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La variante Delta fa paura, ma il vaccino regge: ecco tutte le evidenze scientifiche

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** Questo articolo è stato scritto con la collaborazione di Marco Gerdol, ricercatore presso l’Università di Trieste e genetista.

In una precedente puntata della rubrica “Parole chiare in medicina”, abbiamo parlato delle varianti del virus SARS COV 2. In quell’occasione, ci eravamo concentrati sulle quattro varianti che costituiscono fonte di preoccupazione: inglese, sudafricana, brasiliana e indiana. Da allora alcune cose sono cambiate. E quindi è giusto dare tutti gli aggiornamenti del caso. Anzitutto, alle varianti è stato modificato il nome dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: ora si chiamano alfa (ex inglese), beta (ex sudafricana), gamma (ex brasiliana) e Delta (ex indiana). Ma ovviamente non è questo il punto. Il punto è che la variante Delta (o indiana, o, per usare la notazione scientifica, variante B.1.617.2, chiamatela come volete!) è esplosa nel Regno Unito.

Già al momento della stesura del precedente articolo (4/6/2021), avevamo segnalato che stava crescendo in diffusione in alcune aree del Paese. Oggi, a distanza di tre settimane, è diventata largamente predominante, soppiantando del tutto la variante alfa. Non solo. Con la crescita della variante Delta, in Inghilterra, i contagi, che dai picchi dell’inverno erano scesi drasticamente fino a maggio in virtù di vaccinazioni e lock down, hanno ripreso a crescere esponenzialmente.

Nello specifico, si è passati dai 3.800 contagi del 27/5/2021 agli oltre 18.000 attuali. I contagi sono cioè sestuplicati nell’arco di un mese. E questo è avvenuto in una Nazione che può vantare una delle campagne di vaccinazioni più estensive di Europa. La notizia ovviamente ha destato allarme. Ci si è chiesti: cosa ha di diverso questa variante rispetto alle altre? Quanto è più contagiosa o letale delle altre? Riesce a sfuggire del tutto ai vaccini? Ha senso continuare a vaccinare con i vaccini che abbiamo nel momento in cui la variante Delta si sta diffondendo anche fuori dal Regno Unito, vedi Portogallo, Australia o Russia? Proveremo a rispondere a tutte queste domande, sulla base delle evidenze scientifiche oggi disponibili (se emergessero dati nuovi in futuro, ovviamente vi aggiorneremo in modo tempestivo).

Quanto è contagiosa la variante Delta?

La variante Delta è emersa per la prima volta a fine 2020 nel subcontinente indiano, e nella seconda metà di marzo è stata individuata per la prima volta nel Regno Unito. Si è diffusa rapidamente in quel Paese e oggi sappiamo che è estremamente contagiosa. Dai dati di tracciamento a disposizione, in particolare, è possibile stimare un incremento della trasmissibilità del 40-50 per cento rispetto alla variante alfa, che a sua volta era più contagiosa del ceppo originario nell’ordine del 43-90 per cento.

Ricordate chi durante l’estate scorsa sosteneva che il virus si fosse indebolito? Ecco il virus non si è mai – ribadiamo mai-indebolito: anzi, la selezione naturale ha portato all’emergenza di varianti via via più contagiose del ceppo originario di Wuhan. Ergo, diffidate completamente da tutti i cosiddetti “esperti ottimisti” (di fronte ad un virus, non ha senso né essere ottimisti, né essere pessimisti: l’unica cosa che ha senso è essere realisti e seguire le evidenze scientifiche).

Il motivo per cui la variante Delta sia così contagiosa non è chiaro. Una specifica mutazione, chiamata P681R, a carico della famosa proteina di legame spike, potrebbe determinare una maggiore capacità della variante Delta di infettare le cellule umane. Altre mutazioni potrebbero invece avere un impatto sulle proprietà immunogeniche della stessa proteina spike, aumentando la capacità di Delta di sfuggire agli anticorpi, capacità che le permetterebbe così di reinfettare facilmente persone che hanno già avuto il Covid.

