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L’ambulatorio del sottosuolo di Luigi Gallo, storie e vicende umane in uno studio dentistico

Immagine di copertina

Per quanto i casi in cui vi si rischia la vita siano un numero trascurabile, lo studio del dentista, nell’immaginario collettivo, è tra i luoghi della medicina che incutono più paura. Nella letteratura e nei media, il dentista è spesso e volentieri collegato proprio a questa sensazione: dal protagonista di The Dentist che, dopo il tradimento da parte della moglie, inizia in preda a un delirio vendicativo a compiere trattamenti sempre più invasivi che arrivano a mutilazioni gratuite sui propri pazienti, fino alla celebre scena del film Marathon Man in cui il personaggio interpretato da Dustin Hoffman viene torturato proprio da un dentista. Eccezione degna di nota: Django, di Quentin Tarantino, dove il personaggio interpretato da Christoph Waltz è un insolito dentista itinerante, con tanto di molare gigante montato sul tetto della carrozza, che gira per il sud degli Stati Uniti a caccia di taglie e liberando schiavi afroamericani.

C’è sicuramente anche un tentativo di cambiare questa prospettiva dietro il libro “Memorie di un ambulatorio nel sottosuolo”, opera di Luigi Gallo: l’autore, oltre a essere uno scrittore e un grande cultore della filosofia, è infatti un dentista che, provvisoriamente messi da parte trapano e spatola e impugnata la penna, ha messo nero su bianco una serie di racconti accomunati dallo svolgersi tutti quanti in studi e ambulatori dentistici.

Nei racconti, non autobiografici (il sottotitolo dell’opera è “memoir immaginario”) ma in cui l’esperienza umana e professionale dell’autore ha contribuito a fornire l’ispirazione, tra episodi ai limiti del surreale e luoghi diversi l’anatomia della dentatura e del cavo orale, il principale panorama di chi pratica la professione odontoiatrica, prendono forme diverse, apparentemente impensabili per chi il punto di vista di un ambulatorio lo vede solo dal lato del paziente. Agli occhi del dentista, un molare solitario diventa una specie di scultura di sale, la bocca, in tutta la sua profondità, prende la forma di una caverna, i movimenti con cui sapientemente mette mano a carie e protesi seguono logiche, meccanismi ed accortezze di cui mentre siamo sdraiati in poltrona non ci accorgiamo minimamente, distratti come siamo dagli interrogativi su quale sia la causa del nostro mal di denti o su come riusciremo a sopportare il dolore per quell’intervento che tutti hanno fatto ma ci fa comunque paura.

Il memoir immaginario spazia tra tanti racconti, tra il comune e il grottesco ma che altro non sono che storie di tutti i giorni, di uno spaccato sociale che va dal ragazzino punk al paziente che ha preferito risparmiare con una protesi non all’altezza, da un travestito che batte lungo le Mura Aureliane a San Saba a un obeso che chiede gli venga installata una museruola per smettere di mangiare, fino addirittura a un boss mafioso che, per ricevere le cure dentarie, porta nel suo bunker in località segreta un dentista che si era ridotto sul lastrico. Il dentista, infatti, ovunque operi si trova di fronte un’umanità varia che copre innumerevoli tipologie di persone e permette così all’autore di raccontare sapientemente vite, episodi, spaccati e immagini più disparati, a volte estremamente comuni, altre totalmente surreali, accomunati da avere per protagonista qualcuno che, a un certo punto per una qualche ragione, si è trovato in un ambulatorio dentistico. E’ forse questo uno dei messaggi che ci arriva: si può essere la persona più in vista o qualcuno ai margini della società, ma quando siamo con la bocca aperta nello studio del dentista, coi nervi saldi o piegati dalle paure più irrazionali, siamo tutti uguali.

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