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Home » Cultura

Perché il greco ci salverà

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Per salvare la cultura classica bisogna rendere popolari il greco e il latino: gli antichisti escano dalla torre d'avorio

Ebbene sì, lo confesso: per più di vent’anni Teleclide è stato in cima ai miei pensieri. Teleclide? Chi era costui? Un tizio assai meno noto di Carneade, a essere onesti. Teleclide era un poeta comico, però, e questo dovrebbe bastare a renderlo simpatico a prescindere, diciamo: anche a chi non lo abbia mai frequentato in vita sua, né intenda farlo in futuro. Dell’intera produzione di Teleclide sono sopravvissuti poco più di settanta frammenti: tessere sparse di un puzzle ricco e articolato andato, purtroppo, in frantumi. Ma le tessere residue sono così significative che per anni mi sono detto che Teleclide avrebbe meritato ogni possibile attenzione.

S&D

Ma davvero qualcuno avrebbe ancora avuto tempo e voglia di farlo? Ebbene, circa un decennio fa, Bernhard Zimmermann, grecista insigne e esperto tra i più grandi al mondo di commedia, si è fatto venire in mente un’idea straordinaria: progettare e realizzare, pezzo dopo pezzo, un’intera collana dedicata al commento di tutti i frammenti superstiti di commedia greca. La serie, ‘Fragmenta Comica’, è in corso: ci vorrà ancora molto perché si completi, ma intanto il progetto si arricchisce di tre, quattro volumi all’anno. Già nel 2013 Teleclide ha trovato la sua ora di gloria: Andrea Bagordo ne ha curato un commento così ben fatto che per molti anni sarà difficile tornarci sopra. E io ho potuto finalmente tirare un gran sospiro di sollievo.

Qualcuno si chiederà come mai fossi così in ansia per Teleclide. Beh, è presto detto. Per realizzare imprese come quella ideata da Zimmermann servono quattrini, intanto. Non i quattrini che servono a finanziare imprese analoghe in altri campi, certo. Un acceleratore di particelle o i macchinari che servono alla ricerca in àmbito biomedico, per fare solo due esempi, costano cifre astronomiche: ben altro denaro rispetto a ciò che serve per tenere in piedi la serie diretta da Zimmermann.

Eppure costano qualcosa anche i ‘Fragmenta Comica’, e neanche pochissimo, tutto sommato. Per partire, l’impresa ha dunque dovuto trovare chi la sostenesse economicamente. Ci ha pensato, e ci pensa tuttora, l’austera Accademia delle Scienze di Heidelberg: un ente di Stato, si badi, che fa parte della complessa rete di accademie che nei vari Länder di Germania affiancano le università nel finanziare attività scientifiche di ogni tipo. Con denaro pubblico.

Ma non è solo questione di quattrini, certo. Perché tu puoi avere la più bella idea del mondo; puoi persino trovare chi te la finanzia, ma poi, per realizzarla, hai bisogno di gente che sia in grado di mettersi al lavoro. Per ‘Fragmenta Comica’ era necessario avere a portata di mano una quantità non indifferente di studiosi e di studiose, prevalentemente giovani, che fossero nelle condizioni di mettere al servizio dell’impresa competenze altamente specialistiche. Per fortuna, si sono trovate anche le risorse umane che servivano. E si sono trovate perché la filologia classica continua tuttora a essere insegnata, nelle università del mondo: con buoni risultati, a quanto pare.

Perché l’affollata schiera di Teleclidi che ancora attendono il loro giorno fausto possa continuare a sperare che quel giorno prima o poi arrivi, è indispensabile che le condizioni che ho appena elencate non smettano di prodursi. Ma perché questo possa darsi, è sempre più urgente che la cosiddetta antichistica (l’insieme, cioè, delle discipline storiche, filologiche, letterarie che si occupano del mondo antico) si scrolli sempre più decisamente di dosso la muffa che la incrosta. Intendiamoci: un po’ di sana muffa filologica serve eccome, se devi pensare a commentare Teleclide. Ma Teleclide è roba da specialisti: in quante mani potrà mai finire un commento ai frammenti di un ignoto comico contemporaneo di Aristofane?