Più probabilmente entrambi questi fattori contribuiscono a rendere la trasmissibilità della variante Delta paurosamente più alta del ceppo originario del virus. A fronte di questa, bruttissima notizia, va comunque segnalata una cosa buona: ad oggi non ci sono evidenze che Delta sia più letale delle altre varianti.

Delta sfugge ai vaccini?

A partire dalla verosimile capacità immunoevasiva di Delta, qualcuno ha ipotizzato che “buchi i vaccini”. Ecco chiariamo subito: le cose non stanno così. Come già accennato nel precedente articolo, si accumulano evidenze convincenti che se è vero che Delta sfugge facilmente a una singola dose di vaccino, non riesce a sfuggire alla doppia dose.

In particolare, secondo uno studio del Public Health England (Servizio Sanitario Inglese), recentemente discusso in un editoriale pubblicato su Nature, nel periodo di osservazione 5 aprile-16 maggio 2021, nel contesto inglese, il vaccino Pfizer a ciclo completo proteggeva nell’ordine dell’88 per cento rispetto alle infezioni sintomatiche da variante Delta a fronte del 93 per cento di protezione offerto rispetto alle infezioni sintomatiche da variante alfa, mentre per quanto riguarda Astra Zeneca la protezione era del 60 per cento rispetto a Delta a fronte di un 66 per cento rispetto ad alfa. Dopo una sola dose, però le cose cambiano: entrambi i vaccini proteggono rispetto a Delta nella misura del 33 per cento, mentre offrono una protezione rispetto ad alfa del 50 per cento.

Insomma, questo studio ci dice alcune cose molto interessanti:
1) tutti e due i vaccini sono efficaci a ciclo completo rispetto a Delta, seppure ad un livello lievemente inferiore rispetto ad alfa;
2) a ciclo completo, Pfizer ha un’efficacia maggiore di AstraZeneca per quanto riguarda la prevenzione delle infezioni sintomatiche (ma questo non risulta vero per le ospedalizzazioni e le morti, rispetto a cui i due vaccini hanno un’efficacia sovrapponibile), mentre dopo una sola dose entrambi i vaccini risultano scarsamente efficaci rispetto a Delta.

Oltre questo studio, altri dati epidemiologici ci suggeriscono indirettamente una efficacia dei vaccini a ciclo vaccinale completo rispetto a Delta.

Primo dato: nel contesto inglese, la variante Delta si è diffusa principalmente tra i giovani, meno vaccinati, e molto meno negli anziani, più vaccinati.

Seconda evidenza: a fronte di una crescita esponenziale dei contagi, a distanza di oltre un mese dall’esplosione della variante, non si è assistito ad un’analoga crescita dei morti. Vale a dire: con Delta ci si infetta di più, ma se si è vaccinati a ciclo completo non si muore di più di Covid.

Terzo punto: se si fa il confronto tra Russia e Regno Unito, ci si accorge di una cosa. In entrambi i Paesi, a causa di Delta, si è assistito ad un’esplosione dei contagi, ma mentre in Russia, dove il livello di vaccinazione è nettamente inferiore, all’esplosione dei contagi è seguita poi la crescita anche dei morti, ciò non è fino a questo momento avvenuto nel Regno Unito.

In conclusione, se ci si vaccina con due dosi, il rischio di infettarsi con Delta rimane basso. E se ci si infetta, difficilmente ci si ammala in modo serio. Quindi: non è vero che Delta buca i vaccini.

Cosa fare ora?

Per evitare che Delta esploda, bisogna vaccinare il maggior numero di persone possibili con due dosi. Come molti di noi esperti avevano previsto, la scelta del Regno Unito di vaccinare tante persone con una dose sola ritardando il richiamo è stata una scelta poca sensata, che ha verosimilmente favorito la diffusione della variante Delta. In generale, vale la regola: in una campagna di vaccinazione, non si può lasciare spazio alle improvvisazioni.

