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I Savoia rivogliono i gioielli della corona custoditi dalla Banca d’Italia: “Appartengono a noi”

Immagine di copertina
Credit: EPA/JEAN-PAUL PELISSIER / POOL

I Savoia rivogliono i gioielli della corona custoditi dalla Banca d’Italia: “Appartengono a noi”

Un tesoro di oltre 6.700 brillanti e circa 2.000 perle, custodito dalla banca centrale da quando l’ultimo re d’Italia fu costretto a lasciare il paese. Più di 75 anni dopo, i gioielli della Corona potrebbero finire al centro di una disputa tra lo Stato italiano e la famiglia Savoia, che ne ha chiesto la restituzione in un incontro con i rappresentanti della Banca d’Italia, della presidenza del Consiglio e del ministero dell’Economia.

Secondo quanto riporta Il Corriere della Sera, si tratta della prima richiesta formale riguardante i gioielli, il cui valore è ancora considerato incerto, con stime che oscillano da 300 milioni di euro fino a pochi milioni.

A seguito del referendum che nel 1946 ha sancito il passaggio alla repubblica, il tesoro era stato escluso dalla confisca che ha interessato il resto del patrimonio dell’ex re d’Italia, delle sue consorti e dei suoi discendenti, costretti all’esilio dopo il sostegno al regime di Benito Mussolini.

Per questa ragione gli eredi di Umberto II sperano di poter rientrare in possesso dei gioielli, come già chiesto tramite una raccomandata inviata il 29 novembre scorso alla Banca D’Italia, alla presidenza del Consiglio e al ministero dell’Economia. “La restituzione non può essere accolta, tenuto conto delle responsabilità del depositario”, aveva replicato la Banca d’Italia dopo un solo giorno. Oggi invece si è tenuto il primo incontro della mediazione, convocato dal mediatore Giovanne De Luca, a cui hanno preso parte il legale Sergio Orlandi e i rappresentanti delle tre istituzioni. Secondo il quotidiano milanese, nel caso questa dovesse fallire, gli eredi di Umberto II (Vittorio Emanuele, Maria Gabriella, Maria Pia e Maria Beatrice), intendono citare in giudizio lo Stato.

Già nel 2007 la famiglia tentò di chiedere un risarcimento per l’esilio pari a circa 260 milioni di euro, prima di riconoscere la richiesta come inopportuna.

I discendenti del “re di maggio” Umberto II sono potuti rientrare in Italia nel 2003, dopo l’abrogazione delle disposizioni nella XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione che ne sancivano l’esilio.

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