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Roma, la casa delle donne è salva: Lucha y Siesta aggiudicata alla Regione Lazio

Immagine di copertina
Credit: ansa foto

I numeri dei femminicidi e delle violenze sulle donne sono aumentati in modo preoccupante, specie nelle ultime settimane. In questa escalation di violenza c’è però uno spiraglio di luce: la casa rifugio Lucha y Siesta a Roma, che Atac aveva deciso di vendere, potrà continuare il suo operato senza ulteriori minacce di sgombero, che da tempo facevano vivere nell’angoscia non solo le attiviste, ma soprattutto le donne e i minori ospiti della struttura.

S&D

È notizia ormai ufficiale che ad aggiudicarsi la terza asta e ad acquistare la casa per le donne vittime di violenza è stata la Regione Lazio.

“Che ci siamo e ci saremmo state lo avevamo annunciato e ribadito più volte nel corso degli ultimi due anni e mezzo. Eppure oggi è una giornata storica per le cittadine di Roma, ma anche per le donne e gli uomini del Lazio e del nostro Paese”, ha dichiarato in una nota Marta Bonafoni, capogruppo della Lista Civica Zingaretti al Consiglio regionale del Lazio. “La Casa delle Donne ‘Lucha y Siesta’ è salva: alla terza asta la Regione Lazio si aggiudica l’immobile di via Lucio Sestio 10 a Roma, finito nel concordato preventivo di Atac, e permette così a un’esperienza unica in Europa, nata dall’impegno sul territorio di un nutrito gruppo di attiviste femministe e transfemministe, di vivere e continuare a dare ricchezza e luce alla città.

Sportello antiviolenza, casa rifugio, spazio politico femminista e transfemminista, verde e polifunzionale,  Lucha y Siesta è un’esperienza complessa da sempre a disposizione delle tante persone e delle tante realtà che hanno desiderio o bisogno di attraversarla; un luogo con un futuro oggi più sereno.

La storia della casa antiviolenza inizia nel 2008. Lucha y Siesta nasce da una palazzina degli anni Venti proprietà dell’Atac. È una casa rifugio per donne, un centro antiviolenza ma anche un polo di aggregazione, cultura e dibattito. L’immobile venne inserito nel concordato dell’azienda pubblica del trasporto romano, passata poi sotto il controllo del curatore fallimentare, deciso dall’amministrazione guidata dalla sindaca Virginia Raggi per fare uscire la municipalizzata fuori dalla crisi. Il 19 luglio 2019, la Prefettura di Roma mise la struttura nella lista dei ventitré spazi occupati del piano sgomberi. A fine agosto, le attiviste ricevettero una lettera in cui si annunciava che le utenze sarebbero state staccate 15 settembre.

Nacque così un comitato popolare e una raccolta fondi. Nelle stanze di Lucha y Siesta sono passate più di mille donne. In centinaia si sono rivolte al suo sportello antiviolenza e centoquaranta ci hanno vissuto insieme a sessanta minori. Ci sono quindici posti letto, una percentuale importante in una capitale che, secondo la Convenzione di Istanbul di cui l’Italia è firmataria, dovrebbe averne trecento e, invece, si ferma a venticinque.

Ma ora dovrebbe aver inizio una nuova stagione e così Bonafoni lancia l’appello: “Ora dobbiamo supportare le attiviste nell’immaginare la ‘Lucha y Siesta 2.0’. Sarà, nel nostro auspicio, un laboratorio di sperimentazione dell’autogoverno, dove il pubblico incontrerà l’associazionismo e la comunità per costruire un nuovo modello di fare città e società, contro lo svuotamento di senso perseguito da un’amministrazione comunale cieca che in tutti questi anni ha remato contro e che oggi, a fine mandato, si trova nuda di fronte alle proprie responsabilità. Noi ci siamo state, ci siamo e ci saremo, nella Roma ‘città femminista’ che vogliamo continuare a costruire”.

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