Prima di fare una cosa, bisogna dimostrarne l’adeguatezza attraverso studi scientifici appropriati, in assenza dei quali non si è autorizzati a fare nulla. Vale per il ritardo tra la prima e la seconda dose (scelta che si è rivelata poco felice nel Regno Unito e che per fortuna noi in Italia non abbiamo fatto), vale per la vaccinazione eterologa (cioè prima dose con un vaccino e seconda dose con un altro: in linea di principio, può avere un senso, non c’è motivo di pensare che non funzioni, ma i dati di efficacia e sicurezza di questa strategia cominciano a comparire solo ora e restano comunque assolutamente carenti per permetterne sin d’ora l’applicazione su larga scala).

In Italia, per fortuna, ad oggi gli effetti di Delta sui contagi non si vedono, probabilmente perché da noi è arrivata molto dopo, quando il livello di vaccinazione completo era molto più alto di quella che si registrava nel Regno Unito quando è apparsa la prima volta. Ma non possiamo permetterci di abbassare la guardia altrimenti potremmo pagarla a caro prezzo. Il recente focolaio a Maiorca con 850 ragazzi contagiati è un monito da non sottovalutare.

Quindi, che fare?
1) Vaccinare sempre di più, garantendo a quante più persone possibile il completamento del ciclo vaccinale, rispettando i tempi tra prima e seconda dose previsti dai protocolli. A questo proposito, si ribadisce quanto già detto: bisogna valutare il rapporto costo/beneficio dei vaccini in funzione della situazione epidemiologica: se non ha senso somministrare AstraZeneca sotto i 40 anni in presenza di una media circolazione virale e non ha senso somministrarla sotto i 60 anni in presenza di una bassa circolazione virale, il rapporto costo/beneficio di AstraZeneca diventa favorevole per tutte, si ribadisce tutte, le fasce di età, se il virus dovesse tornare a circolare paurosamente e se con Pfizer e Moderna non riuscissimo a vaccinare tutti.

2) Tracciare e sequenziare il più possibile: se esplode un focolaio è necessario intervenire tempestivamente con chiusure mirate, prima che sia troppo tardi. Per inciso: ci sono segnalazioni relativamente all’emergenza di una nuova variante, già soprannominata Delta plus, comparsa in modo indipendente in Europa e in California, caratterizzata da una specifica mutazione in posizione 417 della proteina spike (mutazione che è condivisa anche dalle varianti beta e gamma), che aumenterebbe la capacità immunoevasiva rispetto alla stessa Delta; non si hanno comunque dati sufficienti per pronunciarsi in modo definitivo su questa variante emergente, che resta sotto monitoraggio. Insomma, il messaggio è: bisogna tenere sotto controllo le mutazioni del virus e appena emergono varianti nuove bisogna studiarle e monitorarne la diffusione, prima che facciano danni difficilmente riparabili.

3) Non abbassare la guardia e non allentare le misure di sicurezza davanti a numeri apparentemente rassicuranti: mascherine ogni qualvolta si creino possibili assembramenti (sia al chiuso che all’aperto), igiene delle mani eccetera. Il caldo forse ci può dare una mano, ma tutti i dati ci dicono che il virus SARS COV 2 non è l’influenza: non è un virus stagionale e può fare danni anche in estate. Quindi occhio. Non ne siamo fuori, anche se i vaccini ci lasciano intravedere l’uscita dal tunnel.

*** Questo articolo fa parte della rubrica di TPI “Parole chiare in medicina” tenuta dal medico neurologo dell’INRCA (Istituto Nazionale di Ricovero e Cura dell’Anziano) Leonardo Biscetti. Apparentemente sul Covid gli scienziati dicono tutto e il contrario di tutto. Vi faremo capire che la scienza non è un’opinione. Vi spiegheremo i dati e gli studi più recenti sulla pandemia. E non solo.

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