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Il padre di Michele Merlo: “Mio figlio è stato ucciso dal sistema sanitario, basito dall’archiviazione”

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Il padre di Michele Merlo: “Mio figlio è stato ucciso dal sistema sanitario”

“Mio figlio è stato ucciso dal sistema sanitario”: lo dichiara Domenico Merlo, padre di Michele, il cantante, noto anche con il nome d’arte di Mike Bird, morto il 6 giugno 2021 a causa di una leucemia fulminante.

Intervistato da La Repubblica, il papà dell’interprete commenta la decisione della procura di Vicenza di chiedere l’archiviazione per Vitaliano Pantaleo, medico di base e unico indagato nel procedimento penale. I magistrati, infatti, ritengono sia impossibile stabilire che il giovane si sarebbe potuto salvare con una diagnosi corretta.

“Il punto non è un giovane medico di base che ha commesso un errore madornale. Il punto è il sistema che per anni ha promosso i tagli e le politiche che hanno prodotto le condizioni perché un errore del genere fosse commesso” ha dichiarato Domenico Merlo.

“Voglio, anzi, vorrei, giustizia. Il medico dovrebbe pagare per il suo sbaglio, certo. Detto questo, nessuna condanna e nessuna cifra mi restituiranno mai Michele, che era un ragazzo d’oro, ed io non me n’ero nemmeno accorto” ha aggiunto il papà del cantante.

Sulla possibilità di opporsi alla richiesta di archiviazione, l’uomo chiarisce: “Venerdì incontrerò i miei legali e insieme decideremo il da farsi, non ho ancora deciso. Però non penso che fare opposizione abbia molto senso, dal momento che la pubblica accusa ha preso questa decisione”.

“Sono basito. Hanno aspettato più di due anni per giungere a una conclusione a cui sarebbero potuti arrivare dopo sei mesi, risparmiandoci questa attesa straziante – ha aggiunto Domenico Merlo commentando le decisione della procura – Ci sono diverse perizie che dicono la stessa cosa: con le giuste cure Michele aveva altissime probabilità di essere salvato. Eppure per il pm non è possibile stabilirlo con certezza. Lo capisco, ma che mi si venga a dire una cosa del genere dopo due anni… Io vorrei solo che il pm si mettesse anche solo per un minuto – non dico per oltre due anni, basterebbe un minuto – nei nostri panni. Se immaginasse cos’è diventata la nostra vita”.

L’uomo, quindi, chiarisce: “Personalmente, non ho nulla contro quel medico. Sbagliare è umano, ha fatto un errore madornale, con conseguenze disastrose, e certamente deve pagare. Ma Vitaliano Pantaleo è tuttora il mio medico di famiglia, se dovessi aver bisogno di una ricetta è ancora a lui che mi rivolgerei, capisce questo cosa significa? La mia battaglia è più alta”.

“Vorrei che si lavorasse perché quello che è successo a Michele non possa avvenire mai più. Io le ho viste le condizioni in cui versava il centro medico di Rosà. Mi creda, in quel periodo, in cui c’era di mezzo anche il Covid, non funzionava niente, il centro era oberato. E del resto quella non era l’unica porta a cui avevamo bussato. Prima ci eravamo rivolti al pronto soccorso di Cittadella, in provincia di Padova e, il 26 maggio, a quello di Vergato fuori Bologna, da cui Michele venne cacciato con un antibiotico. E allora, secondo lei, io con chi me la dovrei prendere? Con Vitaliano Pantaleo? Con un ospedale? No, questo è un problema di sanità”.

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