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Home » Cronaca

“Dopo il lockdown boom di giovani depressi, mi dicono ‘Sono solo, non valgo niente'”

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Intervista sui suicidi fra studenti al prof. Stefano Vicari del Bambin Gesù

Il professor Stefano Vicari è primario di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza al Bambin Gesù di Roma, l’ospedale pediatrico più grande d’Europa.

S&D

Professore, ci conferma che i casi di suicidio fra i giovani sono in aumento?
«Lo dicono i numeri. Negli ultimi dieci anni c’è stato un incremento costante, ma dopo i lockdown pandemici abbiamo visto una vera e propria impennata: un’onda lunga che sta continuando tutt’ora».

Qualche dato?
«Prima della pandemia disturbi come ansia e depressione riguardavano circa il 10 per cento di bambini e adolescenti. Durante il Covid e nel post-Covid si è saliti a più del 20 per cento».

Ha citato ansia e depressione. I suicidi derivano sempre da lì?
«I nostri dati dicono che nell’83 per cento dei casi c’è dietro un disturbo depressivo. I disturbi mentali non riguardano solo il mondo degli adulti, ma anche, anzi direi ormai soprattutto, il mondo degli adolescenti e persino dei bambini. È così in tutto il mondo, specialmente nel mondo occidentale».

Che tipi di situazioni vi trovate a gestire al Bambin Gesù?
«Parlando di suicidi, al nostro pronto soccorso arrivano richieste d’accesso principalmente per ideazione di suicidio o tentativo di suicidio».

Cosa intende per ideazione di suicidio?
«L’ideazione di suicidio non è quando si dice “Quasi quasi m’ammazzo”, un pensiero che quasi tutti gli adolescenti fanno almeno una volta nella vita, ma è quando il ragazzino mette in atto una vera e propria programmazione: va in farmacia a comprare i farmaci da ingerire, oppure va a vedere il ponte da cui gettarsi, o compra la corda da usare per impiccarsi. Il tentativo di suicidio, invece, è quando il ragazzo ingerisce venti pillole di tachipirina, ma poi chiede aiuto perché si spaventa, oppure i genitori si accorgono che il figlio sta male e lo portano in ospedale in tempo per salvargli la vita».

Perché c’è questo aumento? I giovani di oggi sono più fragili?
«Il primo fattore di rischio per la malattia mentale è la genetica: chi ha un parente di primo grado con un disturbo bipolare ha molte più probabilità di soffrire di un disturbo mentale rispetto alla popolazione generale. Poi subentrano i fattori ambientali, che possono agire da protettori o, al contrario, aumentano il rischio». 

Ad esempio?
«Un fattore di protezione è crescere in una famiglia in cui si è voluti bene e si è educati e gestire le proprie emozioni. Un fattore di rischio si ha quando un genitore fatica a dare delle regole e a far riconoscere le emozioni al proprio figlio. Lo stile educativo può modulare il rischio biologico. Immagini la famiglia e la scuola quale ruolo giocano in questo senso».

Altri fattori che influiscono?
«L’uso delle sostanze stupefacenti. Negli ultimi dieci anni il contatto fra bambini e cannabinoidi si è anticipato notevolmente: ormai avviene in prima media. Oggi ragazzi si fanno tre o quattro canne al giorno continuativamente. In più ci metta l’alcol e gli ansiolitici». 

Perché così tanti suicidi nell’ambiente universitario?
«Molto dipende dalla struttura psicologica del ragazzo. Una prestazione scolastica, così come l’incertezza economica, la violenza in generale, una delusione amorosa, la morte di una persona cara, ma anche la pandemia e la guerra, sono tutti fattori di stress che non determinano ma possono scatenare disturbi psicologici». 

Quali sono le frasi ricorrenti che sente dire quando parla con i ragazzi?
«“Sono solo”, “non valgo niente”, “sono una merda”, “non voglio vivere perché non vale la pena vivere”. Sono ragazzi vuoti di emozioni. Ma il quadro è vario: ci sono anche vittime di bullismo, c’è chi lo fa per emulazione, o per esibizionismo».

Cosa si può fare per contrastare questo disagio?
«Sa, una volta c’erano spazi di aggregazione, oggi ce n’è sempre meno. Io sono degli anni Sessanta: ai miei tempi i genitori ci dovevano rincorrere per farci rientrare a casa, oggi ci sono madri che mi dicono “Mi figlio devo cacciarlo di casa perché sta sempre in camera sua davanti al computer, non vive occasioni di socializzazione”. Ma è fondamentale che gli adulti che circondano i ragazzi ci siano. E stiano con gli occhi aperti. Gli insegnanti, gli educatori e soprattutto i genitori. I genitori devono si riappropriarsi del proprio ruolo. E riflettere sul fatto che fare un figlio significa anche occuparsi delle regole che gli vanno date e della presenza che bisogna garantirgli».

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