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Prende lo stipendio per 15 anni senza lavorare neanche un giorno: scoperto assenteista all’ospedale di Catanzaro

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Prende lo stipendio per quindici anni senza lavorare neanche un giorno

Un addetto alla prevenzione incendi dell’ospedale di Catanzaro ha percepito lo stipendio per quindici anni senza aver lavorato neanche un giorno.

S&D

L’incredibile vicenda è stata scoperta dalla Guardia di Finanza, coordinata dalla procura di Catanzaro, che ha passato al setaccio i tabulati di presenza e i turni di servizio del nosocomio.

Secondo quanto ricostruito, Salvatore Scumace, questo il nome dell’assenteista, risultava un dipendente del Centro Operativo Emergenza Incendi (C.O.E.I.) dell’ospedale Pugliese Ciaccio di Catanzaro, ma di fatto non ha mai messo piede sul posto di lavoro.

L’unica volta che Scumace è stato visto al C.O.E.I. è stato nel 2005 quando si è recato nell’ufficio della responsabile, la quale aveva segnalato l’assenteismo dell’uomo, per minacciarla al fine di “convincerla” a ritirare le segnalazioni.

Quando la donna è andata in pensione, il nuovo responsabile del C.O.E.I., Nino Critelli e i due dirigenti pro tempore dell’ufficio risorse umane Vittorio Prejanò e Maria Pia De Vito, ora tutti indagati per abuso d’ufficio, non hanno ritenuto necessario approfondire la questione facendo ulteriori controlli.

Non solo, nel 2020 l’ospedale ha avviato un procedimento disciplinare nei confronti di Scumace, affidando la questione a un’apposita commissione, che però non ha preso provvedimenti specifici contro il dipendente fantasma.

Motivo per cui anche il presidente della commissione, Domenico Canino, e due membri, Laura Fondacaro e Antonino Molè, sono stati iscritti nel registro degli indagati per il reato di falso in atto pubblico e abuso d’ufficio.

Salvatore Scumace, invece, nel 2020 dopo un secondo procedimento disciplinare è stato licenziato per giusta causa e ora dovrà rispondere anche di estorsione aggravata.

Leggi anche: Napoli, massacrato con crick e pugnale per un parcheggio. La figlia: “Voleva difendere me”

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