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Home » Cronaca

I fantasmi della ricerca: l’Italia ignora chi contribuisce al progresso scientifico del Paese

Immagine di copertina

Contribuiscono al progresso scientifico del Paese. In settori chiave come la sanità e l’energia. Ma per lo Stato sono invisibili. Sono i ricercatori impiegati negli istituti del Cnr. Con contratti a termine malgrado anni di servizio alle spalle. E ora chiedono di essere visti

Giovanni è un ingegnere chimico, ha 43 anni ed è originario di Battipaglia, in provincia di Salerno. Cammina sulle scalinate della sede principale del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) di Roma, a pochi passi dall’Università Sapienza, poco dopo il “flash mob” organizzato dal movimento dei Precari Uniti insieme alla Flc Cgil e alla Federazione Uil scuola per protestare contro la condizione dei precari della ricerca, in cui Giovanni si trova da quattro anni. Pur avendo accumulato esperienza all’interno di due istituti del Cnr, primo Ente di ricerca nazionale in Italia, porta ancora avanti il suo lavoro tramite un assegno di ricerca, un contratto precario, che gli viene rinnovato di anno in anno, senza però la certezza di poter continuare il suo percorso, sapendo che questa forma di collaborazione potrà essere prolungata per un massimo di sei anni.

S&D

Con lui, afferma, almeno un’altra ventina di persone che contribuiscono al lavoro dell’Istituto di Scienze dell’Alimentazione, di cui fa parte, risultano “personale in formazione”, assunto cioè con contratti cosiddetti atipici come borse di studio, assegni di ricerca o Co.co.pro. Eppure Giovanni svolge mansioni simili a quelle dei ricercatori assunti, e, come loro, utilizza i suoi studi, le sue competenze e l’esperienza maturata all’interno dell’Ente per collaborare, giorno dopo giorno, ai progetti dell’istituto. L’ultimo riguarda il recupero dei grani antichi e la qualità degli antiossidanti, ma in generale si occupa di studiare i composti polifenolici all’interno degli alimenti, le loro proprietà nutritive. «Un gruppo studia come queste proprietà incidono sul cancro al colon, settore interessante e importante. Solo che come me non risultano a referto gli altri assegnisti di ricerca che sono lì dentro e che portano avanti attività.

Dal punto di vista ufficiale risulta che ci sono pochi precari, ma siamo circa in 20 in queste condizioni», dichiara a TPI. Per questo Giovanni si sente invisibile. Ha sviluppato competenze e produzione scientifica, ma queste rischiano di essere disperse se non sarà assunto. E nel frattempo non riesce a programmare la sua vita. «A un certo punto diventa dura sostenere le mie aspirazioni, perché non mi permettono di provvedere alle mie esigenze. Per esempio, comprare una casa». Giovanni ha sempre messo la propensione per la ricerca davanti ai bisogni materiali, tanto da aver rifiutato offerte arrivate da aziende private all’estero – che lo avrebbero assunto in modo più stabile e pagato meglio – pur di continuare a fare quello per cui naturalmente si sente portato. Ma adesso la precarietà lo sta portando a compiere la scelta che non avrebbe mai voluto prendere. «Ogni tanto penso di mollare», confessa.

Promesse deluse

L’ultima ondata di stabilizzazioni all’interno del Cnr è iniziata nel 2018, nel solco della legge Madia sul superamento del precariato negli enti pubblici di ricerca, che ha previsto la regolarizzazione di mille “precari storici” tramite una procedura di concorso. Risalgono all’inizio del 2022 le assunzioni degli ultimi 400 ricercatori risultati idonei ma inizialmente non assunti, arrivate dopo settimane di protesta in vista della scadenza delle graduatorie. A fine 2021, sulle stesse scalinate di Piazza Aldo Moro, gli idonei rimasti esclusi chiesero al Cnr di essere stabilizzati anche in nome del rinnovato interesse per il settore espresso da politici e dirigenti in seguito all’assegnazione del Nobel per la fisica all’italiano Giorgio Parisi. Dopo il successo di quella mobilitazione, mentre l’importanza di investimenti strutturali in settori chiave come Sanità ed Energie rinnovabili tornava al centro del dibattito anche in vista dell’arrivo dei fondi del Pnrr, in molti avevano sperato nell’inizio di una nuova stagione. Ma i buoni propositi sono rimaste lettera morta. «Viene paventata una riforma strutturale dell’ente, concorsi sistematici e nuovi contratti ma di fatto non è cambiato assolutamente nulla. Alcune persone escluse per motivi amministrativi dal concorso del 2018 sono ancora lì, ora siamo al 2023 ed è iniziato l’accumulo dei nuovi precari. Speravamo che non accadesse più, sta tornando la situazione precedente», racconta uno dei ricercatori. 

