luoghi circondati dalla natura e lontani dal caos cittadino, in cui ci si dedica corpo e anima alla pratica dello yoga, a forme di meditazione e a un’alimentazione sana e vegana. Nel 2024 questo business valeva circa 180 miliardi di dollari a livello mondiale e si prevede che raggiunga i circa 257 miliardi di dollari nel 2030.
Se proviamo quindi a ricapitolare e a tirare le somme delle ricchezze mondiali prodotte dai vari segmenti del business dello yoga raccontati sopra, si può affermare che ad oggi (2024) il mondo dello yoga a tutto tondo, a livello globale, valga più di 350 miliardi di dollari. Le stime di crescita da qui a quasi 10 anni (tra il 2030 e il 2034 circa) prevedono che il giro d’affari creato dal mondo yoga supererà i 635 miliardi di dollari, che corrisponde circa a un +80 per cento sul suo attuale valore di mercato.
I benefici per il cervello
La domanda lecita a questo punto è: vale la pena impiegare così tanto tempo e risorse economiche nella pratica dello yoga? Il ritorno sull’investimento è davvero percepibile in termini di un maggior benessere, non solo a livello fisico ma anche psicologico? Se fino a qualche anno fa era difficile dare una risposta per mancanza di prove significative e attendibili, ad oggi possiamo con certezza dire che sì, ne vale la pena. E ce lo dimostrano le scienze, in particolare le neuroscienze.
Negli ultimi vent’anni, proprio grazie alla crescente popolarità dello yoga, la scienza ha iniziato a dedicarsi ad approfondimenti su questa disciplina. Così si è accumulata e stratificata una interessante mole di studi e ricerche, a cui oggi possiamo attingere per avere riscontri affidabili. Per scoprire in che modo la scienza è ad oggi in grado di spiegare e comprovare gli effettivi benefici della pratica, ci siamo rivolti al professor Luca Chittaro, co-fondatore del master in “Meditazione e neuroscienze” all’Università degli Studi di Udine, direttore del laboratorio Human-Computer Interaction Lab di Udine e autore del libro “Neuroscienze dello yoga”. Nell’opera vengono raccontate in modo semplice ed accessibile anche ad un pubblico non specialistico le più innovative scoperte neuroscientifiche su come la pratica dello yoga abbia impatti positivi sul cervello umano.
Un aspetto interessante di alcuni di questi studi è che hanno selezionato come gruppi di controllo non solo chi non pratica yoga, ma anche chi pratica altre forme di esercizio fisico, entrambi messi a confronto con il gruppo di test (chi pratica yoga). Ed è emerso che entrambi i gruppi “attivi” (chi praticava altre attività sportive e chi yoga) miglioravano la gestione del proprio stress ma lo yoga aveva benefici superiori rispetto al normale esercizio fisico. Perché lo yoga praticato bene non è solo esercizio fisico, ma ha una triplice anima, la “triade”: ci sono le āsana (le posture fisiche), il prānāyāma (la respirazione controllata) e il dhyāna (la meditazione). Quali sono dunque le evidenze scientifiche e in che modo entrano in gioco le neuroscienze?
Le neuroscienze sono in grado di analizzare l’anatomia del cervello umano, rilevandone forme e dimensioni delle sue aree più strategiche: principalmente tramite risonanze magnetiche, mantenendo cioè la testa della persona all’interno di macchinari che ne elaborano un “identikit”. Sono anche in grado di studiare come si evolve il cervello umano in seguito all’assegnazione di determinati compiti alle persone in test: sempre tramite risonanza vengono quindi tracciati i cambiamenti sulle zone cerebrali, pre e post pratica o in assenza di pratica.
«Sta emergendo dallo studio delle neuroimmagini, quindi fotografando il cervello dei praticanti e confrontandolo con quello dei non praticanti, la base neurobiologica del perché lo yoga è efficace nella mitigazione dello stress. Ci sono delle aree, tra cui ippocampo, amigdala, corteccia prefrontale sulle quali nel cervello dei praticanti si notano differenze significative rispetto ai non praticanti. Per esempio, nell’amigdala di destra si nota una riduzione di volume, e questo è l’esatto contrario di ciò che fa lo stress: una persona che soffre di stress cronico vede invece aumentare il volume della propria amigdala», spiega Chittaro a TPI.
Anche analizzando i cambiamenti dell’ippocampo si nota un’associazione opposta a quello dello stress e del decadimento cognitivo. «Nel cervello dei praticanti si nota un aumento del volume dell’ippocampo, fenomeno importante in quanto contrario a ciò che accade a chi soffre di stress cronico, nel quale si assiste ad un’atrofia ippocampale che può portare a problemi di memoria e ad esporsi precocemente a demenza senile», specifica il professore.
