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L’ospedale lo dimette due volte, si suicida il giorno dopo. I genitori: “Era paziente psichiatrico, dovevano salvarlo”

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I genitori ne chiedevano il ricovero immediato in psichiatria e un Tso, ma i medici dell’ospedale San Carlo di Milano lo hanno dimesso due volte in poche ore dal pronto soccorso: il giorno dopo il giovane, figlio della coppia, ha tentato di suicidarsi, morendo dopo un coma durato dieci giorni.

Ora la madre e il padre vogliono vederci chiaro, e hanno presentato una denuncia contro i sanitari che avrebbero – a loro modo di vedere – visitato soltanto superficialmente il ragazzo, sottovalutando la sua condizione. Contestano la “totale assenza di diligenza, prudenza e perizia nell’esercizio della professione medica”, ritenendo che i medici avessero “il dovere giuridico di curare il ragazzo”.

La dinamica è contenuta nella querela depositata in Procura, i fatti risalgono alla notte del 20 marzo 2022: la coppia trovò il figlio “particolarmente alterato, aggressivo, fuori controllo”, al punto da brandire un coltello per minacciarli. Portato in pronto soccorso con l’aiuto dei carabinieri, il giovane vi faceva accesso in codice verde: all’accettazione viene descritto come “tranquillo”, il medico nell’esame obiettivo scrive “paziente lucido, vigile, collaborante, ben orientato”.

Dopo 30 minuti il ragazzo viene dimesso dopo la somministrazione di un medicinale a base di benzodiazepine. Per la famiglia però sono “tutti dati svincolati dalla realtà”, e poco dopo lo riaccompagnano in ospedale, ribadendo ai medici “la gravità di quanto successo a casa” e il “terrore per il concreto rischio di atti autolesionistici e suicidari”.

Il medico “ricoverava il paziente comunicando fin da subito di presentarsi a riprenderselo alle 8 della mattina dopo”. Intanto la coppia cerca una nuova struttura che potesse accogliere il ragazzo, ma i tempi di attesa sono lunghi. Dopo le seconde dimissioni, il suicidio. “Se i medici avessero preso seriamente in considerazione la gravità lampante delle situazione e i nostri tentativi di convincerli per un ricovero – scrivono i genitori – oggi lui sarebbe ancora vivo”.

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