“Due spicci per la ricerca” 

Durante l’azione di protesta i partecipanti mostrano un manifesto che recita: “Due spicci per la ricerca”, per sottolineare come le risorse necessarie alle assunzioni dei centinaia di instabili non comporterebbero una spesa ingente da parte dello Stato. Per il settore della ricerca l’Italia infatti spende meno dell’1,5 per cento del Pil, sotto la media europea di almeno due punti, con Svezia e Belgio – che spendono più del 3 per cento – ai primi posti (fonte: Eurostat). Con il decreto cosiddetto “Milleproroghe” vengono estese le procedure previste dal D.Lgs. 75/2017 (meglio nota come “legge Madia”) al 31 dicembre 2026 “anche per le finalità collegate alla stabilizzazione delle ricerche collegate al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr)”, come recita il testo approvato a febbraio. I Precari Uniti,che ora si trovano in stato mobilitazione permanente, temono tuttavia che senza la volontà dei dirigenti del Cnr e un adeguato stanziamento di fondi da parte del governo le opportunità messe a disposizione dal Piano (che stanzia oltre 15 miliardi per il settore “Università e ricerca”) e dal decreto saranno sprecate, perché permane la necessità di provvedere alle assunzioni tramite appositi stanziamenti. Basterebbero poche decine di milioni per stabilizzare gran parte dei precari, purtroppo ormai storici, con alle spalle sino a sette-otto anni di contratti a tempo determinato o, peggio, atipici.

«Il Pnrr non può essere la soluzione al problema del precariato, perché non nasce per un reclutamento regolare e ciclico», commenta una delle portavoce dei precari Uniti. «Rischiamo anzi di avere nel 2026 una sacca di precariato enorme e una nuova emergenza, perché i fondi che l’Ue mette a disposizione rappresentano uno stanziamento una tantum che arriva in un determinato momento. Per settori come transizione energetica e Sanità è necessario che ci sia una lungimiranza nella programmazione e nel reclutamento, che dovrebbe seguire una logica espansiva, attraverso concorsi e uso degli strumenti che la legge mette a disposizione, tra cui anche la norma inserita nel Milleproroghe. Regolarizzare lavoratori e lavoratrici significa stabilizzare la ricerca», conclude. 

Senza volto

Durante il flash mob alcuni partecipanti indossano la maschera bianca di un fantasma. ​«Simbolo di noi Precari uniti del Cnr – raccontano – perché veniamo considerati tutti uguali, e cioè non veniamo considerati, anche se ogni precario ha una sua storia». Come Daniele, 47 anni, originario di Pisa, laureato in scienze politiche e approdato nel mondo della ricerca per caso sette anni fa dopo «un’altra vita» trascorsa nel settore della cooperazione internazionale. Dal 2016 è tecnologo all’interno dell’ufficio grant dell’istituto di fisiologia clinica, «uno dei primi istituti del Cnr, che studia da un punto di vista clinico tutti gli aspetti multidisciplinari che possono riguardare principalmente la persona da un punto di vista sanitario. Collaboriamo con ospedali della zona e con le Università, si fa molta ricerca applicata ai pazienti». Lui svolge mansioni di supporto, aiuta a presentare progetti, a gestirli e a reperire i finanziamenti, simili per certi versi a quelli che svolgeva da cooperante. Eppure il suo contratto a tempo determinato scadrà a luglio, e non potrà essere rinnovato. L’unico modo che ha di andare avanti, è quello di tornare indietro: tornare cioè a farsi “assumere” tramite assegni di ricerca, quelli con cui ha iniziato a lavorare nell’istituto sette anni fa. «Anche se sei orgoglioso di far parte dell’ente, vedi che non c’è riconoscimento rispetto al percorso fatto. Vale per me e per i tanti lavoratori che come me hanno voglia di fare, di lavorare, di mettere a frutto le proprie conoscenze e competenze. Tanti lavorano con contratti atipici in ambiti importanti come quello sanitario, dal cardiologico alla ricerca sui tumori, dall’epidemiologia ai sistemi ambientali. Spero che questa lotta porti a tanti come me la possibilità di essere visti – conclude – Perché ora siamo un po’ dei fantasmi». 

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