Ecco perché a Roma il traffico è da sempre nel caos
Il Comune di Roma sperava di poter aprire le due stazioni della metro C Porta Metronia e Colosseo nella primavera di quest’anno. Circa un anno fa, tuttavia, ha annunciato che sarebbero entrate in funzione nel mese di settembre: i fatti dimostrano che anche stavolta i tempi non sono stati rispettati, e nuove generiche dichiarazioni parlano di un vago e indefinito «entro Natale», in uno stillicidio sulla pelle dei cittadini informati regolarmente con argomentazioni generiche o con un linguaggio estremamente tecnico che non aiutano a dare fiducia nelle istituzioni e nella realizzazione delle grandi opere.
Se poi aggiungiamo che i lavori per tali stazioni sono iniziati nel 2013 e che i diversi cronoprogrammi che si sono susseguiti negli anni sono stati regolarmente disattesi, la situazione peggiora ancora di più.
La questione di queste due stazioni della metropolitana rappresenta solo un esempio attuale e lampante di un problema storico di Roma, quello del trasporto pubblico. La Capitale, infatti, ha il territorio comunale più esteso d’Italia e tra i più estesi d’Europa, cui si aggiunge un tasso di dispersione urbanistica molto elevato che rende più difficile il collegamento tra i diversi quartieri e ne lascia alcuni più isolati e totalmente dipendenti dal mezzo privato, un problema forse superiore all’unicità del sottosuolo romano, costellato di resti archeologici: un’argomentazione reale ma che non deve trasformarsi in un alibi. A questo si aggiungono anni e anni di progetti disattesi, posticipati, caratterizzati da ritardi nell’attuazione e da tempi dilatati, che hanno contribuito a una sfiducia e rassegnazione da parte dei romani verso delle grandi opere che sarebbero invece estremamente necessarie.
Abbagli
Se l’unicità del territorio romano ha le sue problematicità, non si può prescindere da una serie di scelte politiche, a posteriori rivelatesi sbagliate, che hanno contribuito a creare problemi che Roma si porta dietro da decenni. Una di queste risale addirittura al 1959, quando la Capitale, che l’anno successivo si apprestava ad ospitare le storiche Olimpiadi, mise nero su bianco il nuovo piano regolatore nel quale scelse deliberatamente di non far passare la metropolitana nei quartieri di nuova costruzione, dal momento che in questi era possibile realizzare strade ad ampio scorrimento che avrebbero permesso l’uso dell’automobile privata.
Chiaramente, all’epoca, il traffico veicolare era inferiore a quello di oggi ma rappresentava comunque un problema, che il nuovo piano pensava di affrontare con la differenziazione dei flussi tra automobile privata e trasporto pubblico su gomma attraverso arterie differenti: un piano che chiaramente si rivelò ben presto fallimentare e totalmente insufficiente a far spostare la massa di popolazione di una metropoli.
Lo stesso anno, con una logica molto simile, l’assessore Agostino Greggi mise in atto una riorganizzazione delle linee Atac che portò allo smantellamento di quasi tutte le linee tranviarie esistenti: in poche parole, a Roma, il trasporto doveva essere solo su gomma. Se poi pensiamo che sempre in quel periodo iniziò la costruzione della linea A, che si sarebbe affiancata alla già esistente B, e che prima di entrare in funzione ci sarebbero voluti ben vent’anni caratterizzati da problemi di vario genere, si spiega anche come a queste scelte sbagliate si sia affiancata una certa sfiducia da parte dei romani verso i cantieri della metropolitana, per quanto poi la linea A sia divenuta una parte fondamentale del sistema di trasporto pubblico romano.
Cambi di programma
Queste scelte hanno portato Roma ad avere un ritardo notevole in termini di infrastrutture per il trasporto pubblico rispetto ad altre metropoli europee, ma anche quando l’approccio ha iniziato a cambiare non sono mancate ulteriori questioni di cui oggi portiamo gli strascichi problematici.
Un esempio? La metro C, di cui oggi assistiamo alle lungaggini per le nuove stazioni e su cui ci interroghiamo sul tempo necessario per completare l’ulteriore prolungamento a piazza Venezia, nasce con un peccato originale.
L’opera, infatti, fu pensata per essere costruita negli anni Novanta tra San Pietro e il Colosseo in vista del Giubileo del 2000, per poi essere prolungata progressivamente in entrambe le direzioni: come noto, l’opera non venne realizzata e i primi cantieri furono aperti solo tra il 2006 e il 2007.
Tuttavia, dopo i primi scavi, si decise per ragioni pratiche che l’opera non sarebbe più iniziata dal suo complesso tratto centrale o da un altro tratto intermedio, ma da quello all’estremo est, dove si trattava solo di ri-adeguare la vecchia ferrovia Roma-Pantano, portandola così a svilupparsi in una sola direzione e non in entrambe e focalizzandosi così su una sola parte di città alla volta.
In questo contesto – con la consapevolezza che il trasporto su ferro e in modo particolare la metropolitana hanno un costo economico notevole e i lavori per realizzarli hanno un impatto sulla vita dei cittadini – per colmare le lacune del trasporto pubblico romano, che vede una forte carenza di mezzi veloci a lunga percorrenza, si è spesso avuto la tendenza ad assegnare un ruolo strutturale agli autobus, un mezzo pubblico importante ma che dovrebbe avere altre finalità, transitando solo in parte in corsie preferenziali e avendo una capienza minore rispetto alla metropolitana e al tram.
Il trasporto pubblico ideale, per farla breve, dovrebbe basarsi su un sistema di linee metropolitane coadiuvate da tram con gli autobus con un ruolo complementare per raggiungere gli altri quartieri: a Roma, invece, per mettere una toppa su alcuni errori storici, si è dato su molte rotte il ruolo centrale all’autobus.
Purtroppo i problemi del trasporto pubblico della Capitale non derivano solo dalle dimensioni della città e dal suo sottosuolo: sono iniziati prima di quanto si possa pensare.