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“Borsellino stava indagando su chi ostacolò Falcone”: l’ultima notte del giudice raccontata in un nuovo libro

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Credit: Cristiano Laruffa / AGF / Edizioni San Paolo

Il giudice David Monti incontrò Borsellino la sera del 18 luglio 1992. Meno di 24 ore dopo verrà ucciso in via D’Amelio. Il ricercatore palermitano e studioso di criminalità mafiosa Vincenzo Ceruso racconta l’incontro, con la testimonianza di Monti, nel suo nuovo libro “Paolo Borsellino. La toga, la fede, il coraggio”. TPI pubblica un estratto dell’opera

Parlare di Paolo Borsellino come di uno degli eroi della lotta alla mafia gli fa onore, ma rischia di mettere in ombra la singolare statura professionale, umana e spirituale di questo testimone, allo stesso tempo, del coraggio civico e di una fede profonda e vissuta con totale coerenza. Anche grazie a documenti inediti e a interviste con testimoni qualificati, con il suo nuovo libro “Paolo Borsellino. La toga, la fede, il coraggio” (Edizioni San Paolo), Vincenzo Ceruso mostra come il movente ultimo dell’uccisione di Borsellino sia da ricercare nelle sue indaginisul territorio e nell’individuazione delle alleanze e delle complicità che Cosa nostra aveva intessuto con la borghesia mafiosa e con la grande imprenditoria siciliana e nazionale. Alleanze e complicità che erano anche al centro delle investigazioni di Giovanni Falcone e che ne avevano causato la morte.

Ma la lettura delle azioni e delle parole di Borsellino durante l’ultimo periodo della sua vita porta a legare il movente della sua uccisione anche alla religiosità del magistrato: egli viene ucciso perché è un cristiano che vive nella storia quella fede su cui ha intessuto la sua esistenza. Di seguito un estratto del libro “Paolo Borsellino. La toga, la fede, il coraggio”:

“Ci sto arrivando dalla provincia”. Paolo Borsellino pronuncia questa frase la sera del 18 luglio 1992. Meno di 24 ore dopo verrà ucciso in via D’Amelio da una carica di esplosivo, insieme a cinque degli agenti della sua scorta. Il testimone che ho ascoltato è l’ultimo magistrato ad averlo visto prima del suo assassinio. Si chiama David Monti, ed è tutt’altro che uno sprovveduto, come avrà ampiamente modo di dimostrare nel corso della sua carriera. Tra le sue esperienze vi è quella di sostituto procuratore della Repubblica al Tribunale di Biella, dove ha svolto importanti indagini in tema di criminalità organizzata di stampo ndranghetista e traffico internazionale di droga, con svolgimento di rogatorie estere, culminate in processi e condanne definitive. In questo campo ha svolto missioni in Spagna e ha avuto modo di collaborare con il celebre Capitano Ultimo, per la cattura di latitanti.

Il dottor Monti, che il 18 luglio 1992 si trova di passaggio a Palermo durante le ferie, è stato ascoltato nel primo dei processi sulla strage, nel 1995, quando ha rilasciato una testimonianza estremamente particolareggiata: “Telefonai a Borsellino la mattina e lo trovai in tribunale. Una volta giunto a Palermo, a metà pomeriggio lo chiamai dall’albergo; mi disse che sarebbe passato verso le 20 nella hall dell’albergo Astoria”. I due rimangono insieme circa un’ora, durante la quale parlano di diversi argomenti: “Mi disse che la madre abitava lì vicino e che doveva passare a trovarla. Manifestai l’intenzione di recarmi l’indomani alla tomba di Giovanni Falcone e disse che mi avrebbe chiamato, ma non ricevetti telefonate”. Borsellino si fida di quel giovane collega che ha conosciuto da poco tempo e si apre con lui, manifestandogli le sue angosce più profonde: “Mi parlò della figlia più piccola. Si sentiva in colpa di averla lasciata partire, perché non era sicuro che l’avrebbe rivista quando lei sarebbe tornata”.