E allora, perché i nostri classici possano aspirare a un futuro che, tra tanto altro, preveda la possibilità di continuare a lavorare a cose del genere, bisogna che i cosiddetti antichisti la smettano di fare gli antichisti. Proprio così. La pagina Facebook degli Editori Laterza ha ospitato, in questi ultimi mesi, alcune puntate di una nuova serie della ‘Lezioni di storia’. Titolo della serie: ‘Antichista sarà lei!’. Giusto Traina, ideatore dell’iniziativa, ha proposto una serie di dialoghi a metà tra il serio e il faceto su temi particolarmente caldi. Ospiti delle puntate, colleghe e colleghi di varia provenienza e formazione. Denominatore comune, il futuro degli studi classici. Inutile aggiungere altro: le registrazioni delle puntate sono liberamente disponibili in rete.

L’atteggiamento è, credo, quello giusto: la cosiddetta ‘cancel culture’ è destinata a spazzar via greci e romani dalla faccia della terra? Ma no, suvvia, non esageriamo. E chi tira fuori la storia che la cultura classica può essere veicolo di valori ambigui, se non proprio pericolosi, darà anche fastidio ai classicisti con la toga, però magari un pizzico di ragione la ha: vedere l’intervista a Igiaba Scego.

La storia antica si può trasmettere solo a colpi di manuali? Mica vero: qualcuno la racconta (benissimo) coi fumetti. L’archeologia è solo polvere e teche di museo? Proprio no. Persino i papiri possono raccontare storie avventurose, ricche di fascino anche per i non specialisti. E così via: guardare, e ascoltare, per credere. Ora, Giusto Traina è un signore che, quando vuole, può scrivere cose buone solo per gli specialisti: da ultimo, una ponderosa Storia degli Armeni scritta a quattro mani con Aldo Ferrari per il Mulino.

Ma poi, quando gli gira, tira fuori cose come “La storia speciale”. Perché non possiamo fare a meno degli antichi Romani: un libro, edito per Laterza giusto un anno fa, che parla tanto allo specialista quanto a chi si imbatta nei Romani per la prima volta in vita sua. È insomma una questione di atteggiamento mentale. Il punto è proprio questo: se vogliamo continuare a fare il nostro lavoro di antichisti (absit iniuria), l’antico dobbiamo imparare a comunicarlo. E a farlo con gioia, con entusiasmo. Ma anche con una certa dose di leggerezza, di spirito. E magari con un pizzico di sano distacco: con un briciolo di ironia, ecco. Con mente aperta, soprattutto. E con il desiderio di parlare di noi a chi non ci conosce: e quando dico ‘di noi’ intendo dire dei nostri studi e di ciò che, nei nostri studi, ci affascina, ci appassiona.

Se Mecenate evitava di arricciare il naso con Orazio, nonostante le sue umili origini (Orazio gliene era grato: per interesse, certo, ma a buona ragione), perché mai il naso dovremmo arricciarlo noi antichisti (oddio, di nuovo!)? Se non si capisce questo, il greco e il latino rischieranno davvero di estinguersi. O di sopravvivere, magari, solo nel chiuso di qualche riserva indiana: i dipartimenti di antichistica che riusciranno a evitare la chiusura. Da qui a qualche decennio potrebbero non essere molti.

La sindrome della torre d’avorio; la querimonia sui bei tempi andati; i panni curiali; il naso adunco (Orazio, Orazio!); le paternali, la retorica dei valori, condanneranno il greco e il latino all’estinzione. Oppure capiremo che libri intelligenti come quelli di Nicola Gardini (“Viva il latino!”, fortunatissimo; e adesso “Viva il greco”, al quale è facile pronosticare identica fortuna), anche se non provengono da uno ‘specialista’, valgono quanto il Teleclide di Andrea Bagordo. Servono a cose diverse: questo è tutto. Ma chi non lo capisca, condannerà all’oblio i mille Teleclidi che ancora aspettano di essere serviti come si deve dai filologi. È questo che vogliamo? Io no.

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