Una nuova forma di stress cresciuta esponenzialmente negli ultimi vent’anni, che la nostra società si trova ora a combattere, è il “technostress”, ovvero lo stress provocato da un abuso delle tecnologie digitali. «Una delle caratteristiche del technostress, di cui i social media sono una grandissima fonte, è che ci fa perdere i contatti e l’amicizia con il nostro corpo. E lo yoga è una utile strada da percorrere per contrastarlo e per tornare ad abitare il proprio corpo», aggiunge Chittaro. Secondo la Banca Mondiale, l’uso di Internet nella popolazione italiana è infatti cresciuto drasticamente in pochi anni: da meno dell’1 per cento nel 1996 ha raggiunto il 23 per cento nel 2000, il 54 per cento nel 2010, il 70 per cento nel 2020 e l’85 per cento nel 2022. Il sovraccarico di informazioni reperite in Internet, tramite dispositivi mobili e social media, può infatti portare le persone a uno stato di ansia e sopraffazione. Basta pensare a quanto gli stimoli digitali siano cresciuti negli ultimi anni per capire quanto questo fenomeno possa rappresentare un crescente problema psicologico: per fornire un esempio, su Facebook venivano condivisi 684mila contenuti al minuto nel 2013, che in dieci anni sono diventati almeno un milione e 700mila.
Medicina per il dolore
Oltre a giocare un ruolo importante sulla mitigazione dello stress, lo yoga è anche un certificato rimedio per alleviare diverse forme di dolore: le neuroimmagini qui mostrano come la pratica dello yoga sia associata a un aumento del volume dell’insula. Si tratta di una porzione bilaterale della corteccia cerebrale responsabile dell’enterocezione, ossia delle nostre percezioni interne, ad esempio il battito cardiaco, la respirazione, la fame, la nausea e soprattutto il dolore. Come precisa il professor Chittaro, la rilevanza del lavoro dell’insula è una scoperta recente: «Fino agli anni Novanta veniva data minor importanza a questa area, che è invece basilare per la percezione del nostro stato corporeo interno. Non c’è una regione unica del cervello che crea l’esperienza del dolore, ma tre insiemi di strutture cerebrali attivate dal dolore, chiamati “pain matrix”: una che localizza il dolore, una che crea l’esperienza cosciente e la terza che vi elabora sopra le nostre narrazioni e che ha la facoltà di decidere come reagire al dolore e anche modularlo. L’insula gioca un ruolo cruciale soprattutto in queste ultime due: possiamo immaginarcela come una sorta di elaboratore che collega e integra le informazioni legate alle sensazioni interne, anche legate al dolore, con le emozioni e i pensieri». Praticare yoga in modo completo, non quindi come semplice ginnastica per il corpo ma abbracciandone la “triade”, diventa un esercizio per l’insula.
Ma descriviamo meglio il concetto di dolore. In un recente aggiornamento in termini di definizione del dolore, l’Organizzazione mondiale per la Sanità (Oms) e l’Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore hanno aggiunto una serie di considerazioni che danno una visione più ricca, una visione “bio-psico-sociale”. L’esperienza del dolore non è dovuta solo al danno al corpo, cioè al danno biologico, ma all’interazione tra mente, corpo e ambiente. Il docente dell’Università di Unite chiarisce così l’esempio a TPI: «Se di fronte al dolore mi focalizzo su pensieri negativi, il dolore aumenta, secondo quella che viene chiamata la catastrofizzazione del dolore e questa, in verità, è una scoperta antica. Nella tradizione buddista esiste la metafora delle due frecce: se mi colpisce una freccia e mi lacera la carne mi causa un dolore, ma se poi ci costruisco sopra atteggiamenti negativi mi autocolpisco con una seconda freccia».
Chittaro descrive così lo studio più suggestivo sulle relazioni tra yoga e dolore: «Sono stati reclutati due gruppi di persone, uno di praticanti yoga e uno no (ma con caratteristiche demografiche simili), su cui è stato fatto un test di induzione al dolore (quando si accorgevano che sensazioni di caldo o freddo diventavano dolorose). Sulle soglie di dolore non c’erano grosse differenze tra i gruppi, ma nel test di resistenza al dolore i praticanti di yoga riuscivano a resistere più del doppio del tempo e le neuroimmagini evidenziavano in loro un’insula più grande».
«Un’indicazione rivoluzionaria che questi studi hanno davvero dimostrato l’efficacia dello yoga è che negli ultimi anni alcune società mediche di riferimento internazionale hanno inserito la pratica tra i trattamenti non farmacologici suggeriti per l’alleviamento del dolore», aggiunge Chittaro. «La Società Americana dei Reumatologi (ACR) e quella europea (Eular), hanno inserito lo yoga tra le linee guida per la gestione di artrosi, artrite reumatoide e fibromialgia (solo Eular), mentre la Società Americana di Oncologia Clinica (ASCO) lo raccomanda per il dolore successivo ai trattamenti di tumore al seno, testa e collo (per il momento gli studi si sono concentrati di più su queste forme tumorali)».
Come buona regola di vita da applicare ad ogni cosa e come sottolineato anche dal professore di Udine, va specificato che non basta una pratica ogni tanto per raggiungere questi risultati: «Meglio ritagliarsi anche solo 15-20 minuti tutti i giorni che dedicarsi intensamente alla pratica una sola volta a settimana o peggio, una volta ogni tanto», ribadisce Chittaro. Per godere dei suoi effetti benefici, la parola d’ordine è quindi “costanza”.