Durante la conversazione Borsellino torna più volte sul tema che gli sta a cuore, cioè l’uccisione del suo amico Giovanni Falcone: “Mi parlò della situazione della Procura palermitana. Si parlava dell’eccidio di Giovanni Falcone e delle sue idee su questo eccidio. Sicuramente diceva che Giovanni Falcone era stato lasciato prepotentemente solo, isolato nell’ufficio del Procuratore Giammanco. Era sua ferma opinione avesse appoggiato la candidatura sulla base di una promessa, ma che alla fine era stato isolato, tanto che per l’esasperazione andò via”. Da quel che riferisce il dottor Monti, è evidente che Borsellino torna più volte sul tema dell’isolamento dell’amico nella Procura palermitana: “Era stato completamente isolato nell’ufficio, tanto che per l’esasperazione era andato via. Mi disse che lui aveva un carattere diverso e tendeva a crearsi un suo spazio autonomo. I contrasti erano molto forti. C’era una spaccatura verticale, dovuta alla gestione del capo dell’ufficio. Mi disse che Falcone era stato prepotentemente emarginato nell’attività dell’ufficio”. I due parlano delle indagini che il giudice sta conducendo e dei viaggi in Germania, dove Borsellino ascoltava alcuni collaboratori di giustizia della provincia agrigentina: “Mi disse che riteneva molto importanti le indagini che svolgeva in provincia, perché aveva fondati motivi per ritenere che da lì sarebbe risalito ai mandanti e agli esecutori dell’omicidio Falcone. Lui disse che riteneva questo ambito di indagini molto importante per la sua attività. Credo che si stesse occupando dell’omicidio Livatino”.

Le parole di Paolo Borsellino sono state di certo troppo trascurate in questi decenni, eppure non sono suscettibili di interpretazioni: “Da lì sarebbe risalito ai mandanti e agli esecutori dell’omicidio Falcone”. L’accenno finale all’assassinio del giudice Rosario Livatino, così come il riferimento precedente al viaggio in Germania, non sembrano lasciare spazio a dubbi. La provincia a cui Borsellino si riferisce è quella di Agrigento, su cui egli ha le deleghe per coordinare le indagini sul fronte della criminalità mafiosa, insieme a quelle nella confinante provincia di Trapani. Il pentito Leonardo Messina, che il magistrato interroga a lungo nel luglio del ’92, dirà: “A lui interessava la provincia di Agrigento”.

Torniamo a quanto racconta David Monti nella sua testimonianza del 1995. Mentre sta per essere congedato, egli sente qualcosa che viene detto da chi lo ha ascoltato, forse uno dei magistrati o uno degli avvocati presenti, e aggiunge un altro particolare non secondario a quanto ha ascoltato quella sera di luglio di due anni prima: “Sì, ho sentito. Anche del maresciallo Guazzelli”. Giuliano Guazzelli era stato assassinato nella primavera del ’92, tra il delitto Lima e la strage di Capaci. Dunque, Borsellino fa riferimento nelle sue indagini a ben due delitti eccellenti compiuti nella provincia di Agrigento e lo fa mentre parla dell’assassinio di Giovanni Falcone.

Nel corso del tempo torno più volte su questa deposizione del dottor Monti, finché, nel novembre del 2024, tento di contattarlo. Il magistrato mi risponde su Messenger e, dopo qualche giorno, mi fornisce il suo numero per chiamarlo. Ho poche domande per lui, che si riferiscono ad alcuni passaggi del suo racconto: “Lei ha riferito dettagliatamente del suo incontro con Paolo Borsellino alla vigilia della strage, ma le vorrei chiedere di approfondire alcuni passaggi, compatibilmente con il tempo trascorso. So che le parlò del suo viaggio in Germania, le disse qualcosa sulle sue indagini?”.

“Parlammo dell’attentato di Capaci e lui mi disse: “Ci sto arrivando dalla provincia”. “Usò proprio questa espressione?”. “Sì”. “Nella sua testimonianza ha dichiarato che Borsellino le parlò delle sue indagini sulla strage di Capaci e poi della situazione alla Procura di Palermo”. “Mi disse di questi ostacoli che aveva incontrato Falcone”. “La provincia poteva essere quella di Agrigento?” “Infatti, mi pare che indagasse sulla morte del maresciallo Guazzelli, sugli appalti…”. “Nella sua deposizione lei fece proprio il nome del maresciallo Guazzelli, insieme a quello del giudice Livatino”. “Non ricordavo di aver fatto questi nomi, ma li confermo”. “Volevo capire il modo con cui Borsellino le disse alcune cose. Parlate della strage di Capaci e a un certo punto lui inizia a parlare della situazione della procura di Palermo? Glielo chiedo perché sono argomenti differenti. Gliene parlò come se ci fosse un legame, senza soluzione di continuità?”. “Esattamente. E mi disse che Falcone era stato fortemente ostacolato dal procuratore Giammanco”. “Ma il ragionamento era solo su Falcone oppure questa condizione riguardava anche lui?”. “La mia sensazione fu che riguardasse anche lui, che veniva ostacolato nello svolgere queste indagini”.

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